Pott e il cancro degli spazzacamini

Pott, chirurgo e primo a dimostrare la relazione tra ambiente e cancro

Percival Pott è stato senza dubbio una delle figure di primo piano fra i chirurghi del XVIII secolo e primo ad identificare un rapporto tra l’esposizione degli spazzacamini alla fuliggine e il carcinoma a cellule squamose dello scroto: Pott fu così uno dei primi medici a descrivere le cosiddette patologie di origine occupazionale, ossia quelle che colpiscono solo alcune categorie di professioni, che portano i lavoratori a contatto con sostanze cancerogene associate allo sviluppo di tumori.

Nacque a Londra nel 1713 e morì nella città natale nel 1788. Fu nel 1744 assistente, e nel 1749 chirurgo presso l’Ospedale di S. Bartolomeo, dove operò sino ad un anno prima della
morte. La sua fama è consegnata al famoso «morbo di Pott», ossia la tubercolosi vertebrale, ed alla non meno famosa «frattura di Pott», ossia la frattura bimalleolare della gamba, accompagnata da abduzione.

Alcuni chiamano «malattia di Pott» l’ormai scomparso «cancro degli spazzacamini», che egli individuò e descrisse nell’opera “Chirurgical Observations Relative to the Cataract, the Polyplus of the Nose, the Cancer of the Scrotum, the Different Kinds of Ruptures, and the Mortification of the Toes and Feet” (1775), un vero e proprio rapporto sul cancro causato dall’esposizione professionale, frutto di una osservazione relativa ad un’incidenza insolitamente alta di piaghe cutanee sugli scroti di uomini che lavorano come spazzacamini a Londra.
Scrisse inoltre trattati sulle fratture e lussazioni (1768), sulle ernie, sulle lesioni traumatiche del capo, sulle fistole anali, sulla cataratta, sull’idrocele, ecc., ricchi di osservazioni cliniche e di suggerimenti terapeutici preziosi.

Il rapporto di Pott è stato il primo in cui un fattore ambientale è stato identificato come agente cancerogeno. La malattia divenne nota come cancro degli spazzacamini e il lavoro di Pott gettò le basi per la medicina del lavoro e le misure per prevenire le malattie legate al lavoro.

«Ramazzini ha scritto De morbis artificum diatriba; la Colica di Poictou è un noto malumore, e tutti conoscono i disordini di cui sono soggetti i pittori, gli idraulici, i vetrai e gli operai della biacca; ma c’è una malattia come peculiare di un certo gruppo di persone, che, almeno a mia conoscenza, non è stata notata pubblicamente; intendo il cancro degli spazzacamini»

Queste le parole di Pott: «Nella loro prima infanzia, sono più frequentemente trattati con grande brutalità e quasi affamati di freddo e fame; vengono spinti su camini stretti, e talvolta caldi, dove sono ammaccati, bruciati e quasi soffocati; e quando arrivano alla pubertà, diventano particolarmente suscettibili di una malattia molto rumorosa, dolorosa e fatale». Tra coloro che diventavano adulti, risultò particolarmente diffusa una malattia che colpiva i genitali maschili. Veniva diagnosticata sempre dopo la pubertà, perciò i medici pensavano fosse una malattia venerea e la trattavano come tale, utilizzando per la cura i sali di mercurio, la tipica terapia somministrata all’epoca in caso di sifilide e gonorrea.
Pott fu invece il primo a comprendere che si trattava di una forma di cancro: il disturbo si presentava in una prima fase nello scroto per poi estendersi ai testicoli e agli altri tessuti.

