Il dolore fisico nell’arte

Il dolore rappresenta il mezzo con cui l’organismo segnala un danno tissutale. Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of Pain – 2020) e dell’Organizzazione mondiale della sanità, il dolore «è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a (o simile a quella associata a) un danno tissutale potenziale o in atto».

Un chirurgo che applica una medicina a una ferita alla spalla di un uomo che soffre. Dipinto ad olio di Gerrit Lundens del 1649

Non c’è vita animale senza dolore, ma nella specie umana esso assume significati e implicazioni indissociabili dal sentimento di sé e dal significato stesso di esistere. Il dolore è veicolo di segnali di pericolo, ha utilità protettiva nei confronti dell’animale, segno di allarme in molte circostanze.
Il dolore ha avuto una funzione fondamentale nella sopravvivenza dell’individuo specialmente animale, ma anche umano, come messaggio della necessità di intraprendere una reazione necessaria a seguito di un’aggressione o di un danno all’integrità fisica. Per questo, i recettori del dolore sono in grado di identificare vari tipi di stimoli pericolosi che siano meccanici, chimici, termici. Non a caso, i recettori del dolore sono presenti praticamente nella totalità degli organismi viventi non vegetali, proprio perché durante la selezione naturale la loro utilità ne ha preservato la funzione.

Un ragazzo piange per il dolore tra le braccia della madre mentre lei cerca di lavargli il piede tagliato, un altro bambino tiene un vetro rotto sullo sfondo.

Le espressioni fisiche della sofferenza, nella forma della reazione istintiva agli stimoli dolorosi, hanno spinto gli artisti del passato a un particolare interesse verso lo studio della fisionomica, per evidenziare i moti dell’animo, esprimendoli con le pieghe del volto e le posture del corpo.
Lo stesso Leonardo Da Vinci sosteneva che “il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’uomo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo è difficile, perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra: e questo è da essere imparato dai muti, che meglio li fanno che alcun’altra sorte di uomini”: e ancora “farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo, altrimenti la tua arte non sarà laudabile”

Parlando di dolore nell’arte, il pensiero vola diretto alla produzione artistica, di forte stampo autobiografico, della messicana Frida Kahlo: lei dedicò moltissimi dipinti alle varie tematiche dolorose che permearono la sua difficile e breve esistenza, che si snodò tra problemi di salute (quindi sofferenze fisiche) e disagi sociali e familari (quindi sofferenze psicologiche).

Colonna Rotta - Frida Khalo
Colonna Rotta – Frida Khalo

Proprio poiché la sofferenza è parte della vita, diversi altri artisti hanno ritratto soggetti in preda a dolori fisici di differenti intensità, condizione facilmente individuabile e riconoscibile, grazie a mirabili e attenti trat-ti fisionomici che rasentano, in molti casi, veri e propri virtuosismi artistici; tra queste, forse la più nota è l’opera di Caravaggio (Ragazzo morso da un ramarro, 1595-1600), che mostra il preciso istante in cui un ragazzo viene morso da un animale. Il movimento improvviso del giovane, certamente studiato dal vero, consiste nell’allontanamento del braccio da uno stimolo doloroso acuto, che si percuote lungo tutti gli arti superiori, con entrambe le mani in contrazione, giungendo fino alla spalla in una posa del tutto innaturale, in condizioni normali. Tale fenomeno, descritto magistralmente dall’artista alla fine del Cinquecento, fu definito scientificamente soltanto a fine Ottocento, con il nome di “arco riflesso”: uno stimolo doloroso intenso, come una puntura o una bruciatura, ne provoca il repentino allontanamento; il gesto esprime un riflesso nervoso che avviene senza coinvolgere i centri nervosi superiori o la corteccia cerebrale, dunque indipendentemente dalla coscienza del soggetto, involontario.
La scoperta dell’arco riflesso, responsabile di questo meccanismo di difesa, deriva dagli studi di fisiologia del sistema nervoso, compiuti tra XIX e XX secolo, contribuendo alla nascita della neurologia moderna.

Caravaggio (Ragazzo morso da un ramarro, 1595-1600)

Molto più drammatico e teatrale si presenta il dipinto di Gaspare Traversi (L’operazione, 1753-54), artista napoletano che fa emergere le emozioni anche dal sangue che scorre a rivoli durante un intervento chirurgico, la cui descrizione non ha alcuna pretesa di documentazione scientifica, quanto, piuttosto, di rappresentazione delle diverse fisionomie espressive dei protagonisti: il malato mostra evidenti segni di estremo dolore, attraverso una mimica facciale molto accentuata; le mani serrate e le braccia contratte, a contrastare l’energico gesto dell’assistente del chirurgo, che cerca di tenere termo il paziente.

Gaspare Traversi (L’operazione, 1753-54)

Un altro esempio di rappresentazione – più o meno evidente – del dolore si torva nell’opera “La cura di Innocenzo di Cartagine: le preghiere di sant’Agostino d’Ippona e altri salvano Innocenzo da un doloroso intervento chirurgico”. Pittura a olio secondo Schelte Bolswert. Quest’opera raffigura un evento a Cartagine nel 388, ampiamente descritto da sant’Agostino d’Ippona nel ‘De civitate dei’, libro XXII, capitolo 8, dove discute la continuazione dei miracoli nella sua stessa epoca. Il malato è Innocenzo di Cartagine, ex avvocato della viceprefettura di Cartagine, in cura per diverse fistole anali (“curabatur a medicis fistulas quas numerosas atque perplexas habuit in posteriore et ima corporis parte”). Tuttavia, per motivi di decoro, l’artista lo mostra invece con una gamba fasciata che il chirurgo si aspetta di amputare con una sega.

