Un grande anatomico rinascimentale che gettò le basi per gli studi moderni del corpo umano è stato Bartolomeo Eustachi (1500/1510-1574). Il tubo di Eustachio, che si estende dall’orecchio medio fino alla faringe, porta il suo nome. E senza dubbio il suo posto nella storia dell’anatomia sarebbe stato più importante se le incisioni su rame che aveva sviluppato con Pier Matteo Pini, suo allievo, non fossero scomparse dopo la sua morte. Leggi tutto “Bartolomeo Eustachi: un anatomico “dimenticato””
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La scuola enciclopedica: Celso
Le opere enciclopediche esistono da circa 2000 anni: la più antica che si è tramandata, la Naturalis historia, fu scritta nel I secolo da Plinio il Vecchio.
La scuola enciclopedica, pertanto, rappresentò un movimento culturale – importato a Roma dalla Grecia – che non aveva limiti di interessi, occupandosi di ogni branca, ivi compresa la medicina.
Tra le figure che se ne occuparono, vanno ricordati Aulo Cornelio Celso e Caio Plinio Secondo.
Nel periodo in cui Celso compose il suo manuale enciclopedico “Artes” la letteratura scientifica romana, che si opponeva alla tradizione del poema didascalico, era ancora agli inizi: basti pensare che, prima di Celso, soltanto Vitruvio si inserisce nel filone scientifico. Dimostrando, dunque, grande coraggio, Celso trattò di discipline pratiche assieme a discipline teoriche, ponendosi l’obiettivo di riunire tutto lo scibile in un’unica raccolta, come più tardi venne fatto anche da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia.
Non si conosce molto in merito alla sua figura: si ingnorano gli anni precisi della sua nascita e della sua morte, ma certamente fece parte della corte letteraria del giovane Tiberio nel 21 a.C. secondo quanto riportato da Orazio.
Inoltre, non è nemmeno certo che fu un medico, anzi la maggioranza degli storici ritiene fosse un “compilatore”.
Nel trattato De Artibus, Celso riunì tutte le conoscenze dell’epoca, dall’agricoltura all’arte militare, dalla retorica alla filosofia, dalla giurisprudenza alla medicina.
Mentre tutti gli altri scritti sono andati perduti, quello sulla medicina (De re medica) si è fortunosamente salvato: fu ritrovato dopo quattordici secoli da Papa Niccolò V nella chiesa di S. Ambrogio a Milano quando egli si chiamava solo Tommaso Perentucelli ed era semplice suddiacono della sede apostolica.
Il codice di Celso fu il primo libro di medicina pubblicato a mezzo della stampa, e comparve a Firenze nel 1478.
Il De re medica (scritto tra il 25 e il 35 d.C.) tratta della dieta, dell’igiene, della diagnosi e prognosi delle malattie, delle febbri, della terapia. In questa opera la medicina viene esposta secondo la dottrina ippocratica, di cui Celso era seguace, seppur non disdegnava altre dottrine qualora più convincenti per chiarire alcuni problemi.
L’esposizione della patologia e della clinica sono esposte secondo uno schema sintomatologico, così come è molto accurata la descrizione dell’infiammazione.
In quest’ultimo libro Celso sottolinea anche l’importanza del clistere e ricorda tra i purganti l’aloe e l’elleboro, e tra i medicamenti per uso esterno molte piante ricche di tannino. Nella cura delle ferite raccomanda come antisettici l’olio di timo, il catrame, la trementina e l’arsenico, mentre contro il dolore si vale del giusquiamo, della mandragora, dell’oppio e del solanum.
Degna di rilievo la parte dedicata all’igiene e alla dietetica,
offre, infatti, la ricetta sicura per dimagrire: mangiare una sola volta al giorno, prendere molti purganti, dormire poco, fare bagni e massaggi in acqua salata, muoversi molto.
Ma la sezione migliore è quella dedicata alla chirurgia: alcuni degli interventi da lui descritti molti sono divenuti classici, come la litotomia laterale, l’operazione per cancro del labbro inferiore, gli interventi di plastica per le perdite di tessuto, l’asportazione di cataratta, la tonsillectomia. Venivano eseguiti con strumenti appositamente ideati, come gli scalpelli (scalpri) di varia forma, le sonde (specili), gli uncini (unci), le pinze (forceps), le tenaglie, i trapani, le seghe, le spatole, oltre che le ventose (cucurbitae), le compresse, le corregge.
Uno dei meriti del De re medica è aver riportato tradotta (o raccolta) in latino la terminologia medica greca che aveva dominato sino ad allora il linguaggio dei medici.
