L’Ostetricia in epoca romana

Ostetricia, ginecologia, urologia, oculistica, otorinolaringoiatria, odontoiatria: tutte specialità chirurgiche che furono oggetto di interesse dei romani.

L’ostetricia, in particolare, costituì un argomento così rilevante da entrare a far parte del corpo normativo, per tutelare donne gravide e puerpere.

Già all’epoca dei re di Roma, Numa Pompilio aveva emanato la “Lex Regia” che stabiliva che il cesareo andava eseguito su una donna non viva, ma subito dopo la sua morte, per salvare il nascituro. La legge Cornelia puniva coloro che proponevano sostanze abortive e qualora la donna fosse morta per le pratiche criminose era prevista la deportazione o la pena capitale.
Nonostante l’aborto fosse punito, erano permesse pratiche antifecondative, descritte in modo minuzioso nei testi dell’epoca: consistevano generalmente nella chiusura dell’utero attraverso sostanze grasse, unguenti, lana impregnata di grasso.
Altre disposizioni consideravano la gestante come sacra, prevedendo severe pene per chi recasse danno morale o materiale.
L’ostetricia e la ginecologia destarono perciò vivo interesse fra i medici dell’epoca, in particolare vi si dedicarono Rufo d’Efeso, Celso, Sorano d’Efeso e Galeno.
Rufo si occupò di anatomia dell’apparato genitale, con una descrizione sommaria dell’utero. Celso non scrisse molto, ma ebbe il merito di comprendere la difficoltà del parto in posizione podalica, che poteva comunque essere realizzato senza far girare il feto.
Nel periodo imperiale, la “lex regia” di Numa Pompilio venne trasformata in “lex cesarea”, sebbene la tradizione che lega Cesare al parto cesareo sia inesatta, in quanto, come ricorda Plutarco, la madre di Cesare era ancora viva quando egli combatteva la guerra gallica.
Fu Plinio a indicare la denominazione “cesarea” in relazione alla nascita di Scipione l’Africano, anche se va sottolineato che Cesone deriva dal verbo latino coedere che significa tagliare.

Sorano d’Efeso, considerato il più grande ostetrico dell’antichità, fu il primo a far progredire l’ostetricia: nella sua opera principale “Delle malattie delle donne” riassunta dal suo allievo Moschione e usata fino al 1800, si rivolge alle levatrici, fornendo consigli di ordine deontologico.


Nell’opera sono tracciati elementi di anatomia e circa la fisiologia dell’apparato genitale femminile, stabilisce che l’utero può essere asportato senza provocare la morte della donna; che il ciclo è fisiologico e intuì che tra le mammelle e l’utero esiste una correlazione.

In riferimento alla generazione, accettò la teoria aristotelica che attribuiva uguali proprietà procreatici al seme maschile e a quello femminile.
Descrisse, nella sezione della distocia, la presentazione podalica, affermò che le primipare partoriscono con difficoltà così come quelle dai fianchi stretti. Consigliò la difesa del perineo durante l’espulsione del feto, praticò la doppia legatura del cordone ombelicale e limitò l’embriotomia.

Nell’opera di Sorano non mancano nozioni di puericultura e pediatria: dalle indicazioni per riconoscere la maturità del neonato, i lavaggi, le unzioni, le regole dell’allattamento, lo svezzamento e la dentizione. Sono inoltre descritte le malattie infantili e le loro cure.

Epoca post galenica: l’organizzazione sanitaria in epoca romana

Con Galeno si chiuse il periodo classico della medicina greco-romana ed ebbe inizio quello definito della decadenza, anche se il Medioevo era lontano ancora tre secoli.
In questi periodo, i medici si attennero scrupolosamente agli insegnamenti classici, con semplici compilazioni o raccolte di ricette, pur non mancando persone di talento.

Ma da segnalare è soprattutto la legislazione e l’organizzazione sanitaria romana: in questo campi, infatti, Roma è stata maestra, stabilendo norme che valgono ancora oggi.

Presso il popolo romano l’igiene e la sanità pubblica vennero sempre tenute in grande considerazione, regolate da una rigida legislazione.
Territorio. Avvalendosi degli insegnamenti etruschi, i romani compirono opere di bonifica sia in città, sia nelle zone limitrofe, provvedendo alla realizzazione della “cloaca massima”, con lo scarico nel Tevere delle acque luride urbane.
Acqua. La scarsità delle fonti locali e l’incremento della popolazione indussero i romani a rifornirsi di acqua da fonti più ricche, convogliandole attraverso gli acquedotti le cui rovine possono ancora essere visibili oggi.
Igiene. Altre vestigia dell’igiene romana sono le terme, di cui Roma fu ricchissima, tanto che all’epoca di Diocleziano (284-305 d.C.) se ne contavano circa 800. Le terme rimasero per lungo tempo non solo un luogo di pratica igienica, ma anche di idroterapia, quando con la scuola metodica, i bagni caldi e freddi erano prescritti come cura di molti stati morbosi.
Esercizio fisico. Rappresentava uno dei capisaldi dell’organizzazione romana. Veniva effettuato al ginnasio, una palestra spesso annessa alle terme, cui accedevano sia atleti per allenamento sia persone per correggere imperfezioni.
Alimentazione. Gli edili controllavano l’igiene alimentare: verificando gli ammassi di grano, sorvegliando i mercati, avevano il potere di impedire le vendite di prodotti guasti.
Ospedalità. Roma non ebbe una vera e propria ospedalità intesa in senso moderno, ma erano presenti valetudinari che svolgevano attività ospedaliera sia pure limitata a determinate persone. Si trattava di infermerie più o meno ampie, dove venivano curati gli schiavi e i famigliari ammalati. Erano inoltre presenti valetudinari militari, adibiti al ricovero dei combattenti.

Il medico a Roma era considerato fino al primo secolo a.C. un modesto artigiano: con le disposizioni di Cesare, nel 46 a.C. di concedere la cittadinanza romana a tutti i medici stranieri che esercitavano in Italia fu utile per il riconoscimento pubblico del ruolo ed elevare la sua posizione. Nel 29 a.C. Augusto trasformò i medici in funzionari statali, autorizzandone il raggruppamento in corporazioni.
Fu in questo periodo che sorsero le prime scuole private di medicina, che garantivano la capacità professionale di coloro che ne uscivano.