Oculistica nel Rinascimento

Nel Rinascimento l’oculistica fece pochi progressi: si deve a Leonardo da Vinci (1492 – 1519) lo studio dell’anatomia del globo oculare e i suoi rapporti con il cervello, come dimostrano numerose pagine dei suoi manoscritti, così come la fisiologia della vista.

Va invece citato Keplero (1571 – 1630) per aver dimostrato come i raggi luminosi, che penetrano nell’occhio da diversi lati, vengono concentrati sulla retina dal cristallino: fu proprio Keplero a formulare l’ipotesi dell’accomodamento.

Fabrici di Acquapendente ideò invece un «occhiere» per bagni oculari e riconobbe nell’opacizzazione del cristallino la causa della cataratta.

Da ricordare anche Georg Bartisch (1535 – 1607), apprendista cerusico diventato poi oculista, che mise a punto un procedimento per l’enucleazione del globo oculare, praticando una vera e propria esenterazione orbitaria tramite un cucchiaio tagliente.
Fu autore dell’opera Ophthalmodouleia Das ist Augendienst, pubblicato nel 1583, corredato da numerose illustrazioni in cui descrisse il quadro completo delle operazioni praticate sull’occhio nel Rinascimento, nonché degli interventi usati all’epoca.

Bibliografia
Lowe. Australian and New Zealand Journal of Ophthalmology Volume: 25 Issue 4 (1997)
“Georg Bartisch: Ophthalmodouleia, der Augendienst, 1583. A treatise on service of the eyes and a review of the chapter on strabismus".

Leonardo: genio anatomico

Pur riconoscendo Andrea Vesalio come il più grande anatomico del Rinascimento, va ricordato che Leonardo da Vinci (1452-1519) è stato iniziatore dello studio dell’anatomia e della fisiologia su base scientifica, per mezzo di ricerche originali e di dissezioni sul cadavere ed è stato anche il primo ad avere illustrato l’anatomia con disegni dal vero.
Nato a Vinci presso Empoli nel 1452, Leonardo abitò a prevalentemente a Firenze ma dimorò anche a Milano, a Roma, in Francia, oltre a brevi permanenze in luoghi presso altri signori. Morì in Francia nel 1519.
Genio eclettico e multiforme, precorre di molto i suoi tempi in molti campi dello scibile, compresa l’anatomia, della quale si occupò da vero e proprio anatomico e non come semplice conoscitore della materia.

Genio eclettico e multiforme, precorre di molto i suoi tempi in molti campi dello scibile, compresa l’anatomia: fu autore di ricerche originali e di dissezioni sul cadavere ed è stato anche il primo ad avere illustrato l’anatomia con disegni dal vero.

Leonardo iniziò i suoi studi anatomici del 1489 come risulta dai suoi disegni e, come gli stesso disse, eseguì una trentina di autopsie tra Firenze, Milano e Roma. Ma dove egli dedicò maggiormente lo studio dell’anatomia fu a Pavia: lì ebbe come collaboratore Marco Antonio della Torre, lettore di medicina all’Università di Pavia, con il quale avrebbe avuto intenzione di compilare un grande trattato di anatomia. Un progetto che non potè essere realizzato a causa della prematura morte del della Torre.

Questi disegni, denominati anche “fogli vinciani”, sono oggi conservati in Inghilterra ma in passato sono passati inosservati o quasi.

Leonardo, seguendo il proprio istinto che lo portava in qualsiasi campo al perfezionamento della tecnica, escogitò anche in campo anatomico dei mezzi di ricerca che meravigliano per la modernità del loro principio.

Egli fu il primo a praticare tagli seriali e a iniettare sostanze solidificabili nei vasi per poterli mettere meglio in evidenza e nei ventricoli cerebrali e nel cuore per poterne riprodurre la forma interna.  Disegnò il cuore nei minimi particolari e descrisse bene le quattro cavità che da Galeno erano state ridotte solo a due (cuore destro e cuore sinistro). Descrisse inoltre le valvole atrio-ventricolari e quelle dei grossi vasi, dimostrandone sperimentalmente la funzione. Mise in evidenza le corde tendinee, l’endocardio, le trabecole intraventricolare e il fascio moderatore, che venne chiamato corda di Leonardo. Negli organi del sistema respiratorio disegnò bene l’albero bronchiale e l’insieme dei polmoni, dimostrando mediante l’insufflazione forzata di aria, che i bronchi terminano a fondo cieco e che l’aria non può passare nel cuore come sosteneva Galeno. Interessanti sono i suoi studi sulle proporzioni del corpo umano.

I manoscritti e disegni di Leonardo subirono dopo la sua morte vicende sfortunate e vennero pubblicati in maniera completa solo nel 1911 quando l’anatomia era già molto progredita. Sono circa un migliaio e sono contenuti in 119 fogli raccolti, appunto nel 1911, da autori norvegesi in un’opera in sei volumi, intitolata “Quaderni di anatomia” con traduzione inglese e tedesca.