Ospedali: luoghi di assistenza e di cura

Il racconto della nascita e dell’evoluzione dell’istituzione ospedaliera è un intrigante viaggio in quell’universo sanitario in cui, ieri come oggi, i “fatti” medici e i “fatti” sociali si intersecano con quelli architettonici e tecnologici, con quelli legislativi ed organizzativi determinando un poliedrico insieme, caratteristico di ogni tempo e di quel tempo specchio fedele.
Salute e malattia hanno da sempre punteggiato la vita dell’uomo; la malattia in particolare rientrava in quei fenomeni di difficile comprensione contro cui agli inizi della storia non si avevano grandi mezzi per opporsi: pregare ed invocare, con l’aiuto del sacerdote di turno, qualche divinità benevola, ma anche dare fiducia alle mani, meno ieratiche ma forse più abili di chi si dimostrava disponibile, portato ed esperto ad “operare”, in prima battuta, con strumenti “terreni” e verificabili.

I Francescani assistono i lebbrosi. Codice di Monteluce, Perugia

Con il cristianesimo, ospedali ed ospizi divennero più numerosi, assumendo un carattere più caritativo, che sanitario nei confronti degli ammalati; la medicina dei tempi consisteva infatti in un insieme di pratiche magico – religiose fuse a rimedi empirici ed istintivi. Il termine “ospedale” deriva da “hospes” (ospite) in quanto i primi ospedali erano più improntati sull’accoglienza caritatevole, che sull’aspetto sanitario. Per questo gli ospedali si diffusero con il cristianesimo, con strutture ibride con luoghi di culto.
È dalla regola di Sant’Antonio, vissuto fra il 200 e il 300 d.C., che nasce la cura verso i confratelli malati: l‘assistenza ospedaliera religiosa, quindi, ha origini molto antiche, in graduale incremento. Fu il Concilio di Nicea, nel 325, a stabilire che ogni vescovato e monastero dovessero istituire in ogni città ospizi per pellegrini, poveri e malati. Gli ospedali iniziarono a moltiplicarsi ed accanto a quelli nati in seno ai Monasteri, altri sorsero per volontà di alcuni ordini religiosi (Taranto, Asti, Lucca, Bologna…) ed altri con caratteristiche invece più laiche come il S. Spirito in Roma (715), voluto da Ina, Re della Sassonia orientale, per assistere i suoi sudditi in viaggio in Italia. Fuori di Italia ricordiamo degni di nota: I’Hotel Dieu di Lione (542), I’Hotel Dieu di Parigi (700), I’Ospedale del Cairo (707), I’Ospedale dei Cavalieri di Malta a Gerusalemme (intorno all’800), I’Ospedale di Cordova (800), I’Ospedale di Burgos (1214).
La tradizione italiana risale assai indietro nel tempo, come dimostrano le radici medioevali di molte istituzioni mediche e assistenziali di età moderna: il concetto di ospedale, inteso nel senso più simile a quello attuale, nasce nel Medioevo, quando gli ammalati vengono visti dalla società non come persone da allontanare ed emarginare ma da assistere.
L’ospedale nasce dapprincipio nella forma più generica di luogo di accoglienza e di ristoro per i bisognosi, quindi viandanti, poveri, pellegrini, vedove e ammalati: in origine, infatti, questi luoghi venivano accoglievano una più ampia e variegata casistica di situazioni disagiate, prima di diventare un luogo mirato esclusivamente alla cura della salute, come lo intendiamo oggi.

