La chirurgia greca postippocratica

Dopo la morte di Ippocrate la medicina e la chirurgia greca languirono.

Fu grazie alla scuola di Alessandria d’Egitto, nel III secolo a.C. circa, in particolare con le figure di Erasistrato e Erofilo, la scienza medica poté procedere.
Pur con differenze, furono i primi nella storia ad effettuare la dissezione dei cadaveri umani, dedicandovi metodo e notevole frequenza.
Pare che Erasistrato eseguì interventi chirurgici anche sul fegato, per medicare l’organo. Praticò la paracentesi per curare l’ascite e inventò un catetere ad S per il sondaggio della vescica.
Erofilo diede la prima descrizione anatomica della prostata e  fu autore del “Libro delle levatrici”: i medici dell’antica Grecia, infatti, dimostrarono un particolare interesse per l’ostetricia e la ginecologia, come dimostrano i ben sette libri dedicati alla materia nel Corpus Hippocraticum.

Nei libri di ostetricia e ginecologia vi sono scarse e inesatte nozioni di anatomia e fisiologia, così come di clinica e terapia. Le ovaie, per esempio, erano ritenute corrispettive dei testicoli, con il compito di secernere il seme femminile. L’utero era suddiviso in due cavità, destra e sinistra, destinate ad accogliere embrioni maschili o femminili.
E anche i problemi della riproduzione non erano molto ben noti: i greci ritenevano che il feto maschile si formasse in 30 giorni, quello femminile in 42. E secondo questi testi, i bambini crescevano come piante, a testa in su, per fare poi una capriola intorno al settimo mese!
Secondo alcuni storici, Ippocrate conosceva la sedia ostetrica; per facilitare il parto, la donna era sottoposta alla succussione ippocratica, che consisteva nel legarla ad un letto posto in posizione verticale che al momento delle doglie, veniva sollevato e lasciato cadere su dei fagotti per ammortizzare il colpo. Un metodo già usato dalla scuola di Cnido.
In campo urologico, Ippocrate si interessò di reni e vescica, classificando le malattie dell’apparato urinario. Descrisse anche la litiasi urinaria, adottando però metodi terapeutici inadeguati.

La chirurgia greca prima di Ippocrate

Sono i poemi omerici, in particolare l’Iliade, a darci informazioni sulla chirurgia greca.
Dai poemi, infatti, si può dedurre che la professione del chirurgo era laica e non riservata alla classe sacerdotale.

E nelle battaglie dell’Iliade, la chirurgia era un’arte praticata da esperti, indipendente rispetto alla medicina. Nel poema omerico si trovano figure di chirurghi combattenti che – oltre a curare le ferite – partecipavano direttamente all’azione.

Il più famoso di essi Macaone, figlio di Esculapio, era al seguito di Agamennone nella guerra di Troia. Fu lui ad essere chiamato da Agamennone per curare Menelao.
Sui campi di battaglia, le prestazioni chirurgiche erano semplici e consistevano nell’estrazione di frecce o giavellotti, nel medicare le ferite con succhi vegetali, nel lavare il sangue con acqua tiepida e nell’applicare bende. Prestazioni semplici ma apprezzate. La descrizione omerica delle lesioni attesta una grande conoscenza del corpo umano e dei punti maggiormente vulnerabili, ma anche della disposizione anatomica degli organi: fatto che ha permesso agli storici di ipotizzare che Omero potesse essere medico prima che essere un poeta.
Ma si tratta di ipotesi senza prove, a maggior ragione se si analizzano e numerose lacune e imprecisioni contenute nel testo: nessun guerriero si ammala a seguito di una ferita, nessuno ha mai la febbre, le piaghe sanguinano ma non si infiammano.
Tra Omero e Ippocrate vi è un periodo di cinque secoli, periodo in cui fiorirono scuole e liberi gruppi di maestri che prestavano la loro opera vagando in città: i precursori dei chirurghi ambulanti medievali.
Il più celebre fu Dernocede di Crotone, che curò Dario, re di Persia, affetto da una lussazione alla caviglia.

La medicina greca: il periodo scientifico

Verso la fine del 600 a.C. nella civiltà greca si sviluppò il pensiero scientifico, che favorì il passaggio dalla medicina religioso-empirica a quella scientifica.
Questo permise l’elaborazione di un vero e proprio metodo di studio sulle cause e sulle origini della vita da parte dei “filosofi”, ossia gli amanti del sapere, che elaborarono nuove dottrine tese ad illustrare il mistero della vita attraverso lo studio della natura. Questa impostazione ebbe come conseguenza un atteggiamento differente rispetto all’arte medica, portando come naturale conseguenza alla “medicina scientifica”. Un approccio che rifiutava ogni possibile causa soprannaturale e che prevedeva l’attenta e sistematica valutazione dei casi clinici attraverso l’analisi di molteplici ipotesi sull’eziologia delle varie affezioni.
Una impostazione che originò scuole, alcune a carattere esclusivamente filosofico, altre filosofico e medico.
La scuola di Mileto fu la prima in ordine di tempo. Probabilmente favorita dalla posizione geografica, in Anatolia sulle coste dell’Asia Minore, convergenza della cultura greca, egiziana e assiro-babilonese, favorì il pensiero dei primi filosofi: Talete, Anassimandro e Anassimede. Il primo fu il fondatore della scuola, che considerava l’acqua principio di tutte le cose. Anassimandro è invece l’ideatore del concetto di principio e il “principio delle cose”  è l’infinito. Anassimede, pur riconoscendo il concetto degli “eterni contrari” ideato da Anassimandro, considera l’aria unica sostanza essenziale.
La scuola di Efesto ebbe come massimo rappresentante Eraclito, che riconobbe nel fuoco il principio del mondo.
Queste due scuole non si occuparono specificatamente di medicina.