Si tratta di un vero e proprio dizionario, che dominerà la scienza medica per due millenni.
La scuola eclettica
Si tratta di una scuola a cui appartengono le figure più illustri della medicina pregalenica romana e lo stesso Galeno, da alcuni storici, viene annoverato tra gli eclettici.
Fondatore della scuola fu Agostino di Sparta, allievo di Ateneo: riunì nella scuola eclettica quelli che ritenne essere i migliori principi della scuola metodica e pneumatica.
Pose alla base dei fenomeni vitali il concetto umorale, mentre come metodico attribuì molta fiducia alla terapia fisica e alle cure idropiniche. Si occupò di tossicologia e allo studio del polso. E allo studio del polso si dedicò anche anche Archigene di Apamea, in Siria, che visse a Roma sotto l’impero di Traiano. Alcuni lo considerano il fondatore della scuola, nonché uno dei maggiori rappresentanti della medicina romana. Descrisse molto bene alcune malattie, tra cui la difterite, la lebbra e l’ascesso del fegato.
Areteo di Cappadocia, vissuto tra la fine del II e l’inizio del II secolo d.C., fu un’altra figura di primo piano, tanto da essere reputato un secondo Ippocrate: concepì le malattie come dovute ad una rottura dell’equilibrio dei solidi, dei liquidi e del pneuma presente nell’organismo.
Areteo ha notevolmente contribuito al progresso delle conoscenze mediche: descrisse magistralmente alcune malattie come la pleurite, la sincope, le paralisi cerebrali, descrivendo per primo le paralisi “crociate” secondarie a lesione cerebrale, e l’ “ulcera siriaca” (difterite), e facendo acute osservazioni sul tetano (“nel quale il medico non può offrire assistenza ma solo pietà”), sul diabete mellito, sull’elefantiasi (non infrequente a Roma), sul morbo celiaco. In terapia diede particolare importanza alla dietetica, alla climatologia, alla fisioterapia.
Molto analitiche le sue descrizioni anatomo-patologiche, che fanno pensare che avesse ripetutamente esaminato cadaveri. I suoi scritti andarono perduti, e furono riscoperti solo nel XVI secolo.
Un altro eminente medico di questo periodo è Rufo di Efeso (circa 100 d.C.), grande anatomista cui si deve uno dei primi libri di terminologia medica (Dei nomi). Rufo è il primo a descrivere l’incrocio dei nervi ottici, e in modo dettagliato molti particolari strutturali dell’occhio (specie il cristallino), la laringe, il nervo vago, il mesentere, il pancreas, gli intestini, i dotti seminali, la prostata e le tube uterine. E’ anche il primo a descrivere la peste bubbonica e la lebbra.
La Ca’ Granda: l’Ospedale Maggiore di Milano
L’attività di assistenza è strettamente collegata al proprio territorio: questo blog nasce per valorizzare come le comunità hanno costruito intorno agli ospedali una identità molto forte. Un esempio è testimoniato dall’Ospedale Maggiore di Milano: ci racconta la sua storia il dottor Paolo Galimberti, responsabile della Struttura Beni Culturali Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Dottor Galimberti, quando nasce questa istituzione?
L’Ospedale Maggiore viene fondato nel 1456 da Francesco Sforza e da Bianca Maria Visconti, signori di Milano, portando a compimento la riorganizzazione degli antichi hospitalia voluta dall’arcivescovo Rampini nel 1448. Anche a Milano infatti, come in tutto il centro-nord Italia, alla metà del Quattrocento si assiste a un processo di riforma, volta a concentrare in una sola amministrazione civica tutte le istituzioni ospedaliere sorte nei secoli precedenti, creando degli ospedali “maggiori”, con autorità amministrativa e bacino d’utenza esteso ai confini della Diocesi. Analogamente ad altre città, per la nuova struttura viene costruito anche un nuovo edificio, appositamente concepito per garantire le ottimali condizioni igieniche e funzionali che facilitassero la cura, il cui progetto si attribuisce ad Antonio Averlino “il Filarete”. La costruzione dell’edificio si prolunga fino al 1805, concludendosi con un fabbricato di 300 metri di lunghezza per 100 di larghezza: la “magna domus hospitalis”, popolarmente detta la “Ca’ Granda”.