L’approccio di Pott era unico tra i suoi contemporanei in quanto non si limitava a notare un’associazione, ma si avvicinava al carcinoma degli spazzacamini da una prospettiva di tipo causale. Il suo lavoro ha contribuito in seguito a identificare la fuliggine come l’agente che causa la malattia: per occupare meno spazio durante la pulizia delle canne fumarie, i bambini vi si infilavano spesso nudi, e la fuliggine e gli altri residui della combustione si annidavano facilmente nelle parti intime e quei composti tendevano a rimanere nelle pieghe dello scroto, causando il cancro degli spazzacamini.
Pott è diventato famoso per queste connessioni tra rischi professionali e tumori maligni, anche se la connessione non era pienamente compresa all’epoca. Le “Osservazioni chirurgiche” di Pott hanno fornito un quadro per modellare la comprensione moderna dei tumori sul lavoro.
Il lavoro di Percivall Pott ha influenzato un’ondata di ricercatori e cambiamenti nelle politiche pubbliche. Dopo la sua pubblicazione iniziale, altri casi clinici sono stati esaminati e innescandoo una serie di “Chimney Sweepers’ Acts” che miravano a proteggere le spazzacamini.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1037746/pdf/brjindmed00217-0074.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1009212/pdf/brjindmed00056-0030.pdf

Will Withering e la ‘scoperta’ della digitale

Will Withering con la sua osservazione diede al mondo una delle più preziose medicine per il cuore

 

«Le digitali sono amare, calde e secche, e possiedono una certa qualità depurante; eppure sono inutili, e non hanno posto tra le medicine».
John Gerard, Herbal (Erbario), 1597

John Gerard, Herbal

Sulle pareti di una chiesa di Birmingham, in Inghilterra, si trova una strana lapide. Documenta la morte di un medico locale, Will Withering di 58 anni, ed è decorata con una scultura su pietra della pianta che in inglese si chiama “foxglove”, il guanto della volpe, ovvero la digitale. Per quasi 40 anni, Withering, nato nel 1741, aveva combattuto due malattie, l‘idropisia e la tubercolosi. Sconfisse la prima “inventando” la digitale, ma fu sconfitto dalla seconda, che lo uccise nel 1799. Will Withering non scoprì la digitale, ma colmò il divario tra medicina ed erboristeria grazie all’incontro con un paziente affetto da idropisia e guarito per merito della mistura di un erborista, tra i cui ingredienti il medico inglese trovò proprio la digitale. Per dieci anni effettuò sperimentazioni cliniche sulle sue sostanze costituenti, i digitalici, e stabilì che costituivano una cura per l’idropisia.

William Withering

La pianta della digitale, considerata da sempre velenosa ed associata in qualche modo alla ‘stregoneria’ era stata utilizzata per vari scopi per molti secoli, ma dal 1745 la pianta era caduta in discredito a causa di un uso sconsiderato.
La prima accurata descrizione degli effetti terapeutici della digitale è contenuta in nove casi clinici apposti da Erasmus Darwin nella tesi di laurea di suo figlio e pubblicata nel 1780. Ma la prima descrizione sull’uso della digitale purpurea risale al 1775 e porta la firma di William Withering, assegnato al Birmingham General Hospital da Erasmus Darwin, il nonno del famoso Charles, nel periodo in cui l’idropisia, o edema, era una piaga per numerosi paesi. La malattia aveva il grottesco effetto di gonfiare il corpo a tal punto che a volte le vittime annegavano nei loro stessi fluidi organici, coi polmoni tanto saturi da provocare asfissia. I medici provavano a purgare la vittima, estraendo litri di fluidi. Cura che a volte aveva successo, ma altrettanti erano gli insuccessi che portavano al decesso del paziente. Fu Withering ad affermare nel 1776 che la Digitalis purpurea meritava maggiore attenzione rispetto alla pratica e fu lui a portare il farmaco all’attenzione di Darwin.

An account of the foxglove, and some of its medical uses- with practical remarks on dropsy, and other diseases By William Withering.

Nella prefazione della sua opera Withering afferma di essersi deciso a scrivere dell’utilizzo della digitale affinché anche altri traggano qualche insegnamento dalla sua esperienza, prima che “un farmaco di tanta efficacia sia condannato e respinto come pericoloso ed ingestibile”.
Withering raccoglie la propria esperienza in 163 pazienti durante 10 anni di studio, un capolavoro di attenta osservazione, registrazione onesta e interpretazione perspicace. Il suo lavoro ha indubbiamente contribuito alla restituzione della Digitalis purpurea all’influente Farmacopea di Londra, stimolando un filone di ricerca che continua fino ad oggi.

