La medicina etrusca

Il popolo etrusco, comparso nell’Italia centrale intorno all’ottavo secolo a.C., ebbe la sua massima esperienza politica, economica e culturale tra il VII e il VI secolo a.C. fino alla sua decadenza, avvenuta a causa dei Siracusani nel 474 a.C. a Cuma.
Gli elevati livelli della cività etrusca, compresa anche le notizie relative alla medicina, si rilevano solo indirttamente. Le uniche notizie certe sono presenti nelle Elegie di Eschilo, dove si legge che “…l’Etruria è una terra ricca di farmaci e il popolo coltiva l’arte medica”.

E’ indubbio che le benefiche acque minerali e termali della terra etrusca e la rigogliosa macchia mediterranea delle coste, resero agevole a questo popolo l’esercizio della medicina, che sfruttò le virtù terapeutiche delle piante.

Sono numerosi i reperti artistici rinvenuti in località termali, come le sorgenti di Chianciano, sebbene non vi sia traccia di grandiosi stabilimenti termali come quelli che divennero le splendide insegne della civiltà romana.
Gli Etruschi dimostrarono particolare abilità in campo odontotecnico, nella costruzione di protesi dentarie costruite in oro purissimo, metallo duttile e malleabile, supporto per denti realizzati in materiale vario: legno, pietra, madreperla.
La medicina era magico-religiosa molto radicata ad una tradizione popolare-empirica: le pratiche divinatorie furono motivo per un accurato esame degli organi. Gli aruspici etruschi valutavano la sede degli organi esaminati, ma anche i rapporti di questi con le strutture circostanti e da ultimo passavano alla ricerca di eventuali alterazioni patologiche come ascessi, ulcere o cicatrici.
Il linguaggio degli aruspici fu determinante per la terminologia medica: sono numerosi i vocaboli che dervano dalla lingua etrusca sia in campo anatomico – tibia, femore – che in campo clinico, come febbre, tosse e frattura.
Gli Etruschi si occuparono anche di igiene, portando contributi importanti: si occuparono della bonifica di territori malarici, di depurazione delle acque e a loro si deve la corretta sepoltura dei cadaveri.

La medicina italica primitiva

In epoca preromana, nella penisola italica si insediarono molteplici popolazioni, il cui inquadramento generale diventa più preciso a partire dal VI secolo a.C.
Gli Etruschi, insediatisi nella regione compresa tra l’Arno e il Tevere, furono i primi ad elaborare una originale civiltà indigena, diffusasi rapidamente presso i popoli vicini e influenzando anche i popoli con cui ebbero contatti, nell’Europa centrale e sulle coste dell’Africa e della Spagna.
Ma le primissime tracce di medicina italica sono avvolte nella leggenda, se si fa eccezione per i popoli di cultura greca.
Si narra delle tre figlie del re Eeta: Circe, Medea e Angizia, in fuga dalla Colchide e rifugiate nella regione dei Marsi (l’attuale Abruzzo) dove diffusero l’arte del guarire.

Una arte basata su quella “medicina popolare” derivata dalla fusione di arti magiche e i rimedi della terra.

Circe si dedicò alla farmacologia e all’erboristeria: la leggenda le attribuisce l’utilizzo nella medicina empirica della flora mediterranea, molto rigogliosa sul monte Circeo.
Medea, invece, tentò di ringiovanire Esone, come si legge in Ovidio, mentre Angizia insegnò al popolo che viveva sulle sponde del lago Fucino l’arte della tossicologia.
Un mito che dunque ammette l’esistenza di una rudimentale forma di medicina, dove con molta probabilità la tradizione sacerdotale aveva conferito all’arte del guarire un carattere religioso e magico.
E come in tutte le civiltà primitive, anche per le popolazioni che vissero nella penisola italica si riconoscono le due componenti fondamentali, quella empirico-popolare e quella magico-religiosa.

La chirurgia greca prima di Ippocrate

Sono i poemi omerici, in particolare l’Iliade, a darci informazioni sulla chirurgia greca.
Dai poemi, infatti, si può dedurre che la professione del chirurgo era laica e non riservata alla classe sacerdotale.

E nelle battaglie dell’Iliade, la chirurgia era un’arte praticata da esperti, indipendente rispetto alla medicina. Nel poema omerico si trovano figure di chirurghi combattenti che – oltre a curare le ferite – partecipavano direttamente all’azione.

Il più famoso di essi Macaone, figlio di Esculapio, era al seguito di Agamennone nella guerra di Troia. Fu lui ad essere chiamato da Agamennone per curare Menelao.
Sui campi di battaglia, le prestazioni chirurgiche erano semplici e consistevano nell’estrazione di frecce o giavellotti, nel medicare le ferite con succhi vegetali, nel lavare il sangue con acqua tiepida e nell’applicare bende. Prestazioni semplici ma apprezzate. La descrizione omerica delle lesioni attesta una grande conoscenza del corpo umano e dei punti maggiormente vulnerabili, ma anche della disposizione anatomica degli organi: fatto che ha permesso agli storici di ipotizzare che Omero potesse essere medico prima che essere un poeta.
Ma si tratta di ipotesi senza prove, a maggior ragione se si analizzano e numerose lacune e imprecisioni contenute nel testo: nessun guerriero si ammala a seguito di una ferita, nessuno ha mai la febbre, le piaghe sanguinano ma non si infiammano.
Tra Omero e Ippocrate vi è un periodo di cinque secoli, periodo in cui fiorirono scuole e liberi gruppi di maestri che prestavano la loro opera vagando in città: i precursori dei chirurghi ambulanti medievali.
Il più celebre fu Dernocede di Crotone, che curò Dario, re di Persia, affetto da una lussazione alla caviglia.