La scuola di Crotone ha il merito di occuparsi di medicina, grazie ad una impostazione razionale che diede il suo fondatore Pitagora da Samo.

La dottrina pitagorica riconobbe nei numeri il principio di ordine e armonia della natura. Alla scuola di Crotone non sono legate scoperte scientifiche degne di rilevanza, ma va attribuita l’impostazione che riconosceva nell’armonia la salute, mentre il suo turbamento avrebbe provocato la malattia.
Ad essa apparteneva Alcmeone, primo grande filosofo ad occuparsi di medicina: per il rigore scientifico dei suoi studi, a lui è riconosciuto il merito di aver conferito alla medicina la dignità di scienza. Autore di un’opera a contenuto biologico e medico, il “Periphyseos”, studiò per primo l’anatomia, anche avvalendosi di ricerche autoptiche (autopsie) su animali. Sostenne che dal cervello partono tutte le nostre funzioni vitali ed è quindi “egemone dell’organismo”. In patologia fornì spunti interessanti, propedeutici agli studi di Ippocrate: sostenne, infatti, che fosse l’equilibrio a mantenere il benessere, mentre la prevalenza di un opposto sull’altro avrebbe causato la malattia.
La scuola di Agrigento fu fondata da Empedocle (500-430 a.C.) che rivelò molteplici interessi, dalla letteratura alla medicina. Soggetto eclettico e dalla grande personalità, anticipò la teoria di Darwin, sostenendo che i primi ominidi, esponenti imperfetti della razza umana, avrebbero avuto origine dall’aggregazione dei quattro elementi primordiali: terra, acqua, aria e fuoco. La loro selezione avrebbe permesso la vita solo alle forme più evolute. Anche i cinque sensi furono spiegati dalla teoria dei quattro elementi, in quanto a ciascuna funzione era attribuito un principio.
Il più famoso allievo di Empedocle fu Acrone, che alle speculazioni del maestro prediligeva la pratica medica: a lui infatti possono essere attribuiti interessanti metodi di terapia e profilassi. E fu il primo ad applicare la pratica delle fumigazioni dopo una epidemia di pestilenza, adottata successivamente da Ippocrate.
La scuola di Cnido fu invece la prima scuola di medicina del mondo occidentale: secondo Galeno sorse intorno al 600 a.C. e si occupò prevalentemente dell’aspetto terapeutico della malattia. I dettami fondamentali di questa scuola, le “sentenze”, trovano posto nel Corpus Hippocraticum.

Guarisce tutti i mali: Panacea e gli altri dei guaritori nella medicina preippocatrica

I poemi omerici illustrano la civiltà micenea, nel periodo che va dal 3000 al 600 a.C. e anche la medicina preippocratica, basata su fondamenti religiosi-empirici.
Numerosi sono i riferimenti alla medicina dell’epoca, con rudimentali nozioni di anatomia che utilizzano però una terminologia analoga a quella ancora oggi utilizzata. Si distinguono i muscoli, i tendini, le ossa e le articolazioni, il midollo osseo, i vasi sanguigni e finezze come il torace separato dall’addome per mezzo del diaframma.
Le misure igieniche con lavaggi, bagni e unzioni sono correnti: lo stesso Ulisse utilizza fuoco e zolfo per sterilizzare la sua casa dopo la strage dei Proci. Inoltre, grande attenzione veniva data all’attività fisica.
Per quanto riguarda la traumatologia, è piuttosto progredita.

La medicina è in mano ai sacerdoti, attraverso i quali è possibile entrare in contatto con le divinità: nell’Olimpo il posto di maggiore riguardo era occupato da Apollo, dio della medicina, che poteva curare o inviare pestilenze e morte se veniva trascurato.

Altra divinità medica era Asclepio (in latino poi divenne Esculapio), figlio di Apollo e della ninfa Coronide: affidato al centauro Chirone, dopo essere stato strappato dal grembo materno a causa del suo tradimento, da lui apprese la pratica della medicina, oltre che dal padre Apollo. Venne però fulminato da Giove per aver cercato di curare malattie ritenute inguaribili senza l’intervento degli dei.
Nonostante l’episodio, a lui vennero attribuiti onori divini e nella sua figura vennero unificati tutti i culti delle divinità protettrici della medicina.
Gli Asclepiadi erano i suoi sacerdoti, tra i quali raggiunsero grande fama proprio i suoi figli: Podalirio, Macaone, Panacea, Igea, Telesforo.
I sacerdoti esercitavano la medicina nei templi, che erano luoghi di cura, abitualmente collocati in zone salubri e presso fonti dove si diceva le acque fossero dotate di virtù benefiche. I pazienti venivano sottoposti a riti purificatori, che prevedevano bagni, digiuni e l’assunzione di bevande soporifere. I sacerdoti si aggiravano tra i giacigli dei “pazienti”, che al loro risveglio narravano quanto vissuto in sogno. Dopo l’interpretazione del sogno, i sacerdoti prescrivevano le terapie più adatte, che consistevano nella somministrazione di medicamenti. E se la malattia proseguiva senza arrivare ad una guarigione, la responsabilità era del paziente, accusato di scarsa aderenza alla prescrizione o poca fiducia nell’ausilio divino. I pazienti guariti, invece, lasciavano una tavoletta votiva, con il proprio nome, la patologia e la terapia adottate. In questo modo è rimasta traccia solo dei successi delle terapie – nel tempio di Esclepio a Epidauro ne sono state rinvenute ben 44 – ma non gli esiti negativi.
La medicina, inoltre, era praticata in modo empirico, con tradizioni tramandate da padre in figlio, di cui è possibile rinvenire tracce anche nei poemi omerici, dove si trova anche la figura del “medico militare”, che si occupava della salute delle truppe.