I NUMERI MAGICI


Perché il 17 porta sfortuna? O il 13 fortuna?

I numeri magici, senza alcuna pretesa di conoscenza scientifica, hanno radici profonde ed estese.

Nella cultura primitiva, e, poi, nella cultura greca, romana, medievale, sino all’Umanesimo del XV secolo e al Rinascimento del secolo successivo, ai numeri, o meglio, ad alcuni di essi si riconoscono particolari virtù, positive o negative e, quindi, particolari forze che essi sarebbero in grado di esercitare sul mondo in generale e sull’uomo in particolare.

Di più: i numeri sono persino in grado – tramite una serie di elaborati calcoli fondati sulla corrispondenza che si ha in greco fra numeri e lettere dell’alfabeto – di consentire all’uomo che ne conosca i misteri di predire il futuro.

Fra i numeri magici occupano una posizione primaria il 3, il 4, il 5 ed il 7.

L’importanza del 3 è forse da far risalire al fatto che, essendo l’1 considerato dagli antichi non un numero, ma l’origine, la matrice di tutti i numeri (quindi non considerato né pari, né dispari), ed essendo, quindi, il 2 il primo numero, che è pari, cioè imperfetto- secondo le antiche teorie-, ne deriva che il 3 è il primo «numero perfetto», appunto perché è dispari.

L’importanza del 4, nonostante sia pari, è determinata dal fatto che, sommando le cifre dall’1 al 4 (1+2+3+4) si ottiene 10, che, a sua volta, è numero perfettissimo, è l’aurea decade dei pitagorici, in quanto è la somma del 3 e del 7, i numeri perfetti per eccellenza (il 7 è perfetto in quanto somma di 3 e di 4, che, fra l’altro, è il primo quadrato).

L’importanza del 5 è, forse, da ricondurre ai più antichi sistemi di numerazione e di computo, fondati sulle dita delle mani (e dei piedi, per cui l’espressione «più di un uomo» vale «più di venti», ossia una quantità che non si può contare perché supera la somma di tutte le dita del corpo umano).

L’importanza massima, infine, del 7 deriva, oltre che dal fatto di essere la somma di 3 e di 4, dall’essere esso il numero dei pianeti, ovviamente se si consideri la terra ferma al centro secondo la concezione che noi diciamo tolemaica, ma che è la più antica, la più universalmente diffusa e, sino almeno alle prime ardite ipotesi eliocentriche, ossia sino ad Aristareo di Samo (sec. IV a.C.), l’unica.

Una serie di elaborati calcoli fondati sulla corrispondenza fra numeri e lettere dell’alfabeto consentiva la predizione del futuro.
Questa forza profetica risiedeva, quin
di, nel numero stesso e poteva essere messa a profitto rapportando i numeri non solo con le lettere dell’alfabeto ma con ogni altro svolgimento di eventi, e, quindi, anche con il decorso delle malattie.

Nacque in tal modo la «teoria del numero 7» che fu uno dei pilastri della medicina (soprattutto per formulare la prognosi) dal trattato Peri hebdomadon (Sulle settimane) del Corpo ippocratico in poi, sino, praticamente, a tutto il sec. XVI e che, in parte, ancor oggi sopravvive a livello popolare.

Il settimo giorno è il giorno critico, ossia quello nel quale si risolve il caso o negativamente o positivamente.

Ma non basta il settimo: intervengono anche i multipli di 7, a loro volta computati in base a separazione o a continuità.
Nel primo caso l’ultimo numero del primo gruppo (il 7, appunto) chiude la settimana ed il numero seguente (8) ne apre un’altra, che si chiuderà con il 14.

Nel secondo caso, l’ultimo numero del gruppo (il 14) è anche il primo della settimana seguente la quale, quindi, si chiuderà non con il 21, ma con il 20.

Questo, a sua volta, è l’inizio di una nuova settimana computata anch’essa per continuità, ragion per cui essa si chiuderà con il 26, dal quale riprende una nuova sequenza per separazione.

I giorni critici, quindi, sono il 7°, il 14°, il 20°, il 26° ecc. E questi computi erano una delle più complesse e fondamentali parti dell’arte medica ed erano uno degli elementi più importanti che il medico doveva osservare non solo per formulare una diagnosi seria, ma anche per formulare un’altrettanto seria prognosi ed, infine, per gestire opportunamente gli interventi terapeutici che venivano regolati, appunto, sulla base del decorso della malattia nel susseguirsi delle settimane.

