Oculistica nel Settecento

Nel 1700 anche l’oculistica fece notevoli progressi sia dal punto di vista anatomo-fisiologico che della tecnica chirurgica. Venne inoltre istituito un insegnamento speciale dell’oculistica nelle scuole di chirurgia di Parigi (1765) di Vienna (1772) e di Montpellier (1788) e la letteratura oculistica si arricchì di nuove opere.
L’anatomia dell’occhio venne puntualizzata da Ruysch e da Haller, mentre Fontana diede il primo studio soddisfacente della retina (1728). Zinn e Tenon descrissero l’apparato sospensore del cristallino e alcuni muscoli dell’orbita. In fisiologia Dalton definì nel 1797 la teoria sensoriale della vista dei colori.
In oftalmologia medica emersero alcuni nomi come quello del maestro Jan (1650-1730), che pubblicò nel 1709 un trattato sulla cataratta e sul glaucoma, in cui si trova anche la prima descrizione del distacco di retina.

Saint Yves nel 1722 pubblicò il «Nuovo trattato delle malattie degli occhi», in cui le malattie oculari sono descritte molto bene e si parla anche del glaucoma cronico seguito da abbassamento della vista e da restringimento del campo visivo. Ma Saint Yves non lo collegò all’ipertensione oculare, che venne, invece, indicata dai due oculisti inglesi Taylor (1708-1772) e Woolhouse (165-1730), i quali proposero di curarla con suture.

In Italia Domenico Anel (1679-1730) mise a punto una tecnica di cateterismo delle vie lacrimali per mezzo di sonde il cui uso si è protratto fino all’epoca contemporanea. Lo studio della patologia delle vie lacrimali venne attuato anche Gian Luigi Petit.
Ma i progressi più importanti vennero realizzati nella chirurgia oculare, in cui eccelsero due oculisti francesi: Daviel e Pellier de Quensy.
Jacques Daviel (1696-1762) fu l’inventore della tecnica dell’estrazione del cristallino nell’operazione della cataratta che soppiantò rapidamente l’antico procedimento dell’abbassamento e si impose, pur con alcune modifiche, come l’incisione corneale superiore.

La chirurgia della cataratta affonda le origini nella notte dei tempi attraverso la tecnica della Reclinatio lentis, metodica per la quale con un ago, inserito all interno del bulbo, veniva staccato e reclinato il cristallino opaco verso il basso, nella cavità vitrea. Era un intervento il cui recupero visivo, molto limitato per la mancanza di lenti correttive, era frequentemente seguito da complicanze pressoché certe che ne compromettevano in modo definitiva la visione. 
Bisognerà attendere Jacques Daviel nel 1748 per avere un evoluzione della chirurgia con la tecnica extracapsulare che fino agli anni 60 si contese con la tecnica Intracapsulare, ideata nel 1753 da Samuel Sharp, la preferenza dei chirurghi.

Pellier de Quency, oculista a Montpellier e contemporaneo di Daviel, fu pure lui molto abile nelle operazioni e contribuì alla diffusione dell’estrazione del cristallino col procedimento di Daviel. Fu autore di trattati di oculistica e di chirurgia oculare in cui, fra l’altro, descrisse per la prima volta i tentativi di trapianti di cornea, da lui sperimentati su animali e consistenti nell’asportare il centro della cornea e di
sostituirlo con una cornea di vetro. Naturalmente i suoi tentativi fallirono.

In Italia emerse in questa disciplina Antonio Scarpa, che creò a Pavia una scuola capace di reggere il confronto con quella francese di Daviel. Scrisse un’opera intitolata «Saggio di osservazioni e di esperienze sulle principali malattie degli occhi», che fu per lungo tempo un testo classico di oculistica. Lasciò il suo nome legato allo «stafiloma corneale», che identificò per primo. Fece inoltre importanti studi sulla fistola lacrimale, sulla cataratta e sulle malattie dell’iride. Descrisse anche un intervento per l’applicazione della pupilla artificiale.
Tra gli oculisti italiani sono da ricordare anche Giovanni Battista Bianchi, che nel 1715 eseguì per primo il cateterismo del canale lacrimale e Natale Paolucci (1719-1797), che eseguì per primo il taglio a lembo della cornea per l’estrazione del cristallino.