Hospital for Infants in Pistoia, 1277

La nascita e l’organizzazione degli ospedali, diffusisi in Europa a partire dall’XI secolo e presenti ben presto in ogni città, si lega fin da subito, per ovvie ragioni, alla compagine religiosa: quasi sempre, infatti, queste strutture erano gestite dagli stessi vescovi o da ordini di frati, suore o confraternite, in alcuni casi anche laiche. L’opera di Domenico di Bartolo (Cura degli infermi, 1441), un affresco realizzato all’interno dell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, mostra l’interno di un ospedale, con grande attenzione e cura per le nuove regole prospettiche, appena enunciate all’epoca, che  rendono chiaramente il senso dello spazio all’interno dell’ampio locale. La scena, molto dinamica e affollata, offre uno spaccato di un momento di cura degli infermi: in primo piano, un giovane ferito e infreddolito, sta per essere curato, viene lavato e coperto, mentre dietro di lui il rettore dell’ospedale e altri inservienti, stanno valutando il da farsi. Più a destra, un frate sta confessando un altro degente, mentre prontamente sta arrivando una lettiga per il nuovo arrivato ferito. Curiosa la presenza di animali: cane e gatto, che si azzuffano in primo piano.

Domenico di Bartolo

Medesima ambientazione si riscontra nell’incisione tratta dal Regimen Sanitatis Salernitanus, un volume assolutamente dedicato al tema, risalente al XIII secolo: in un unico grande locale si assiste alla cura degli infermi, alla cucina e alla consumazione dei pasti.

Nonostante le deboli conoscenze tecniche dell’epoca, gli ospedali apparivano comunque dotati di sistemi adeguati e particolarmente accurati, quali areazione dei locali, servizi igienici, e fornitura di acqua.

Bisogna attendere il Rinascimento, perché l’assistenza ospedaliera cominci ad essere considerata non più una semplice espressione della pietà cristiana e quindi un esclusivo monopolio della Chiesa, ma anche un segno dell’impegno sociale dei regnanti, parallelamente allo sviluppo di una medicina sempre più scientifica, che quindi destasse un interesse anche più strettamente laico: l’assistenza ospedaliera cominciava ad essere considerata non più una semplice espressione della pietà cristiana e quindi un esclusivo monopolio della Chiesa, ma era anche un segno dell’impegno sociale del Re, del Principe, del signore insomma, che vedeva, tra l’altro, nella edificazione di opere anche artisticamente pregevoli, un momento dell’esaltazione del suo governo.

Il dipinto del tedesco Adam Elsheimer (Santa Elisabetta visita un ospedale, XVII secolo) apre le porte di un altro luogo di cura, di epoca cinquecentesca; è interessante notare, oltre alle condizioni igieniche non ottimali, una grande promiscuità tra i degenti e un’assoluta mancanza di riservatezza; locali ampi e lunghi corridoi: i ricoverati venivano ospitati promiscuamente e vicini tra loro, senza minime accortezze di privacy.

Saint Elizabeth of Hungary bringing food for the inmates of a hospital. Oil painting by Adam Elsheimer, ca. 1598.

L’ospedale moderno non è solo un’istituzione di tipo medico, ma risponde a una pluralità di funzioni e bisogni, alcuni dei quali di carattere simbolico, ed è stato anche un centro di attività artistiche e finanziarie. Se gli ospedali erano di solito governati da comitati composti da laici eletti o nominati dal potere politico o municipale, pervasiva è stata la presenza al loro interno di ordini religiosi e di confraternite laiche dedite all’assistenza; il riferimento alla virtù cristiana della caritas è un passaggio obbligato di qualsiasi descrizione di questo tipo di istituzione.

Il primo ospedale concepito in chiave moderna fu l’Ospedale Maggiore di Milano (noto anche come Cà Granda) progettato dal Filarete e realizzato nel 1456: il merito e la novità del Filarete sta nell’aver riempito quelle forme classiche e tradizionali di contenuti fortemente innovatori. Le infermerie vennero progettate, infatti, nelle loro superfici e cubature, tenendo presente l’obiettivo di garantire, ad un determinato numero di degenti, un idoneo “cubo” d’aria, un sufficiente spazio vitale, una corretta ventilazione ed illuminazione. Che poi certi obiettivi non fossero stati completamente raggiunti, poco importa: quello che conta è l’aver evidenziato, per la prima volta, una serie di fondamentali esigenze di “igiene ospedaliera” ed aver avanzato soluzioni logiche anche se non del tutto soddisfacenti.