Queste le parole del medico:
«Dopo essere stato spesso esortato a scrivere su questo argomento, spesso ho rifiutato di farlo, per la mia stessa apprensione, alla fine sono costretto a prendere in mano la penna, per quanto non qualificato potrei ancora sentirmi per il compito. Sono passati circa dieci anni da quando ho iniziato a usarlo come medicinale».

Withering si preoccupava della obiettività, accuratezza e validità dei suoi dati ed era sensibile al giudizio dei suoi coetanei, come emerge sempre dalla sua opera “An Account of the Foxglove, and Some of its Medical Uses: with Practical Remarks on Dropsy, and Other Diseases”
«Sarebbe stato un compito facile fornire casi selezionati, il cui trattamento di successo avrebbe parlato con forza favore della medicina, e forse lusinghiero per la mia reputazione. Ma Verità e Scienza condannerebbero questa procedura. Ho quindi menzionato tutti i casi in cui ho prescritto il Foxglove, corretto o improprio, con risultati di successo o meno. Una tale condotta mi aprirà la censura di coloro che sono disposti a censurare, ma farà incontrare l’approvazione degli altri, che sono i più qualificati ad essere giudici»

L’immagine di William Withering che emerge da queste parole è quella del clinico e dello sperimentatore clinico ideale, senza tempo, i cui strumenti erano semplicemente il potere di osservazione e di intelletto.

 

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/3514682/ 

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Fisch C. William Withering: An account of the foxglove and some of its medical uses 1785-1985. J Am Coll Cardiol. 1985 May;5(5 Suppl A):1A-2A. doi: 10.1016/s0735-1097(85)80456-3. PMID: 3886745.

 

Ortodonzia nel Settecento

Nel Settecento, per quanto riguarda l’otorinolaringoiatria, le uniche novità degne di rilievo furono il catererismo delle tube di Eustachio, praticato per la prima volta nel 1724 da Edmondo Gilles Guyot e perfezionato da Archibald Cleland nel 1741; la trapanazione della mastoide, compiuta da Gianluigi Petit nel 1744; gli studi sul sordomutismo fatti dall’anatomico Carlo Mondini.
Vennero invece compiuti discreti progressi nell’anatomia e nella fisiologia dento-facciale. Fauchard e Bourdet precisarono la morfologia e l’occlusione dei denti; A. Ferrein (1693-1769) descrisse il movimento retrusivo della mandibola; T. Bordeu (1722-1776) studiò il meccanismo della secrezione salivare.

Uno dei trattati più importanti di odontoiatria uscito in questo secolo fu la «Storia naturale dei denti» (1777) di J. Hunter, in cui é descritto e splendidamente illustrato tutto quanto riguarda i denti, le mascelle e i loro movimenti. Hunter pubblicò inoltre un «Trattato pratico delle malattie dei denti» (1778), in cui sono riportate importanti osservazioni sulle anomalie dentarie e mascellari. Nel 1791 Camper descrisse il proprlo angolo facciale e Daubenton (1716-1800) l’angolo occipito-nasale, ponendo le basi della cefalometria, destinata ad avere un’influenza determinante nell’ortodonzia.

Nel 1731, con la fondazione dell’Accademia Reale di chirurgia, che soprintendeva anche alla chirurgia dentaria, in Francia si ebbe una definitiva regolamentazione di questa attività specialistica.