Oculistica nel Rinascimento

Nel Rinascimento l’oculistica fece pochi progressi: si deve a Leonardo da Vinci (1492 – 1519) lo studio dell’anatomia del globo oculare e i suoi rapporti con il cervello, come dimostrano numerose pagine dei suoi manoscritti, così come la fisiologia della vista.

Va invece citato Keplero (1571 – 1630) per aver dimostrato come i raggi luminosi, che penetrano nell’occhio da diversi lati, vengono concentrati sulla retina dal cristallino: fu proprio Keplero a formulare l’ipotesi dell’accomodamento.

Fabrici di Acquapendente ideò invece un «occhiere» per bagni oculari e riconobbe nell’opacizzazione del cristallino la causa della cataratta.

Da ricordare anche Georg Bartisch (1535 – 1607), apprendista cerusico diventato poi oculista, che mise a punto un procedimento per l’enucleazione del globo oculare, praticando una vera e propria esenterazione orbitaria tramite un cucchiaio tagliente.
Fu autore dell’opera Ophthalmodouleia Das ist Augendienst, pubblicato nel 1583, corredato da numerose illustrazioni in cui descrisse il quadro completo delle operazioni praticate sull’occhio nel Rinascimento, nonché degli interventi usati all’epoca.

Bibliografia
Lowe. Australian and New Zealand Journal of Ophthalmology Volume: 25 Issue 4 (1997)
“Georg Bartisch: Ophthalmodouleia, der Augendienst, 1583. A treatise on service of the eyes and a review of the chapter on strabismus".

Nell’antica Roma si parlava di cataratta?

L’Oculistica incominciò a diffondersi a Roma verso il I secolo a.C., come viene attestato da un certo numero di stele funerarie in cui sono menzionati i “medici oculari” e i “chirurghi oculari”, inizialmente distinti, poi riuniti in una unica figura.

Il V e il VII libro del “De Medicina” di Celso sono dedicati all’Oculistica e vengono descritte trentasei malattie, tra cui congiuntiviti, ulcere, tumori – è stato Celso ad individuare l’epitelioma delle palpebre – la cataratta e altre patologie. Accanto ad ogni patologia, veniva descritta anche la terapia medica e chirurgica. La forma farmacologica più diffusa era il collirio, che poteva essere solido o liquido. I colliri solidi, più frequenti, si ottenevano mediante l’impasto di più ingredienti, generalmente costituiti da grasso di maiale, miele e cera d’api. Gli elementi chimici ed organici erano sali di zinco, piombo, di mercurio, di arnica. Quando la pasta era ancora molle, il medico imprimeva il suo sigillo, in cui era inciso il nome del collirio, quello del medico e quello della malattia. Al momento dell’uso, il collirio solido veniva diluito a seconda dei casi con acqua, aceto, vino, latte, albume.

Celso descrive alcuni interventi chirurgici, tra cui la cataratta, al pari delle complicazioni postoperatorie. La bleferoplastica, il raschiamento del tracoma e numerose altre. Lo strumentario chirurgico descritto da Celso non risulta molto abbondante: uno specillo per raschiare il tracoma, un ago finissimo per abbassare il cristallino nell’operazione di cataratta, un uncino, un cauterio per distruggere le ciglia, coltelli di piccole dimensioni.

Anche Galeno si è occupato di oculistica, sia dal punto di vista anatomico che fisiologico e terapeutico: affermò che i nervi ottici formano la prima coppia dei nervi cranici. Espose la teoria della visione, secondo la quale il cristallino raccoglie i raggi luminosi che passano attraverso la pupilla e la cornea e li dirige sulla retina e sul nervo ottico, che trasmette la sensazione visiva al cervello.

Dagli inizi del II secolo d.C. l’oculistica ebbe uno sviluppo straordinario in Gallia, fatto questo che viene documentato in alcune sculture e nella scoperta di sigilli oculistici e di sette astucci chirurgici di oculisti rinvenuti nelle loro tombe.