La ‘rete mirabile’ di Galeno

RETE MIRABILE

Nell’anatomia e nella fisiologia di Galeno la rete mirabile è il complicatissimo plesso di sottilissimi vasi che si trova nel cervelletto e che presenta l’aspetto di un albero, per cui venne anche definito «arbor vitae»: «albero della vita». Secondo Galeno il fegato riceve attraverso la «vena porta» i cibi elaborati dall’intestino e li trasforma in sangue venoso. Questo passa attraverso le vene e giunge al ventricolo destro del cuore ove la maggior parte della massa sanguigna si sofferma per esservi purificata.
La purificazione avviene soprattutto tramite il passaggio di una certa quantità di sangue dal ventricolo destro ai polmoni, ove essa si scarica delle impurità per ritornare alle vene. La parte rimanente di sangue passa dal ventricolo destro al sinistro attraverso invisibili forellini che permeano il setto interventricolare. Qui giunta, per effetto del calore vitale e del pneuma, questa parte di sangue vede trasformato lo spirito naturale di cui è carica, in spirito vitale e, passando attraverso il sistema arterioso, distribuisce la nuova forma di «spirito» a tutto il corpo. Alcuni rami arteriosi, anziché scendere dal cuore al resto del corpo, salgono verso il cervelletto, ove vanno a formare una fittissima rete di capillari, la famosa rete mirabile. Qui lo spirito vitale subisce un ulteriore processo di sublimazione, diviene spirito animale e si distribuisce, poi, anch’esso a tutto il corpo attraverso il sistema nervoso, considerato da Galeno il terzo sistema vascolare.

La presenza della rete mirabile non venne per più di un millennio posta in dubbio e venne negata per la prima volta e definitivamente da Andrea Vesalio. Nel suo trattato Humani corporis fabrica (La fabbrica del corpo umano), la cui pubblicazione, nel 1543 -lo stesso anno in cui vide la luce l’altrettanto fondamentale trattato di Nicolò Copernico De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni delle orbite celesti)- rivoluzionò l’anatomia tradizionale ed inaugurò l’anatomia moderna, Vesalio rende questa divertente confessione: «Quanta importanza abbiano senza ragione attribuito i medici e gli anatomici suoi seguaci a Galeno, principe dei maestri di anatomia, sta a dimostrarlo il beato e mirabile plesso reticolare del quale egli nei suoi libri parla ad ogni pie‘ sospinto e che i medici hanno sulle labbra più di ogni altro organo interno e descrivono sull’autorità di Galeno, quantunque non lo abbiano mai visto (come non videro quasi nulla del corpo umano). E in verità, per tacere degli altri, io stesso non mi potrò mai meravigliare abbastanza della mia stessa ingenuità e della mia troppa fede negli scritti di Galeno e degli altri anatomici. Io che ero tanto preso dall’ammirazione per Galeno, che mai, nelle lezioni di anatomia, affrontai la dissezione di un capo umano senza che avessi a disposizione anche un capo di agnello o di bue, onde mi fosse possibile rimediare e porre sotto gli occhi dei discepoli nel capo ovino quanto non si trovava affatto nel capo umano, affinché non si dicesse che in nessun modo mi fosse riuscito di trovare quel plesso che di fama era notissimo a tutti».
In efferti Vesalio scoprì ed ebbe il coraggio di dichiarare che «Galeno stesso fu tratto in inganno dalla dissezione di cervelli bovini; egli descrisse non un cervello umano e neppure i suoi vasi, ma quello bovino» nel quale, appunto, Vesalio nota che «qualche cosa di simile alla rete di Galeno» si trova nei pressi dell’«infundibolo pituitario», ossia nei pressi dell’ipofisi.

L’importanza delle osservazioni di Vesalio ed il loro potenziale rivoluzionario si possono misurare sulla base di un solo fatto: il grande Leonardo da Vinci (1452—1519), i cui quaderni anatomici sono un miracolo di osservazione e di abilità di disegno, ma, soprattutto, sono una delle prime e più nobili testimonianze del disegno anatomico dal vero (sappiamo da lui stesso che sezionava clandestinamente cadaveri umani), in un disegno riproducente il cervello umano sezionato dalla parte superiore vi disegna la rete mirabile che sicuramente non poteva aver visto! In effetti la sezione mediana del rombencefalo, nel cervello umano, rivela una struttura a forma di albero frondoso, che viene ancora oggi definita, per tradizione, «albero della vita», ma non è certamente né quello disegnato da Leonardo, né quello descritto da Galeno e tanto meno svolge la funzione da Galeno attribuita alla sua rete mirabile.