Tenace sostenitore di tale regolamentazione fu Piero Fauchard (1678-1761), che nella sua celebre opera «Il chirurgo dentista o il trattato dei denti» (1728) deplora la triste situazione in cui si trovava l’odontoiatria, che era allora quasi completamente in balia di ciarlatani, che vendevano i rimedi più strani, e di «cavadenti da fiera». Per questa sua opera altamente meritoria, che contribuì validamente a trasformare la cura dei denti in una vera e propria professione, Fauchard viene unanimemente riconosciuto come il fondatore della moderna odontoiatria. Nel suo trattato espose e sintetizzò l’insieme delle conoscenze sui denti come uno specialista moderno. Ortodonzia, protesi (fissa e mobile), dietetica, igiene, otturazioni, paradontologia (malattia di Fauchard), stomatologia, vi sono infatti identificate, anche se non portano i nomi sotto i quali le conosciamo oggi.

Fauchard, medico e dentista francese, nato in Bretagna nel 1680 e morto a Parigi nel 1761, è generalmente considerato il fondatore dell'odontoiatria moderna. Ha iniziato a studiare chirurgia accanto a un ufficiale della Marina, poi si dedica all’odontoiatria. Espande la sua formazione viaggiando ad Angers, Nantes e Tours e, infine, decide di stabilirsi a Parigi nel 1719. Scrive la sua opera «Il chirurgo dentista o il trattato dei denti» che apre una nuova fase per la difesa dell'odontoiatria

Bibliografia 
https://www.nature.com/articles/4814350

J Mass Dent Soc. 2009 Summer;58(2):28-9
Pierre Fauchard: the father of modern dentistry
Maloney WJ(1), Maloney MP.

Br Dent J. 2006 Dec 23;201(12):779-81
Pierre Fauchard: the 'father of modern dentistry'
Lynch CD(1), O'Sullivan VR, McGillycuddy CT

Urologia nel Settecento

Anche nel 1700 l’urologia, per quanto praticata da chirurghi preparati, segnò il passo perché frenata dalle infezioni.

L’operazione più praticata era sempre quella per calcolosi vescicale, che veniva generalmente eseguita col «taglio perineale lateralizzato» ideato da fratello Jacques.
Jean Baseilhac, detto fratello Cosma (1703-1781), perfezionò ulteriormente questo procedimento, introducendo un litotomo a lama nascosta condotto in vescica lungo la scanalatura del catetere uretrale. Anche il «taglio ipogastrieo» venne largamente impiegato da fratello Cosma, che vi apportò dei miglioramenti, e da Francesco Morand.

Gli interventi sulla vescica continuavano, però, ad essere molto pericolosi. In una statistica di Morand, apparsa verso la meta del 1700, sono riportati dei dati impressionanti. Su 812 malati operati per calcolosi vescicale all’Hotel Dieu e alla Charité di Parigi, il 31% non sopravvisse all’operazione. Tra i sopravvissuti molti ebbero fistole urinarie.
Per questo le cure mediche a base di preparati che miravano a far sciogliere i calcoli ebbero un successo notevole, poiché coloro che erano affetti dal «mal della pietra» speravano di poter sfuggire all’operazione, atrocemente dolorosa e spesso mortale.

La mediocrità delle tecniche chirurgiche disponibili per gli interventi sulla vescica non consentirono di intervenire con possibilità di successo neanche nei tumori vescicali, descritti e raffigurati esaurientemente, intorno al 1720 da Federico Ruysch (1638-1731), in una sua pubblicazione sulle malattie dell’apparato urinarie. Le Chat (1700-1768) effettuò la prima estirpazione di un polipo della vescica. Anche la patologia e la chirurgia renale rimasero poco conosciute e gli interventi sul rene erano molto rari. Lafitte nel 1734 effettuò con successo una nefrolitotomia in due tempi. Ma la maggior parte dei chirurghi di quest’epoca, come si può anche rilevare da una pubblicazione di Prudent Hevin (1715-1789), non ammetteva la lombotomia, se non per una raccolta purulenta.

