Erbari e Bestiari, trattati e rimedi nel Medioevo

l’iconografia dei rimedi assume un fascino particolare negli Erbari del Medioevo

A partire dal mondo antico, per giungere sino all’era moderna e contemporanea, si cercarono nel mondo della natura i mezzi per combattere le malattie che da sempre hanno afflitto l’umanità.

Ippocrate aveva affermato che, qualora la dieta non fosse sufficiente a ridonare la salute a un malato, allora il medico doveva ricorrere a rimedi – farmaci o trattamenti idonei – per ristabilire l’equilibrio degli umori ed eliminare l’eccesso dell’umore che era causa della malattia.

Il rimedio è il farmaco, cioè un principio attivo (in genere erbe o sostanze dal regno animale) in grado di imprimere al corpo una modificazione uguale e contraria alla causa di malattia. Esso è in grado indifferentemente di guarire o di nuocere; il suo effetto dipende unicamente dall’abilità del medico che sa valutare il kairós, l’opportuno, e regola la forza del rimedio, somministrandolo in dosi opportune.

Tutto può essere farmaco: erbe del Mediterraneo, sostanze di importazione orientale, ma anche cibi di normale utilizzo. Il trattato sul Regime (fine V – inizi IV secolo a.C) elenca tutta una serie di alimenti, crudi o cotti, che possono correggere il corpo. Grazie a Marco Porcio Catone con il suo “Praecepta ad Marcum filium”, in particolare nella sezione dedicata al “de agri cultura”, possiamo conoscere i sistemi di cura e le piante medicinali usate dai romani di questo periodo. Fra tutte Catone prediligeva il cavolo, anzi, i cavoli: egli indica quattro diverse varietà, che costituivano, a suo dire, una vera panacea contro tutti i mali. “Con i cavoli medicava piaghe, curava ascessi, tumori maligni, riduceva fratture e lussazioni, leniva congiuntiviti ed eczemi, debellava la malinconia e l’insonnia. Interessanti i metodi usati: per i polipi nasali suggeriva di triturare finemente le foglie e aspirare la polvere per alcuni giorni. In caso di sordità consigliava di infondere il cavolo nel vino e poi di versare il succo così ottenuto, goccia a goccia, nell’orecchio malato. Per le malattie cutanee bastava applicare le foglie sulla parte lesa, mentre per favorire la digestione e lenire i dolori di stomaco occorreva condire le foglie con l’aceto e mangiarne qualche po’ prima di ogni pasto. L’insonnia si curava con il costante uso serale di questa verdura e così via. Per buona sorte dei suoi concittadini Catone suggeriva anche l’uso di qualche altra pianta medicinale, come ad esempio il melograno per le elmintiasi, le foglie di menta e ruta per medicare piaghe e ferite e quelle dell’assenzio che, opportunamente disposte, erano un toccasana per prevenire le abrasioni alle natiche che si formano quando si cavalca a lungo. Infine, e qui era all’avanguardia perché pare che sia stato il primo a citarli, suggeriva l’uso di vino e mosto medicato con varie essenze vegetali”(1).

Successivamente Galeno, maestro indiscusso per tutto il Medioevo e sino al Seicento, aveva dato l’esempio con i suoi imponenti trattati dedicati ai rimedi: i “semplici” erano alla base dei “composti” e si ricavavano soprattutto dal mondo vegetale, ma una buona parte si attingeva anche al mondo animale e a quello minerale.

Durante il Medioevo, fiorì un’abbondantissima letteratura farmacologica dedicata ai medicamenti “semplici” e “composti”, in particolare prese avvio la letteratura degli Erbari, dei Bestiari e dei Lapidari  (che descrivevano le virtù delle pietre), sempre accompagnata da illustrazioni che esercitano oggi un particolare fascino, in quanto esempi di quanta parte dedicata alla fantasia e alla fantasticheria queste opere facessero ricorso.

Mandragola Maschio. Herbarium Biblioteca Universitaria di Pavia XIV secolo
Mandragora Maschio. Herbarium Biblioteca Universitaria di Pavia XIV secolo
mandragola femmina
mandragora femmina

La radice fusiforme della mandragora (Mandragora officinarum) ricorda, per la sua forma, il corpo umano. La mandragora contiene alcaloidi derivati dal trapano, di effetto stupefacente, e nel Medioevo era considerata una pianta magica e medicinale. Si credeva avesse poteri per proteggere chi la possedeva dai cattivi spiriti e per avere successo e felicità. Le credenze dicono che non poteva essere raccolta con una forca o con l’aiuto di un cane nero, altrimenti avrebbe perso i suoi poteri.

La trascrizione di manoscritti nei monasteri condusse, durante l’Alto Medioevo, alla formazione di una medicina, chiamata monastica, caratterizzata da raccolte di scritti sulle proprietà medicinali delle piante.

Con il “Capitulare de villis“, introdotto da Carlo Magno intorno all’812 per regolare l’amministrazione delle proprietà fondiarie e di quelle date in beneficio ai conti e ai vescovi, vennero date indicazioni sulla disposizione delle diverse colture, i tempi della semina, dell’aratura, della mietitura e della vendemmia, la gestione degli animali, il trattamento dei servi e dei coloni, il ruolo dei funzionari. Il decreto, che ordinava ufficialmente ai conventi e ai grandi proprietari la coltivazione di ortaggi, piante medicinali e determinati alberi e fiori, contribuì in grande misura a promuovere lo sviluppo della medicina popolare. In questo modo iniziarono a comparire i primi giardini botanici medicinali in parallelo agli ospedali monastici.