La scuola di Alessandria

Alessandria divenne con Alessandro Magno uno dei centri culturali più importanti dell’epoca: lì si trasferì la cultura greca e vi rimase per oltre tre secoli, con influenze egiziane, babilonesi, ebraiche. Una fusione di culture che influì in modo positivo sulla ricerca scientifica, ponendo in evidenza l’importanza della sperimentazione come metodo di indagine.
Anche i successori di Alessandro contribuirono ad accrescere l’importanza culturale della nuova città, promuovendo la realizzazione di scuole, un museo di storia naturale e una biblioteca, che divenne la più completa dell’epoca, fino alla sua distruzione, avvenuta a causa di un incendio, secondo le leggende.

Nella scuola di Alessandria insegnarono Euclide, autore degli “Elementi di geometria” e Archimede, il più grande di tutti i matematici greci.
Lo studio della medicina trovò terreno fertile e grazie alla possibilità di effettuare dissezioni, venne sviluppata in particolare l’anatomia.

I medici più illustri furono Erofilo ed Erasistrato: il primo si dedicò con successo agli studi anatomici, meritandosi l’appellativo di padre dell’anatomia. Secondo le fonti, Erofilo avrebbe praticato, anche in pubblico, oltre seicento dissezioni di cadavere. Accurate osservazioni che permisero al medico di descrivere minuziosamente l’apparato urogenitale, nervoso e gastroenterico. Riconobbe con precisione le meningi, i plessi corioidei, il nervo ottico, che definì come la via nervosa che trasferisce le sensazioni visive dall’occhio all’encefalo. Distinse definitivamente i nervi dai tendini, che fino ad allora erano confusi.
Nell’apparato genitale, diede il nome alla prostata (che significa sta innanzi). Scrisse numerose opere che andarono perdute: ci rimangono solo le sue citazioni.
Erasistrato secondo Plinio fu nipote di Aristotele: dopo una lunga permanenza ad Alessandria, morì avvelendandosi con la cicuta, per porre fine a causa di atroci sofferenze causate da un’ulcera al piede.
Elaborò teorie sulla fisiologia della circolazione, dimostrò l’esistenza delle valvole atrio-ventricolari. Riconobbe all’arteria polmonare i caratteri di un vaso venoso perché trasporta sangue ben ossigenato in direzione centripeta.
Della sua vasta produzione scientifica, di cui si ricordano scritti sulla febbre, sulla pletora, sulla gotta, sono rimasti solo frammenti e citazioni nell’opera di Galeno.

Ma Aristotele fu un medico?

 

 

 

Aristotele, discepolo di Platone, riconobbe l’importanza fondamentale delle discipline anatomiche e fisiologiche per il progresso della medicina, come dimostrano i suoi numerosi studi di anatomia e fisiologia comparata, che fecero testo fino al XVIII secolo. Nato nel 384 a.C. a Stagira (Macedonia), suo padre era amico e medico di Aminta, re della Macedonia e avo di Alessandro; anche Aristotele, nonostante la fama legata principalmente alla ricerca filosofica, è stato membro della scuola medica di Asclepiade, con la possibilità di sviluppare la tendenza scientifica della sua intelligenza. A lui si deve il merito di essere stato l’iniziatore dell’esperimento biologico condotto sulla materia vivente, con l’obiettivo di accertare e studiare i fenomeni naturali. La sua amicizia con Alessandro gli diede la possibilità di dare alla scuola un vero e proprio carattere scientifico, dove giungeva materiale vario attraverso i i collaboratori che viaggiavano con il condottiero.
Quindi Aristotele venne preparato a diventare un vero e proprio scienziato e a lui, tra le altre cose, si deve la creazione e l’applicazione delle norme che regolano le biblioteche: spese ingenti somme per collezionare manoscritti e fu il primo, dopo Euripide, a radunare una Biblioteca.
La sua produzione scientifica fu così nutrita che si sospetta che alcune delle sue opere siano il frutto dei suoi allievi.

Secondo Aristotele, l’uomo è concepito di materia e di spirito, compenetrati tra loro in modo da non poter esistere l’uno senza l’altro.

In biologia classificò le varie specie di animali secondo un albero della natura, con tutte le forme viventi, dalle piante all’uomo.
Acquisì cognizioni sconosciute fino ad allora nel campo dell’anatomia comparata attraverso l’utilizzo della pratica autoptica: pare avesse eseguito oltre cinquecento dissezioni di animali e, forse anche di un embrione umano, ma mai su cadaveri.
Descrisse i ventricoli dell’encefalo e i nervi periferici del sistema nervoso, mentre in cardioangiologia dimostrò che i vasi sanguigni originano dal cuore e, descrivendo l’aorta e le vene cave, sebbene non seppe precisare i vasi arteriosi da quelli venosi. Nel cuore dell’uomo e dei grossi animali segnalò l’esistenza di tre cavità: la maggiore, da cui originano i grossi tronchi venosi; la media, situata al centro, da cui fuoriesce l’aorta; la piccola, posta in basso, dalla quale proviene la trachea.
Va detto che Aristotele basava buona parte delle sue scoperte principalmente sulle osservazioni: nella Grecia antica era raro avvalersi di esperimenti.
Ecco spiegato il fondamento di alcune tesi: Aristotele immaginò che la riproduzione nella specie umana avvenisse attraverso il sangue mestruale, congelato ad opera del principio attivo dello sperma, successivamente trasformato in una sostanza amorfa da cui derivava l’embrione. Una concezione valida fino al Rinascimento.
Ma il numero elevato di dati raccolti da Aristotele e dai suoi assistenti costituì la base di ogni progresso scientifico, oltre che il libro di testo del sapere per duemila anni.