L’ospedale era a pianta rettangolare, sviluppato lungo un asse centrale e con strutture porticate che ospitavano le degenze. Le infermerie contavano al massimo 40 posti, erano assicurati ricambio d’aria e illuminazione e i malati avevano accesso a dei corridoi perimetrali usati come latrine e costantemente lavati.

L’ospedale italiano è stato al centro dell’attività di curanti illustri e meno illustri, educati all’università, come i medici physici; ma è stato anche, e forse soprattutto, il luogo privilegiato di formazione e di attività dei praticanti la medicina considerati di livello inferiore, in quanto dediti ad attività ‘manuali’, come i chirurghi nelle loro diverse gerarchie e specializzazioni, i barbieri-chirurghi, le ostetriche, gli speziali, i membri degli ordini religiosi o delle associazioni devozionali laiche che si dedicavano in maniera privilegiata o esclusiva all’assistenza agli infermi.
A contatto con questi ‘altri’ curanti, i medici universitari hanno dovuto affinare la pratica e riapprenderla, anche al di là dell’istruzione formale ricevuta, e hanno così avuto preziose occasioni di incontro con punti di vista e saperi terapeutici, e perfino anatomici, fisiologici e patologici, parzialmente o totalmente diversi dalla medicina di scuola.

La “Sanità” del ‘600 e dell’700 fu soprattutto caratterizzata dalla ricerca: gli ospedali divennero centri di studi e di ricerca e già nel XVII secolo furono vere scuole di medicina e chirurgia. L’ospedale viveva quelle che erano le novità del mondo accademico in una posizione, però, abbastanza privilegiata favorendo, per certi versi, il sanarsi della storica frattura tra le due culture, da sempre separate, della scienza medica: quella umoralista del medico “doctus expertus” e quella anatomica del “cerusicus” considerato al massimo un abile artigiano.

Nel XVIII secolo la situazione ospedaliera era ancora inadeguata sia a livello di condizioni igieniche, sia a livello di numero di posti letto disponibili rispetto alla richiesta.

A nonchalant doctor dancing a jig amidst unhappy patients in a decrepit hospital ward. Coloured etching by C. Williams, 1813.

È durante la Rivoluzione francese che prende forma e si sviluppa l’idea di ospedale come oggi l’intendiamo in termini di funzioni, struttura ed organizzazione. Quale è il ruolo dell’ospedale in un progetto più ampio di tutela della salute della collettività, quale è la giusta localizzazione nel tessuto urbano, quale funzioni deve svolgere, quale è l’architettura più idonea per quelle funzioni, quale deve essere la sua organizzazione interna? Proprio alla fine del secolo venne ricostruito anche l’Hotel de Dieu di Parigi dopo un incendio e ogni scelta architettonica venne presa sulla base di esigenze igienico-sanitarie.
Per rispondere alla nuove esigenze organizzative e strutturali, sorsero in Inghilterra, in Francia, in Germania, e solo successivamente in Italia, gli ospedale a padiglioni. Oltre al fatto di avere la possibilità di confinare in strutture diverse i malati in base al tipo di malattia, eliminando, quindi, alla base il fenomeno del contagio, la nuova struttura, immersa in aree adibite a verde, permetteva anche di differenziare gli edifici in base alle funzioni, di aumentare la dotazione di ambienti di servizio, di migliorare l’esposizione, l’aerazione e l’illuminazione degli ambienti. Ogni edificio, in sostanza, aveva una sua funzione, così da aumentare anche gli spazi di servizio e ridurre il problema del contagio. In Italia l’ospedale a padiglione, ovvero con una configurazione diffusa, arrivò il secolo successivo, con l’introduzione di corridoi su cui si affacciavano camere più piccole per ospitare un minor numero di ospiti contemporaneamente.