Dal Rinascimento alla rivoluzione scientifica

L’invenzione dei caratteri mobili e la stampa permise dalla fine del XV secolo, una più ampia diffusione del sapere antico e particolarmente delle conoscenze scientifiche e mediche, attraverso la pubblicazione delle opere dei maggiori autori di medicina del mondo greco e romano.

Padova nel 1400 era divenuto il più importante centro di studio d’Europa grazie all’accorta politica veneziana. Grazie alla presenza di studiosi di gran valore, Padova nel Rinascimento ebbe una elevatissima disponibilità di professori: le Università, infatti, facevano a gara nel disputarsi i nomi migliori, che consentivano di attirare un gran numero di studenti provenienti dalle diverse nazioni europee.

Le autorizzazioni al libero esercizio delle dissezioni concesso in questo periodo dai regnanti pontefici, Sisto IV e Clemente VII, aumentarono la possibilità di compiere autopsie, favorendo così l’opera di revisione dell’anatomia.

Accanto alla revisione dell’anatomia venne fatta anche quella della fisiologia, secondo l’uso di Galeno restavano riunite in un’unica materia. Il fatto poi che l’anatomia avesse esteso il proprio campo d’azione dell’organismo sano a quello malato determinò la nascita dell’anatomia patologica.

Va inoltre detto che anche la chirurgia si avvantaggiò dello sviluppo dell’anatomia, sebbene in maniera inferiore alle aspettative.
Da questo periodo, nelle università, i lettori di anatomia vennero incaricati di leggere anche la chirurgia, per la riconosciuta attinenza fra le due materie. Sorse così la figura del «chirurgo anatomico» che durerà fino all’inizio del 1800.

Non subirono, invece, revisioni la patologia e la clinica medica, molto più difficili da controllare rispetto all’anatomia (normale e patologica) e alla chirurgia. Tali materie, infatti, nonostante qualche tentativo di rinnovamento, rimasero invariate rispetto ai secoli precedenti.

La patologia umorale mantenne ancora tutto il suo valore, così come il ragionamento medico, che continua ad essere basato sul sillogismo e sulla deduzione. Persistettero anche la magia e l’astrologia che avevano caratterizzato la medicina medievale.

Questo fino al 1543, data da ricordare perché vengono confutati due tra i più importanti miti scientifici dell’epoca: la concezione ANTROPOCENTRICA e la concezione GEOCENTRICA.

Galeno, studioso del naso

Con Galeno ebbe inizio uno studio preciso del naso, dal punto di vista anatomico e fisiologico: divise l’organo in una parte esterna e due cavità interne, separate fra loro dal setto e comunicanti con il cervello. Descrisse il vomere, la cartilagine quadrangolare e la lama bucherellata dell’etmoide che forma il tetto della cavità nasale. Identificò la mucosa nasale con quella della bocca e della faringe e la considerò un prolungamento della dura madre. Dimostrò inoltre gli stretti rapporti esistenti tra il naso e l’orbita attraverso il canale nasolacrimale.

Galeno attribuì tre funzioni al naso: il passaggio dell’aria per la respirazione, il suo riscaldamento e filtraggio; l’escrezione delle mucosità del cervello; la ventilazione del cervello e il passaggio degli odori. Galeno sostenne che la sede dell’odorato non si trova nella mucosa ma nel ventricolo anteriore. Egli identificò la patologia nasale con quella del catarro, che ritenne dovuto ad eccessiva produzione di escrezioni provenienti dal cervello.

E sempre in campo otorinolaringoiatrico, Galeno individuò nella laringe tre parti: la cricoide, la tiroide e l’aretnoide, riunite un un’unica cartilagine. Considerò le corde vocali come un prolungamento della lingua e questa come il “becco” di quel flauto rappresentato dalla laringe. A proposito della formazione della voce, scrisse che “è il suono che si può produrre solo nella laringe, grazie ai suoi muscoli e alle sue cartilagini e la sua acutezza dipende dall’ampiezza della rima laringea”. Osservò che il taglio o il ferimento dei nervi ricorrenti del vago o delle corde vocali provocava disfonia o afonia, così come le ferite del torace, del cervello e del midollo spinale. Notò anche che la presenza di corpi estranei nella laringe provocava la tosse.

La sua terapia era estremamente varia: prescriveva diete, cure termali, medicamenti, emollienti a base di latte, miele, espettoranti, astringenti, salassi. Non parla mai di inalazioni, molto conosciute invece dagli egiziani.

Nell’antica Roma si parlava di cataratta?