Arte e anatomia da Leonardo ad oggi

Qual è la forma dei muscoli visibili attraverso la pelle? Dove si trovano i nervi? Quali e quanti sono, che forma hanno, qual è il loro rapporto con i muscoli e le ossa? Come funzionano, in base a quale forza?

Queste curiosità legate al corpo umano sono oggetto di studio dell’anatomia, ossia la scienza biologica che studia la forma e la struttura degli esseri viventi: deve il suo nome al metodo di indagine, la dissezione, che ancora oggi, pur integrato da moderni e perfezionati metodi di ricerca, ha fondamentale importanza nello specifico campo di studio.

La storia dell’anatomia è strettamente collegata anche all’arte e trova in Leonardo Da Vinci un precursore: a giudicare dalle opere che ci sono pervenute nessuno degli artisti fiorentini prima di Leonardo aveva affrontato questi problemi. Fino ad allora ci si era limitati all’esame esterno di corpi umani emaciati o muscolosi, e quando possibile allo studio di uno scheletro o di alcune sue parti.

Gli studi anatomici sono fra le ricerche preferite di Leonardo, che si è dedicato quasi ogni giorno per almeno cinquant’anni della sua carriera di scienziato e artista. Leonardo da Vinci si accosta agli studi di Anatomia Umana attraverso l’Anatomia Artistica, praticata da alcuni pittori del ‘400, per meglio raffigurare il corpo umano. Ma la “meravigliosa macchina umana” affascina ben presto l’animo di artista e di scienziato in Leonardo, che dall’Anatomia Artistica di superficie, dei muscoli e delle ossa, passa allo studio degli organi interni.
La pubblicazione di Domenico Laurenza “Leonardo. L’anatomia” (Giunti editore) contiene una presentazione organica dell’opera di Leonardo e confronta i disegni con l’iconografia anatomica scolastica, evidenziando come il grande Genio ha utilizzato le forme di visualizzazione utilizzate all’epoca prima di rivoluzionarle. Egli ha dato anche impulso all’Anatomo-Fisiologia, che si sviluppa proprio in quegli anni nelle Università italiane, studiando i movimenti del corpo, le leve che utilizza l’apparato muscolo – scheletrico umano e le forze che produce. Quindi, analizza i sensi, il sistema nervoso, circolatorio, urinario e l’apparato riproduttivo; approda, infine, all’Anatomia Patologica, considerando le modificazioni prodotte nell’organismo con l’età ed indaga persino sulle cause di morte.

Con il suo metodo rigoroso d’indagine, le sue innovative scoperte, le accurate descrizioni e le meravigliose illustrazioni delle sue tavole anatomiche, Leonardo può quindi a pieno titolo essere considerato precursore della Scienza Medica moderna.

Uno dei più famosi e singolari disegni anatomici di Leonardo, singolare per sua la compiutezza è “l’Albero delle vene”, che illustra nozioni anatomiche tradizionali, senza novità, a parte la grande efficacia dell’immagine.

È la testimonianza del primo contatto e del giovane Leonardo con la cultura medica dell’epoca, nel momento in cui fissa quanto ha appreso nell’unico linguaggio in cui si sente forte, quello dell’immagine. A quei tempi i testi anatomici erano disponibili quasi esclusivamente in latino, lingua che solo più tardi Leonardo tenterà di studiare. Con l’aiuto di un medico egli in contatto con questi testi latini.
Leonardo rappresenta, sovrapposti su di un corpo integro, il cuore, il fegato, la milza, i due reni, la vescica urinaria, le arterie, le vene. Secondo una teoria dell’epoca le arterie originavano dal cuore, le vene dal fegato. È forse una conseguenza di questa teoria il fatto che Leonardo dia al fegato, per analogia, una forma molto simile a quella del cuore: forma che non corrisponde a quella con più lobi tramandata dai trattati scolastici di anatomia e neppure alla forma reale che sarà da lui determinata solo dopo la dissezione di un uomo centenario attorno al 1506-1507.

Oggi sono numerose le tecniche di indagine per lo studio e l’analisi del corpo umano, tra cui si ricorda la plastinazione, tecnica che arresta la decomposizione del cadavere e produce campioni anatomici solidi, inodori e durevoli per la formazione scientifica e medica. Inventata nel 1977 presso l’Università di Heidelberg, in Germaniadal Dr. Gunther von Hagens, anatomista e scienziato, questa tecnica ha dato origine alla mostra BODY WORLDS (curata dalla Dr. Angelina Whalley, medico e concept design), riscuotendo un grande successo in tutto il mondo.