Nell’ottocento, superata la mitologia dei miasmi si introduce con Lister, l’antisepsi, e poi le tecniche di disinfezione, di sterilizzazione; viene studiata la diversa porosità e resistenza al passaggio dell’aria dei materiali di costruzione; nei materiali di rivestimento vengono ricercate le qualità della resistenza e della facile lavabilità, dall’orientamento degli edifici e dalle scelte distributive si vorrà il massimo soleggiamento e ventilazione. II dibattito sull’ingegneria ospedaliera diventa quanto mai attuale ed i medici igienisti si proponevano, a ragione, come gli esperti della materia.
Tra il XIX e XX secolo in Italia, con lo sviluppo di una rete ospedaliera, si realizzarono i moderni ospedali a padiglioni, di dimensioni notevoli collocati nelle immediate vicinanze dei centri abitati.
Tali ospedali affiancarono quelli storici e per lo più collocati nei centri cittadini, risalenti all’epoca medievale e rinascimentale.

Oggi in Italia esiste una associazione che ha la finalità di valorizzazione questo enorme patrimonio, l’Associazione Culturale Ospedali Storici Italiana ACOSI: un nuovo organismo, originale, libero, prestigioso, per raccordare gli Ospedali storici italiani per proteggere, studiare e far conoscere uno dei “giacimenti” culturali oggi meno noti ma sicuramente più interessanti e fecondi della storia della civiltà italiana della cura delle persone. Il manifesto è disponibile a questo link.

Gli ospedali medievali: la pietas e l’arte per il malato

Vivere nel Medioevo voleva dire vivere in una società molto dura, ma l’aspetto che livellava ricchi e poveri, nobili e miserabili era l’assenza di cure mediche. Di fronte alla malattia, tutti erano uguali perché non esistevano farmaci efficaci, né vere terapie.

L’assistenza ospedaliera nel Medioevo basava la sua organizzazione sul sentimento cristiano dell’aiuto materiale e spirituale al prossimo bisognoso, concetto che sopravvisse fino al 18° secolo, quando finì per prevalere la funzione di luogo di cura.  Nonostante questo, nel XIV e XV secolo, nelle principali città sorsero nuovi ospedali che costituirono veri e propri capolavori d’arte. Luogo innanzitutto di ospitalità, era accoglienza anche per i malati, ma non in quanto tali, bensì perché sovente era lo stato di malattia a determinare quello di necessità.

Esemplari l’Ospedale Santa Maria della Scala a Siena, oppure Santa Maria Nuova a Firenze. Va tuttavia fatto presente che questi ospedali, sebbene ricchi di arti con sculture, marmi, pitture che li rendevano preziosi dal punto di vista artistico, non avevano sempre i requisiti tecnici ritenuti indispensabili per un ospedale.

Il grande complesso del Santa Maria della Scala, situato nel cuore di Siena, di fronte alla cattedrale, costituì uno dei primi esempi europei di ricovero ed ospedale, con una propria organizzazione autonoma e articolata per accogliere i pellegrini e sostenere i poveri ed i fanciulli abbandonati. Il Santa Maria della Scala conserva straordinariamente integre le testimonianze di mille anni di storia, restituendo un percorso che, dall’età etrusca all’età romana, dal Medioevo al Rinascimento, giunge interrotto sino a noi.

A questo link le collezioni del Complesso Museale Santa Maria della Scala, realizzato con Google Arts & Culture, una raccolta online di immagini in alta risoluzione di opere d’arte esposte in vari musei in tutto il mondo, oltre che una visita virtuale delle gallerie in cui esse sono esposte

 

