Là dove il grigio aveva spento ogni sia pur remoto desiderio d’essere qualcos’altro che grigio, solo là cominciava la bellezza.
Italo Calvino
Le cosmicomiche, Mondadori
La Medicina rappresenta forse il più antico elemento unificante tra scienza e arte, come già indicato da Ippocrate nel trattato Sull’Arte, databile all’ultimo scorcio del V secolo a.C. che pone tra i suoi scopi quello di individuare quali sono le caratteristiche che fanno della medicina una téchne, cioè una competenza in grado di ottenere un risultato pratico (il ristabilimento della salute), in base a un metodo che si fonda principalmente sulla conoscenza del “perché”.
Il concetto è illustrato da Valentina Gazzaniga (Dalla cura alla scienza: Malattia, salute e società nel mondo occidentale di Maria Conforti, Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga): «La medicina è quella competenza acquisibile e trasmissibile, frutto della combinazione accorta tra una consapevolezza dei principi teorici e un “saper agire”, e destinata alla creazione, o meglio “ricreazione” di un prodotto, che è la salute perduta. Essa si distingue sia dall’epistéme, il sapere astratto e tendente a una dimensione assoluta, sia dalla tribé, la competenza degli artigiani che si sviluppa sulla base di un procedimento empirico puro, fondato su un andamento “per prova ed errore”; essa consente di ripetere potenzialmente all’infinito una produzione con modalità corrette, ma senza in alcun modo incrementare la conoscenza. (…) La medicina come téchne è in grado di “stabilire distinzioni normative” e di definire l’ambito del corretto agire; il buon medico è colui che sa quello che deve fare, perché conosce le cause delle malattie “visibili ed invisibili” (Sull’arte, 9-11). Il corpo malato risponde, come ogni altra realtà sensibile, a precisi nessi temporali e causali; la téchne prevede la capacità di costruire storie che, partendo dal passato (la raccolta dei dati anamnestici; il racconto del vissuto di malattia del paziente), possano consentire la comprensione del presente (i sintomi; le modificazioni del corpo) per prevedere la conclusione, positiva o negativa, della vicenda che il corpo stesso racconta (la prognosi come capacità di dire se, quanto ed in quali condizioni durerà la malattia). La ferma applicazione di questo metodo esclude il caso, e le sue tragiche conseguenze, dalla storia dei malati».
Una visione che pone enfasi sul rapporto tra medico e paziente, ma da cui emerge la figura del medico, che racchiude la scienza, ossia la capacità di conoscere e comprendere le circostanze relative alla salute dell’uomo e l’arte quale capacità di applicare tale conoscenza alla cura delle malattie.
Medico, paziente, dolore, malattia, concetti che sono stati da sempre al centro della storia dell’uomo attraverso l’arte, che ha colto nel corso secoli attraverso l’opera degli artisti la dimensione umana e spirituale della malattia, la sofferenza, ma anche la relazione, proprio come emerge nel manoscritto di Laurenziano Gaddi (Biblioteca Laurenziana, Firenze, Italia) databile intorno al 1300 circa. Una immagine in un certo senso moderna, che fa comprendere come la relazione tra medico e paziente fosse realtà negli ospedali medievali: i ricoverati sono a letto, accuditi e nutriti (al centro dell’immagine il gesto del medico, riconoscibile per il copricapo rosso, che aiuta il paziente a portare il cibo alla bocca).
Nelle due immagini in primo piano, a destra un medico che sta detergendo una ferita, dal lato opposto un medico intento a fornire spiegazioni al paziente, che ascolta con attenzione con il braccio appeso al collo a causa probabilmente di un trauma. Gesti che richiamano l’oggi e che sono pervenuti a noi grazie a questa straordinaria opera.