Oculistica nel Settecento

Nel 1700 anche l’oculistica fece notevoli progressi sia dal punto di vista anatomo-fisiologico che della tecnica chirurgica. Venne inoltre istituito un insegnamento speciale dell’oculistica nelle scuole di chirurgia di Parigi (1765) di Vienna (1772) e di Montpellier (1788) e la letteratura oculistica si arricchì di nuove opere.
L’anatomia dell’occhio venne puntualizzata da Ruysch e da Haller, mentre Fontana diede il primo studio soddisfacente della retina (1728). Zinn e Tenon descrissero l’apparato sospensore del cristallino e alcuni muscoli dell’orbita. In fisiologia Dalton definì nel 1797 la teoria sensoriale della vista dei colori.
In oftalmologia medica emersero alcuni nomi come quello del maestro Jan (1650-1730), che pubblicò nel 1709 un trattato sulla cataratta e sul glaucoma, in cui si trova anche la prima descrizione del distacco di retina.

Saint Yves nel 1722 pubblicò il «Nuovo trattato delle malattie degli occhi», in cui le malattie oculari sono descritte molto bene e si parla anche del glaucoma cronico seguito da abbassamento della vista e da restringimento del campo visivo. Ma Saint Yves non lo collegò all’ipertensione oculare, che venne, invece, indicata dai due oculisti inglesi Taylor (1708-1772) e Woolhouse (165-1730), i quali proposero di curarla con suture.

In Italia Domenico Anel (1679-1730) mise a punto una tecnica di cateterismo delle vie lacrimali per mezzo di sonde il cui uso si è protratto fino all’epoca contemporanea. Lo studio della patologia delle vie lacrimali venne attuato anche Gian Luigi Petit.
Ma i progressi più importanti vennero realizzati nella chirurgia oculare, in cui eccelsero due oculisti francesi: Daviel e Pellier de Quensy.
Jacques Daviel (1696-1762) fu l’inventore della tecnica dell’estrazione del cristallino nell’operazione della cataratta che soppiantò rapidamente l’antico procedimento dell’abbassamento e si impose, pur con alcune modifiche, come l’incisione corneale superiore.

La chirurgia della cataratta affonda le origini nella notte dei tempi attraverso la tecnica della Reclinatio lentis, metodica per la quale con un ago, inserito all interno del bulbo, veniva staccato e reclinato il cristallino opaco verso il basso, nella cavità vitrea. Era un intervento il cui recupero visivo, molto limitato per la mancanza di lenti correttive, era frequentemente seguito da complicanze pressoché certe che ne compromettevano in modo definitiva la visione. 
Bisognerà attendere Jacques Daviel nel 1748 per avere un evoluzione della chirurgia con la tecnica extracapsulare che fino agli anni 60 si contese con la tecnica Intracapsulare, ideata nel 1753 da Samuel Sharp, la preferenza dei chirurghi.

Pellier de Quency, oculista a Montpellier e contemporaneo di Daviel, fu pure lui molto abile nelle operazioni e contribuì alla diffusione dell’estrazione del cristallino col procedimento di Daviel. Fu autore di trattati di oculistica e di chirurgia oculare in cui, fra l’altro, descrisse per la prima volta i tentativi di trapianti di cornea, da lui sperimentati su animali e consistenti nell’asportare il centro della cornea e di
sostituirlo con una cornea di vetro. Naturalmente i suoi tentativi fallirono.

In Italia emerse in questa disciplina Antonio Scarpa, che creò a Pavia una scuola capace di reggere il confronto con quella francese di Daviel. Scrisse un’opera intitolata «Saggio di osservazioni e di esperienze sulle principali malattie degli occhi», che fu per lungo tempo un testo classico di oculistica. Lasciò il suo nome legato allo «stafiloma corneale», che identificò per primo. Fece inoltre importanti studi sulla fistola lacrimale, sulla cataratta e sulle malattie dell’iride. Descrisse anche un intervento per l’applicazione della pupilla artificiale.
Tra gli oculisti italiani sono da ricordare anche Giovanni Battista Bianchi, che nel 1715 eseguì per primo il cateterismo del canale lacrimale e Natale Paolucci (1719-1797), che eseguì per primo il taglio a lembo della cornea per l’estrazione del cristallino.