La Ca’ Granda: l’Ospedale Maggiore di Milano

L’attività di assistenza è strettamente collegata al proprio territorio: questo blog nasce per valorizzare come le comunità hanno costruito intorno agli ospedali una identità molto forte. Un esempio è testimoniato dall’Ospedale Maggiore di Milano: ci racconta la sua storia il dottor Paolo Galimberti, responsabile della Struttura Beni Culturali Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Dottor Galimberti, quando nasce questa istituzione?
L’Ospedale Maggiore viene fondato nel 1456 da Francesco Sforza e da Bianca Maria Visconti, signori di Milano, portando a compimento la riorganizzazione degli antichi hospitalia voluta dall’arcivescovo Rampini nel 1448. Anche a Milano infatti, come in tutto il centro-nord Italia, alla metà del Quattrocento si assiste a un processo di riforma, volta a concentrare in una sola amministrazione civica tutte le istituzioni ospedaliere sorte nei secoli precedenti, creando degli ospedali “maggiori”, con autorità amministrativa e bacino d’utenza esteso ai confini della Diocesi. Analogamente ad altre città, per la nuova struttura viene costruito anche un nuovo edificio, appositamente concepito per garantire le ottimali condizioni igieniche e funzionali che facilitassero la cura, il cui progetto si attribuisce ad Antonio Averlino “il Filarete”. La costruzione dell’edificio si prolunga fino al 1805, concludendosi con un fabbricato di 300 metri di lunghezza per 100 di larghezza: la “magna domus hospitalis”, popolarmente detta la “Ca’ Granda”.
A questo si aggiungeranno nel tempo il Lazzaretto, reso celebre dai “Promessi sposi” di Manzoni, la chiesa di San Michele ai nuovi sepolcri (da tutti conosciuta come “la rotonda” di via Besana), la Pia casa degli esposti e delle partorienti di Santa Caterina alla Ruota, il manicomio della Senavra. Dalla fine dell’Ottocento sorgono poi i padiglioni del Policlinico, mentre le funzioni sugli esposti e sui malati mentali vengono cedute alla Provincia; nel Novecento si contribuisce alla nascita degli Istituti Clinici di Perfezionamento, e vengono costruiti gli ospedali di Niguarda, di Sesto San Giovanni, e San Carlo Borromeo.

Ci può raccontare  la sua storia?

Ripercorrere le vicende dell’Ospedale significa ricostruire la storia di Milano e della Lombardia degli ultimi 1000 anni.

Non solo per la medicina, l’assistenza, l’igiene, ma potendo disporre di un osservatorio privilegiato per la storia dell’architettura, dell’urbanistica, dell’arte, dell’economia, dell’agricoltura, dell’ingegneria idraulica, della moda e del costume, solo per fare alcuni esempi.

Dottor Galimberti, come possiamo esprimere il legame tra la città e i suoi benefattori?
Di fatto la storia dell’ospedale è la storia della società che lo ha prodotto e sostenuto nei secoli: gli amministratori scelti tra le élites cittadine, i tecnici che hanno lavorato per esso, che siano medici infermieri o architetti, i fittabili del patrimonio fondiario, i fornitori, e infine gli assistiti, gli infermi, i bambini affidati all’istituzione della quale divenivano figli.
L’ospedale, fin dall’età medievale, ha erogato assistenza gratuita ai bisognosi e le risorse per far fronte a infiniti bisogni sono sempre state fornite dalla generosità cittadina. Il contributo dei benefattori era ben chiaro allo Sforza che, nell’epigrafe apposta alla facciata del nosocomio, riconosce che la fondazione si deve, oltre che a lui, alla moglie Bianca Maria “una cum Mediolanensi populo”, insieme al popolo milanese. Effettivamente gli atti di generosità, attestati in archivio fin dall’età medievale, si manifestano in donazioni, testamenti e legati, e vanno da modeste elargizioni al trasferimento di grandi capitali e proprietà.
Per ricordare i più illustri e generosi sostenitori, per gratificarli e per incentivarne l’emulazione, l’ospedale ne commissiona a proprie spese il ritratto pittorico. La tradizione, cominciata nel 1602 e proseguita fino ad oggi, ha permesso di accumulare oltre 900 dipinti, che insieme descrivono non solo quattrocento anni di arte lombarda, ma la storia della società, del costume, delle modalità di auto-rappresentazione dei ceti elevati. Visto il successo in termini di raccolta fondi, l’usanza è stata rapidamente imitata da tutti gli enti assistenziali e sanitari lombardi, ma certamente quella dell’ospedale Maggiore di Milano resta ineguagliata per ampiezza, importanza degli artisti, rilevanza dei benefattori, continuità di esecuzione.
Un altro aspetto rilevante, e che ben rappresenta il legame anche affettivo della città col suo ospedale, è l’attività di volontariato. Già nel Seicento sono attestate confraternite o associazioni che svolgono un libero servizio a favore degli ammalati; nell’Ottocento sorgono la Pia Unione di Beneficenza e Carità (le “dame del biscottino”) e la Commissione Visitatori e Visitatrici, tuttora operante. Oggi le associazioni di volontariato o le fondazioni di sostegno alla ricerca e all’attività sanitaria operanti in ospedale sono più di settanta.