Come emerge dalle immagini, l’esposizione rivela il corpo umano dal livello strutturale a quello cellulare e illustra il corpo interiore attraverso studi anatomici dettagliati, dissezioni intricate e composizioni estetiche.

Bibliografia 
https://it.wikipedia.org/wiki/Anatomia
https://www.treccani.it/enciclopedia/anatomia/ 
https://www.giunti.it/catalogo/leonardo-lanatomia-9788809064980
https://boa.unimib.it/retrieve/handle/10281/15632/20311/Leonardo
https://it.wikipedia.org/wiki/Plastinazione
https://bodyworlds.it/

9 ottobre: prima Giornata nazionale degli Ospedali Storici

visite guidate su itinerari riservati, ad ingresso libero, in diciassette siti ospedalieri storici dei tredici collegati ad ACOSI

Carità, medicina, spiritualità, cultura sono le radici degli antichi ospedali italiani, un patrimonio storico di valori. Questo lo slogan dell’Associazione Culturale Ospedali Storici Italiana (ACOSI) nata nel 2019 tra Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, IRCSS, enti di assistenza, e promotrice della prima Giornata nazionale degli Ospedali storici, il prossimo del 9 ottobre.

La Giornata ha come obiettivo rendere fruibile l’inestimabile patrimonio storico di strutture che pure sono a tutti gli effetti luoghi di medicina, di assistenza e di cura, come spiega Edgardo Contato, Presidente della associazione: “I tredici Ospedali diventano i tasselli una nuova e originale proposta culturale: nella Giornata di domenica 9 ottobre verranno aperti tutti insieme, alla fruizione dei cittadini sensibili al bello, questi luoghi in cui tra mura antiche si pratica la medicina più moderna, e in cui anche la bellezza e l’arte contribuiscono alla cura della persona malata. La rete degli Ospedali storici si propone quindi come un itinerario ideale in cui architettura, arte, sapere medico e storia sociale si fondono, in modo mirabile e ogni volta differente di città in città. Siamo certi che questo itinerario negli Ospedali storici, che mancava ed ora c’è, costituisce un contributo importante alla valorizzazione di luoghi identitari che va più a fondo della semplice visita ad un luogo d’arte”

Per questo è stata definita la programmazione dell’iniziativa “porte aperte”, ossia una proposta di visite guidate su itinerari riservati, ad ingresso libero, in diciassette siti ospedalieri storici dei tredici collegati ad ACOSI, fondata tre anni fa e che vede oggi tredici ospedali affiliati: Ospedale Santa Maria Nuova Firenze, Ospedale Civile Santi Giovanni e Paolo VENEZIA, Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico MILANO, Ospedale Santo Spirito in Sassia ROMA, Ospedale degli Incurabili – MAS NAPOLI, Azienda Ospedaliera S. Antonio e Biagio e C. Arrigo ALESSANDRIA, ASST Spedali Civili BRESCIA, ASST LODI, Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna RAVENNA, Azienda Ospedaliera “Complesso Ospedaliero San Giovanni Addolorata” ROMA.

Il programma di visita nella Giornata viene pubblicizzato nei canali informativi di ACOSI (https://www.acosi.org/) e prevede momenti coordinati su tutto il territorio italiano.

ACOSI – il MANIFESTO DEGLI OSPEDALI STORICI ITALIANI

L’Associazione Culturale Ospedali Storici Italiana (ACOSI) è un’associazione culturale non profit nata nel 2019 tra Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, IRCSS, enti di assistenza, associazioni mutualistiche italiane in possesso di significativo patrimonio artistico, storico, culturale ed architettonico, e che coniugano la propria tradizione di cura e assistenza, con servizi tuttora erogati alla popolazione, con azioni di conservazione, valorizzazione e promozione del proprio patrimonio artistico e culturale. Soci fondatori sono: Ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, Ospedale Civile SS. Giovanni e Paolo di Venezia, Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Ospedale Santo Spirito in Sassia di Roma e Ospedale degli Incurabili – Museo delle Arti Sanitarie di Napoli.