A questo si aggiungeranno nel tempo il Lazzaretto, reso celebre dai “Promessi sposi” di Manzoni, la chiesa di San Michele ai nuovi sepolcri (da tutti conosciuta come “la rotonda” di via Besana), la Pia casa degli esposti e delle partorienti di Santa Caterina alla Ruota, il manicomio della Senavra. Dalla fine dell’Ottocento sorgono poi i padiglioni del Policlinico, mentre le funzioni sugli esposti e sui malati mentali vengono cedute alla Provincia; nel Novecento si contribuisce alla nascita degli Istituti Clinici di Perfezionamento, e vengono costruiti gli ospedali di Niguarda, di Sesto San Giovanni, e San Carlo Borromeo.
Ci può raccontare la sua storia?
Ripercorrere le vicende dell’Ospedale significa ricostruire la storia di Milano e della Lombardia degli ultimi 1000 anni.
Non solo per la medicina, l’assistenza, l’igiene, ma potendo disporre di un osservatorio privilegiato per la storia dell’architettura, dell’urbanistica, dell’arte, dell’economia, dell’agricoltura, dell’ingegneria idraulica, della moda e del costume, solo per fare alcuni esempi.
Dottor Galimberti, come possiamo esprimere il legame tra la città e i suoi benefattori?
Di fatto la storia dell’ospedale è la storia della società che lo ha prodotto e sostenuto nei secoli: gli amministratori scelti tra le élites cittadine, i tecnici che hanno lavorato per esso, che siano medici infermieri o architetti, i fittabili del patrimonio fondiario, i fornitori, e infine gli assistiti, gli infermi, i bambini affidati all’istituzione della quale divenivano figli.
L’ospedale, fin dall’età medievale, ha erogato assistenza gratuita ai bisognosi e le risorse per far fronte a infiniti bisogni sono sempre state fornite dalla generosità cittadina. Il contributo dei benefattori era ben chiaro allo Sforza che, nell’epigrafe apposta alla facciata del nosocomio, riconosce che la fondazione si deve, oltre che a lui, alla moglie Bianca Maria “una cum Mediolanensi populo”, insieme al popolo milanese. Effettivamente gli atti di generosità, attestati in archivio fin dall’età medievale, si manifestano in donazioni, testamenti e legati, e vanno da modeste elargizioni al trasferimento di grandi capitali e proprietà.
Per ricordare i più illustri e generosi sostenitori, per gratificarli e per incentivarne l’emulazione, l’ospedale ne commissiona a proprie spese il ritratto pittorico. La tradizione, cominciata nel 1602 e proseguita fino ad oggi, ha permesso di accumulare oltre 900 dipinti, che insieme descrivono non solo quattrocento anni di arte lombarda, ma la storia della società, del costume, delle modalità di auto-rappresentazione dei ceti elevati. Visto il successo in termini di raccolta fondi, l’usanza è stata rapidamente imitata da tutti gli enti assistenziali e sanitari lombardi, ma certamente quella dell’ospedale Maggiore di Milano resta ineguagliata per ampiezza, importanza degli artisti, rilevanza dei benefattori, continuità di esecuzione.
Un altro aspetto rilevante, e che ben rappresenta il legame anche affettivo della città col suo ospedale, è l’attività di volontariato. Già nel Seicento sono attestate confraternite o associazioni che svolgono un libero servizio a favore degli ammalati; nell’Ottocento sorgono la Pia Unione di Beneficenza e Carità (le “dame del biscottino”) e la Commissione Visitatori e Visitatrici, tuttora operante. Oggi le associazioni di volontariato o le fondazioni di sostegno alla ricerca e all’attività sanitaria operanti in ospedale sono più di settanta.
La scuola pneumatica
La scuola pneumatica sorse in Roma verso la metà del I secolo d.C.: un nome dovuto al fatto di aver posto lo “pneuma” alla base dei fenomeni vitali dell’organismo.
Una scuola che sosteneva che lo stato di salute fosse collegato all’equilibrio degli umori regolato dal pneuma: qualcosa di innato nell’uomo e costantemente rinnovato grazie al respiro, che compenetrando nel sangue, costituisce il mezzo operante sugli umori. Ecco perché le alterazioni del pneuma generano lo stato di malattia.
Ateneo di Attaleia fu il fondatore di questa scuola, che giunse a Roma sotto l’impero di Claudio, tra il 41 e il 54 d.C.
Scrisse numerose opere, di cui non vi sono praticamente più tracce; riconobbe nella dieta uno dei più importanti mezzi per correggere gli squilibri ormonali.
Si occupò anche di semeiotica, dedicandosi principalmente allo studio del polso, che considerava un indicatore di controllo del pneuma nelle arterie.