Va segnalata nel XII secolo il Germania l’attività di Ildegarda di Bingen (1098-1 179), famosa badessa e erborista, poi divenuta santa, autrice di due trattati: Physicae o Liber simplicis medicinae e Causae et curae o Liber compositae medicinae. Gli scritti di santa lldegarda ebbero grande importanza nella formazione della nomenclatura tedesca delle piante medicinali. Per la prima volta i nomi locali comparvero accanto alle denominazioni latine.

- Dalla cura alla scienza: Malattia, salute e società nel mondo occidentale (Saggi) - Maria Conforti, Gilberto Corbellini, e altri

La morfina

Friedrich Wilhelm Adam Sertürner nell’Ottocento ebbe il merito di estrarre il primo alcaloide dalle piante medicinali

Da sempre gli uomini hanno scoperto gli usi e gli effetti collaterali di alcune sostanze: molti disturbi potevano essere risolti con semplici rimedi, spesso casalinghi, senza doversi rivolgere al medico-guaritore. Nacque così la medicina popolare, o casalinga, basata su principi terapeutici codificati dalla medicina empirica, che utilizzava ai fini terapeutici vari mezzi e le erbe medicinali erano le più diffuse.

Ma accanto a sostanze per ‘guarire’ fin dall’antichità è documentato l’utilizzo di droghe estratte dalle piante: già la medicina egizia utilizzava droghe, sebbene fossero sfruttate per scopi ludici.
Anche nella società greca e romana era accettato l’utilizzo di droghe, considerate il veicolo di connessione con il corpo e con la divinità.
Con l’avvento del Cristianesimo questa concezione tuttavia venne messa in discussione, in quanto introdotto il concetto di ordine morale legato alla conduzione verso il male, verso falsi dei.

Nonostante questo, la scienza ha proseguito nei secoli il suo cammino: nel 1800 la terapia medica, sia come farmacologia sia come mezzi terapeutici sussidiari, fece un notevole progresso rispetto ai secoli precedenti grazie all’acquisizione di nuove conoscenze di fisiologia e di patologia, ma soprattutto grazie ai grandiosi sviluppi dell’analisi chimica e della farmacologia sperimentale, che consentirono a questa disciplina di liberarsi dall’empirismo ancora permanente.
Le ricerche di farmacoterapia si indirizzano fondamentalmente su due vie: quella di un più approfondito studio dei vecchi medicinali e quella della ricerca di nuovi farmaci da usare contro le infezioni.

L’affermarsi della farmacologia sperimentale che consentì di controllare l’attività dei farmaci mediante l’esperimento, e il progresso della chimica, che permise di estrarre i principi attivi dalle piante medicinali, fecero sì che la terapia medica dell’Ottocento si arricchisse di medicinali di più pronta efficacia e di migliore sicurezza di dosaggio.

Tra le nuove sostanze medicamentose scoperte nell’Ottocento occupano una posizione rilevante gli «alcaloidi», nome che venne introdotto da W. Meissner per indicare il principio attivo di natura alcalina contenuto nelle piante medicinali.

Il merito di aver estratto il primo alcaloide dalle piante medicinali va a Friedrich Wilhelm Adam Sertürner (Paderborn, 19 giugno 1783 – Hameln, 20 febbraio 1841) farmacista tedesco che nel 1807 isolò dall’oppio una sostanza di natura alcalina ‘che chiamò «morphium» (morfina), in onore del Dio greco del sonno e dei sogni Morfeo, perché faceva dormire.

L’oppio, che si ottiene incidendo la superficie del capolino del papavero in maturazione, è sempre stato usato per scopi medici: i primi a servirsene furono le tribù del neolitico diffuse nell’Europa centrale e meridionale oltre seimila anni fa e, come detto, già i greci ne decantavano le proprietà mediche e calmanti.

Il papavero da oppio è fonte di circa 25 alcaloidi diversi: tra questi, appunto, la morfina che venne commercializzata fin dal 1827, diventando ben presto molto diffusa e somministrata per le sua capacità di alleviare dolori.

La morfina – che viene estratta solo dal papavero e non sinteticamente – è un sedativo del sistema nervoso centrale e, allevia il dolore, calma la tosse, ma solo a posteriori ci si rese conto che questo stupefacente induceva una dipendenza ancora maggiore rispetto all’oppio. Il suo uso prolungato, come tutti gli alcaloidi dell’oppio, porta ad un avvelenamento cronico, cui consegue il decadimento fisico, fino alla morte, dell’individuo.

Il suo effetto ‘calmante’ è rappresentato nelle opere del pittore spagnolo Santiago Rusiñol i Prats (Barcellona, 25 febbraio 1861 – Aranjuez, 13 giugno 1931) che nel 1894 realizzò ‘La morfina’ e ‘La medalla’ nelle quali è fissato in modo emblematico l’effetto antidolorifico di questo farmaco.

Piante medicinali: la drosera

Una pianta medicinale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è un organismo vegetale che contiene in uno dei suoi organi sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici o che sono i precursori di emisintesi di specie farmaceutiche. Leggi tutto “Piante medicinali: la drosera”

Il semprevivo

Il semprevivo è una pianta molto comune che veniva utilizzato come rimedio dalla “medicina popolare”: distribuito in modo uniforme in Italia e in Europa, la specie più nota è Sempervivum tectorum, che cresce su rocce, muri e tetti, e forma numerose rosette di foglie grasse, che persistono anche d’inverno. Leggi tutto “Il semprevivo”