Il binomio “Arte e Cura”

La sfida che devono affrontare i tanti ospedali storici presenti in Italia è quella di far convivere e prosperare due realtà. quella sanitaria e quella storico-artistica. L’idea alla base di ACOSI è dunque quella di condividere, tra le aziende ed enti associati, problemi e soluzioni utili ad affrontare al meglio questa sfida. ACOSI è convinta che è necessario ritrovare lo spazio della bellezza nella cura e quindi valorizzare il concetto di “arte e cura”, un binomio completamente rimosso nel periodo scientista ed illuminista, ma invece ben presente quando furono fondati i nostri ospedali. Questo non significa abbracciare un atteggiamento antiscientifico, ma anzi integrare l’approccio scientifico in una visione sistemica che non separi le diverse attività umane. La cura del corpo deve essere associata a quella dello spirito. Una lezione che abbiamo appreso da Leonardo da Vinci che ha operato le sue prime dissezioni almeno in due dei nostri ospedali storici. Gli artisti già nel Medioevo e nel Rinascimento frequentavano gli ospedali, le loro opere d’arte venivano realizzate anche all’interno degli ospedali stessi o spesso agli ospedali venivano donate. Questa antica consuetudine ci fa comprendere come la bellezza, l’arte e la storia siano in grado di dare un senso alla nostra attività, soprattutto all’interno di una struttura sanitaria in grado di perpetuare nei secoli la propria vocazione assistenziale. Gli ospedali sono un concentrato di umanità e cultura che si è sviluppato nel tempo e questo è quanto oggi noi vogliamo promuovere e valorizzare.

La Mission

ACOSI si propone di condividere tra gli associati le migliori pratiche inerenti la conservazione, la gestione e la valorizzazione del patrimonio artistico, storico, culturale ed architettonico in loro possesso. Questa attività può aiutare le stesse aziende ad ottemperare gli obblighi di legge sulla salvaguardia e valorizzazione dei loro beni culturali (DIgs 42/2004).

Il manifesto dell’Associazione è disponibile a questo link

Arte, medicina, relazione

Là dove il grigio aveva spento ogni sia pur remoto desiderio d’essere qualcos’altro che grigio, solo là cominciava la bellezza.
Italo Calvino
Le cosmicomiche, Mondadori

 

La Medicina rappresenta forse il più antico elemento unificante tra scienza e arte, come già indicato da Ippocrate nel trattato Sull’Arte, databile all’ultimo scorcio del V secolo a.C. che pone tra i suoi scopi quello di individuare quali sono le caratteristiche che fanno della medicina una téchne, cioè una competenza in grado di ottenere un risultato pratico (il ristabilimento della salute), in base a un metodo che si fonda principalmente sulla conoscenza del “perché”.

Il concetto è illustrato da Valentina Gazzaniga (Dalla cura alla scienza: Malattia, salute e società nel mondo occidentale di Maria Conforti, Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga): «La medicina è quella competenza acquisibile e trasmissibile, frutto della combinazione accorta tra una consapevolezza dei principi teorici e un “saper agire”, e destinata alla creazione, o meglio “ricreazione” di un prodotto, che è la salute perduta. Essa si distingue sia dall’epistéme, il sapere astratto e tendente a una dimensione assoluta, sia dalla tribé, la competenza degli artigiani che si sviluppa sulla base di un procedimento empirico puro, fondato su un andamento “per prova ed errore”; essa consente di ripetere potenzialmente all’infinito una produzione con modalità corrette, ma senza in alcun modo incrementare la conoscenza. (…) La medicina come téchne è in grado di “stabilire distinzioni normative” e di definire l’ambito del corretto agire; il buon medico è colui che sa quello che deve fare, perché conosce le cause delle malattie “visibili ed invisibili” (Sull’arte, 9-11). Il corpo malato risponde, come ogni altra realtà sensibile, a precisi nessi temporali e causali; la téchne prevede la capacità di costruire storie che, partendo dal passato (la raccolta dei dati anamnestici; il racconto del vissuto di malattia del paziente), possano consentire la comprensione del presente (i sintomi; le modificazioni del corpo) per prevedere la conclusione, positiva o negativa, della vicenda che il corpo stesso racconta (la prognosi come capacità di dire se, quanto ed in quali condizioni durerà la malattia). La ferma applicazione di questo metodo esclude il caso, e le sue tragiche conseguenze, dalla storia dei malati».

Una visione che pone enfasi sul rapporto tra medico e paziente, ma da cui emerge la figura del medico, che racchiude la scienza, ossia la capacità di conoscere e comprendere le circostanze relative alla salute dell’uomo e l’arte quale capacità di applicare tale conoscenza alla cura delle malattie.

