Orto dei Semplici

Fin dall’epoca preistorica, l’uomo si rese conto che non tutte le malattie potevano essere determinate da fenomeni soprannaturali, secondo il principio della “medicina magica”.

Anzi, molte disturbi potevano essere risolti con semplici rimedi, spesso casalinghi, senza doversi rivolgere al medico-guaritore. Nacque così la medicina popolare, o casalinga, basata su principi terapeutici codificati dalla medicina empirica, oltre che su semplici nozioni che l’uomo aveva appreso dalla vita quotidiana.

Utilizzava ai fini terapeutici vari mezzi: le erbe medicinali erano le più diffuse, ma venivano usate anche sostanze di origine animale o minerale.

Erbe come assenzio, crescione, finocchio, malva, menta, pulegro, ruta, salvia, tanaceto, santoreggia e rosmarino, facevano parte delle sedici piante officinali che non potevano mancare nelle coltivazioni Monasteri nel Medioevo, in quello che veniva chiamato “Orto dei semplici”.

In epoca medievale, infatti, le figure dei monaci dovevano prendersi cura dell’infirmus, cioè nutrirlo e saperne lenire i dolori, curare le ferite, medicare le piaghe, curare le malattie interne.
Per questo tipo di attività, era necessario avere una certa preparazione: nacque il monacus infirmarius a cui era affidata l’assistenza sanitaria del monastero. Ma egli inoltre si dedicava alla coltivazione delle piante medicinali contenute nell’ “Orto dei semplici”, utilizzate per la preparazione dei farmaci.

Chiamati anche horti medici erano meglio conosciuti come horti simplicium. I “semplici” erano infatti le erbe usate per la cura delle malattie (la parola deriva dal latino medievale medicamentum simplex), che fino al Rinascimento, per tradizione, erano curate solo dai religiosi nel chiuso dei loro conventi. Con in consolidamento delle Università, nel quindicesimento secolo, tale prerogativa passò al mondo accademico, in quelli che vennero poi definiti “orti botanici”.