L’Oculistica incominciò a diffondersi a Roma verso il I secolo a.C., come viene attestato da un certo numero di stele funerarie in cui sono menzionati i “medici oculari” e i “chirurghi oculari”, inizialmente distinti, poi riuniti in una unica figura.

Il V e il VII libro del “De Medicina” di Celso sono dedicati all’Oculistica e vengono descritte trentasei malattie, tra cui congiuntiviti, ulcere, tumori – è stato Celso ad individuare l’epitelioma delle palpebre – la cataratta e altre patologie. Accanto ad ogni patologia, veniva descritta anche la terapia medica e chirurgica. La forma farmacologica più diffusa era il collirio, che poteva essere solido o liquido. I colliri solidi, più frequenti, si ottenevano mediante l’impasto di più ingredienti, generalmente costituiti da grasso di maiale, miele e cera d’api. Gli elementi chimici ed organici erano sali di zinco, piombo, di mercurio, di arnica. Quando la pasta era ancora molle, il medico imprimeva il suo sigillo, in cui era inciso il nome del collirio, quello del medico e quello della malattia. Al momento dell’uso, il collirio solido veniva diluito a seconda dei casi con acqua, aceto, vino, latte, albume.

Celso descrive alcuni interventi chirurgici, tra cui la cataratta, al pari delle complicazioni postoperatorie. La bleferoplastica, il raschiamento del tracoma e numerose altre. Lo strumentario chirurgico descritto da Celso non risulta molto abbondante: uno specillo per raschiare il tracoma, un ago finissimo per abbassare il cristallino nell’operazione di cataratta, un uncino, un cauterio per distruggere le ciglia, coltelli di piccole dimensioni.

Anche Galeno si è occupato di oculistica, sia dal punto di vista anatomico che fisiologico e terapeutico: affermò che i nervi ottici formano la prima coppia dei nervi cranici. Espose la teoria della visione, secondo la quale il cristallino raccoglie i raggi luminosi che passano attraverso la pupilla e la cornea e li dirige sulla retina e sul nervo ottico, che trasmette la sensazione visiva al cervello.

Dagli inizi del II secolo d.C. l’oculistica ebbe uno sviluppo straordinario in Gallia, fatto questo che viene documentato in alcune sculture e nella scoperta di sigilli oculistici e di sette astucci chirurgici di oculisti rinvenuti nelle loro tombe.

Galeno e la chirurgia

A Galeno sono attribuiti oltre quattrocento trattati: non tutti sicuramente autentici ma, anche dall’analisi di quelli che sono conosciuti come opere originali, emerge un quadro che pone Galeno come autorità per l’insegnamento medico, la ricerca anatomica, la sperimentazione fisiologica in medicina fino al pieno Evo moderno.

Studioso dalla enorme curiosità intellettuale, anatomista che seppe rivoluzionare l’approccio al corpo integrando con l’osservazione dei corpi animali il sapere umorale e qualitativo ippocratico, fisiologo e sperimentatore infaticabile, clinico in grado di affrontare tipologie molto variegate di pazienti (dai gladiatori ai membri della cerchia imperiale romana), ma anche studioso della natura, delle erbe e delle sostanze da impiegare in farmacologia.

Nonostante la sua eccezionale bravura, non si distinse particolarmente nella chirurgia: di certo se ne occupò in modo attivo, seppur limitatamente alla traumatologia, nel periodo che lo vide medico alla scuola dei gladiatori di Pergamo. Una volta a Roma, adattandosi all’indirizzo dei medici romani, trascurò l’attività chirurgica per dedicarsi completamente a quella medica.

Sulla materia scrisse comunque due opere, “De articulis” e “De fractis”, in cui illustrò ferite, fratture, lussazioni, ulcere fistole, tumori, ernie, precisandone anche la sintomatologia, prognosi e trattamento chirurgico.

Per primo, mise in evidenza l’arresto delle pulsazioni dopo le legature arteriose, praticate a monte del punto esaminato: su questa nozione si basò l’emostasi in chirurgia.
Non aggiunse nulla rispetto alle conoscenze del tempo sulle ferite della testa e sulle fratture. Ma descrisse con minuzia la fasciatura alla testa, utilizzata fino all’inizio del secolo, così come l’arte delle fasciature, raccolte nel trattato “De fasciis”.
Sempre in chirurgia, descrisse il nervo laringeo ricorrente, il cui taglio accidentale nel corso di intervento per gozzo, poteva provocare la perdita della voce; furono da lui eseguiti vari interventi nuovi e di buon esito, tra cui il trattamento per il labbro leporino, o l’estirpazione dei polipi nasali.
Lasciò il suo nome legato alla lussazione acromio-calvicolare, lesione che egli stesso si produsse in palestra.