Medico, paziente, dolore, malattia, concetti che sono stati da sempre al centro della storia dell’uomo attraverso l’arte, che ha colto nel corso secoli attraverso l’opera degli artisti la dimensione umana e spirituale della malattia, la sofferenza, ma anche la relazione, proprio come emerge nel manoscritto di Laurenziano Gaddi (Biblioteca Laurenziana, Firenze, Italia) databile intorno al 1300 circa. Una immagine in un certo senso moderna, che fa comprendere come la relazione tra medico e paziente fosse realtà negli ospedali medievali: i ricoverati sono a letto, accuditi e nutriti (al centro dell’immagine il gesto del medico, riconoscibile per il copricapo rosso, che aiuta il paziente a portare il cibo alla bocca).

Nelle due immagini in primo piano, a destra un medico che sta detergendo una ferita, dal lato opposto un medico intento a fornire spiegazioni al paziente, che ascolta con attenzione con il braccio appeso al collo a causa probabilmente di un trauma. Gesti che richiamano l’oggi e che sono pervenuti a noi grazie a questa straordinaria opera.

 

Addison e il Bacchino di Caravaggio

La diagnosi su tela proposta dal prof. Zamboni sulla malattia di Addison del  Bacchino di Caravaggio


La malattia, o morbo, di Addison (nota anche come insufficienza surrenalica primaria o iposurrenalismo) è una malattia rara che riguarda due piccole ghiandole, chiamate surrenali, che si trovano sopra i reni e producono due ormoni essenziali: cortisolo e aldosterone.
Nella malattia di Addison, le ghiandole surrenali sono danneggiate e non producono una quantità adeguata dei due ormoni.
Non si conosce l’esatta causa del morbo di Addison ma nel 70% delle persone si riscontra un interessamento del sistema di difesa dell’organismo (sistema immunitario) che attacca e distrugge lo strato più esterno della ghiandola surrenale (la corteccia), interrompendo la produzione degli ormoni steroidei, aldosterone e cortisolo.

Prende il nome da Thomas Addison, medico inglese, nato a Long-Benton, presso Newcastle-on-Tyne nel 1793, morto a Brighton nel 1860, considerato uno dei “grandi medici” del Guy’s Hospital di Londra che identificò la malattia nel 1849 descrivendola come «uno stato morboso devastante», contrassegnato da «anemia, languore, astenia», da «consunzione del corpo» e da cute «come sporca e annerita dal fumo» (colorito bronzino), che all’autopsia risultava caratterizzato dall’atrofia o tisi delle ghiandole surrenali.

Addison divenne professore di materia medica a Londra nel 1827: fu successivamente professore di medicina pratica insieme con Bright. Pubblicò: Elements of Practice of Medicine (1839); On disease of the suprarenal Capsules (1855). I suoi lavori sono stati riuniti sotto il titolo: A collection of the Published Writings, ecc. (1868). Viene ricordato come uno dei fondatori dell’endocrinologia. 
Maggiori dettagli sulla vita e sull’opera di Addison sono disponibili in questo articolo https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1079500/

Proprio queste sono le caratteristiche che si possono trovare nel Bacchino di Caravaggio, come descrive Paolo Zamboni, un medico appassionato d’arte, nel volume Nascoste sulla tela: “Il Bacchino è un dipinto dove la sofferenza e la malattia sono facilmente percepibili e come tali tramandate nella storia dell’arte a partire dal titolo. Quello che balza subito all’occhio a una prima osservazione è l’aspetto «poco sano» della cute”. Zamboni esamina il dipinto in modo molto puntuale e invita il lettore stesso a “fare un gioco di intelligenza artificiale applicato alla Medicina” digitando sui motori di ricerca i sintomi descritti: il risultato è appunto la malattia che sarà descritta da Addison a metà dell’Ottocento.

Oggi la malattia viene curata somministrando gli ormoni mancanti (terapia sostitutiva). In questo modo, i disturbi possono essere ampiamente alleviati. La maggior parte delle persone, infatti, vive una vita normale, con poche limitazioni.

Gli studi di Thomas Addison sulle ghiandole surrenali fondano all’epoca una tradizione metodologica, particolarmente forte all’interno della tradizione endocrinologia, che integra metodologicamente clinica e patologia sperimentale.