Medicina dei Goti e Cassiodoro

Il declino dell’Impero Romano, con l’invasione da parte dei barbari, portò un decadimento culturale nella scienza e nella medicina. Solo durante il regno di Teodorico, dal 493 al 526, grazie alla sensibilità del suo consigliere Cassiodoro, si registrò una attenzione per la cultura poi passata alla Chiesa, così come l’assistenza sanitaria.
Cassiodoro, di nobili origini calabresi e quindi romano, tentò vanamente di fondere la cultura del germanesimo con quella latina per la creazione di un unico grande impero.
I Goti avevano per il medico una così bassa considerazione da potergli fare ciò che volevano in caso di morte di un nobile in cura. Se moriva uno schiavo, il medico doveva rimborsare il padrone. Il medico era considerato un artigiano dai Goti. Cassiodoro ribaltò questa visione, introducendo la carica di Conte degli archiatri (l’autorità suprema dell’organizzaizone medica latina), la regolamentazione della professione medica e il ripristino dell’insegnamento della medicina.
Alla morte di Teodorico, Cassiodoro mantenne il suo incarico di consigliere fino al 540, quando si ritirò a Squillace, in Calabria nel suo paese natale. Qui fondò due conventi in cui i monaci si dedicavano allo studio della medicina e alla cura dei malati.
Con Cassiodoro inizia quindi a delinearsi la “medicina monastica” che in occidente si svilupperà nel monachesimo benedettino.

Quando nasce il primo modello di assistenza ospedaliera?

E’ dalla regola di Sant’Antonio, vissuto fra il 200 e il 300 d.C., che nasce la cura verso i confratelli malati: l’assistenza ospedaliera religiosa, quindi, ha origini molto antiche, in graduale incremento.
Numerosa la biografia sulla vita del Santo e noi non abbiamo l’ambizione di aggiungere nulla in tal senso: ecco perché rimandiamo alla ricca pagine di wikipedia wikipedia.org/wiki/Antonio_abate per chi fosse desideroso di approfondire.
Quasi tutti i monasteri erano dotati di una “infermeria” dove prestavano servizio i monaci chiamati “ministri degli infermi” precursori dei “monaci infirmari” dei monasteri benedettini sorti poi in occidente.
Va ricordato che l’assistenza agli infermi in questa epoca era molto intensa anche all’esterno dei monasteri: un esempio da ricordare è senza dubbio quello di “Basiliade”, grande struttura ospedaliera fatta realizzare da San Basilio, Vescovo di Cesarea, poco fuori dalla città. Una vera e propria città-ospedale, annoverata tra le meraviglie del mondo, maggior esempio di complesso ospedaliero presente in oriente.
Da citare poi l’esempio di Bisanzio, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, dove vennero costruiti xenodochi, ospizi, ospedali e lebbrosari. E proprio queste ultime strutture furono create per tentare di risolvere il grave problema dei lebbrosi, che altrimenti venivano allontanati dalla società senza alcuna assistenza. Il primo lebbrosario sorse sul Monte degli Ulivi a Bisanzio, costruito su volontà della madre dell’imperatore Costantino.