La musica come terapia

La nascita del gruppo come costituzione di un’Équipe Psico-Musicoterapica (EPMt) in collaborazione con il Conservatorio Vivaldi di Alessandria e il Dipartimento DAIRI dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria

articolo a cura di Marzia Zingarelli, Direttrice di Dipartimento di Didattica della Musica, Conservatorio Vivaldi Alessandria e Patrizia Santinon, Direttrice Scientifica Centro Studi Medical Humanities Cura e Comunità

Il 21 giugno del 1982 con l’iniziativa del Ministero della Cultura Francese in tutta la Francia musicisti dilettanti e professionisti hanno preso a invadere le strade, i cortili, le piazze, le stazioni, i musei per la Festa della Musica, un appuntamento che celebra pratiche musicali plurali e gratuite, inclusive. È la Festa di chi la musica la produce.

È stato ricordato in occasione nell’ultimo degli appuntamenti del ciclo di Incontri “Aspettando il Festival” lo scorso 22 giugno, il giorno successivo al Wold Music Day, divenuta Festa mondiale nel giorno del solstizio d’estate.

Nasce nel marzo 2019 l’Equipe Métis Psico-musicoterapeutica come tensione conoscitiva di professionisti di differente formazione e appartenenza e come collaborazione tra due enti, il Conservatorio Vivaldi e l’Azienda Ospedaliera di Alessandria.

In una prima fase di costruzione dell’équipe volta a conoscerci meglio e a costruire un setting adeguato all’intervento musicoterapeutico, meglio definibile allora come laboratorio di musicalità per un gruppo di pazienti ricoverati in quel tempo nel SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) dell’Azienda Ospedaliera, recuperammo nel corso di una esplorazione degli spazi dell’ospedale generale un ammezzato che ospitava le varie sigle sindacali come luogo neutro rispetto al reparto di psichiatria, con caratteristiche strutturali e sonore che ci fecero pensare ad un “ventre materno”.

Ci colpirono le parole dei colleghi musicisti e musicoterapeuti attenti al recupero di un patrimonio sonoro individuale con l’implicito di una specificità d’intervento riabilitativo, pensato e costruito per l’individuo e specifico della specificità umana della persona del terapeuta e del paziente.

Il patrimonio sonoro rimanda alle esperienze percettive del neonato che non coglie le singole parole nell’esperienza percettiva in cui è immerso: per il neonato il suono, il tono della voce, il ritmo del discorso sono fusi all’interno di un evento globale di percezione e apprendimento, di scambio emotivo.

Così un intervento musicale può richiamare la vita emotiva primaria attraverso reverie acustiche e s’inscrive in un atto originale di intuizione poetica creativa che da spazio all’emersione di contenuti non ancora istituiti e mai nati piuttosto che contenuti già istituiti.

L’esperienza musicale consente di mettere in comunicazione la realtà interna con quella esterna proprio come avviene nella dimensione pre-natale e pre-verbale del legame madre-bambino in cui il sonoro fatto di escursioni respiratorie, battito cardiaco, movimenti come suoni del materno, del  paterno, dell’ambiente familiare filtrato attraverso la madre, colpisce il feto e lo accompagna in una “esperienza di specularità acustica primaria” (Fornari, 1984).

Lo spazio transizionale e potenziale cui la musica conduce è tale poiché da lì si origina la potenza creativa in un linguaggio che “diversamente dagli altri linguaggi che si muovono dal corpo alla mente si muove dalla mente al corpo, dal simbolico al sensoriale, verso una matrice semantica con un largo potenziale e con una natura di carattere affettiva” (Di Benedetto, 1991).

Il sonoro è la dimensione più autentica del sé, la dimensione sonora e fonetica delle parole materne colpisce il feto e lo accompagna e rappresenta pertanto fin dall’inizio il luogo e il tempo dell’origine dell’Essere in senso winnicottiano.

All’inizio era il Suono, il Suono era presso la madre. La Madre era il Suono (Fornari, 1984) dove viene parafrasato il prologo del vangelo di San Giovanni o Inno al Logos “in principio era il Logos, e il Logos era verso Dio e Dio era il Logos” (1,1-5): il valore affettivo della musica è da riconnettersi con la madre, il primigenio ed è di qui che derivano i legami con la vita emotiva. Proprio nel non verbale in una sorta di regressione alla dimensione primaria l’arte musicale ci permette di connettersi al familiare nel non familiare, Unheimliche, di recuperare esperienze di fusionalità ma anche di separazione. La musica permette dunque in un istante sonoro di risperimentare la gamma emotiva e istintuale che si ha nello sviluppo del sé.

Riportare la dimensione sonora solo all’origine materna potrebbe essere riduttivo poiché il suono non è solo materno ma è anche il suono del mondo esterno (sebbene filtrato dalla reverie materna nella vita intrafetale e nella perinatale) e riguarda anche il non familiare e il paterno. È anche il primo contatto con l’altro.

Le sedute musicoterapeutiche implicano una preparazione minuziosa prima dell’inizio della seduta stessa e implicano un lavoro successivo di intervisione corale sul materiale registrato (musicisti e psicoanalista in qualità di supervisore) e di valutazione qualitativa attraverso lo strumento della scheda del patrimonio sonoro e le schede di valutazione: c’è un lavoro artigianale e personalizzato che coinvolge la persona del musicoterapeuta prima e dopo la seduta.

Esiste contemporaneamente qualcosa che ha a che fare con l’improvvisato, il non preparato, l’insaturo, l’impromptu in un “equilibrio instabile tra ordine e trasgressione, tra libere invenzioni e i vincoli stabiliti dall’armonizzazione e da altro ancora” (Petrella, 2014)

Quello che si costruisce in una seduta musicoterapeutica ha in sé qualcosa di artistico che pertiene l’artista-paziente in seduta senza che questi conosca necessariamente la musica o senza che questi mostri una consapevolezza di quanto accade mentre accade: nel corso dei laboratori di musicalità le proposte musicali dei musicoterapeuti sono trasformate da ciascun paziente/partecipante. Le varie e possibili torsioni trasformative della proposta iniziale sono Trasformazioni appunto (Veranderungen) piuttosto che Variazioni.

In una seduta musicoterapeutica accade di produrre suono prima di pensare in analogia con la regola fondamentale delle libere associazioni in seduta psicoanalitica in cui alla prescrizione pedagogica del “cogito deinde dico” si sostituisce quella del parlare senza pensare nella direzione di una libertà assoluta che qualche volta anche in seduta psicoanalitica diventa puro sonoro, canto spontaneo, respiro o silenzio.

Nei pazienti gravi in specie sopravvissuti alla catastrofe psichica per i quali sembra impossibile mettere a fuoco vissuti traumatici non trasferibili (ancora) nell’area del linguaggio sembra utile spostare l’attenzione al non verbale, alle tracce sensoriali inscritte nella memoria somatica del paziente.

Con pazienti molto regrediti per stabilire una connessione con la mente primitiva occorre diventare oggetti presenti ai sensi prima ancora che all’intelletto: “Occorre esercitare la propria sensibilità estesica a cogliere segni, normalmente non percepiti, nelle componenti fisiche del setting” (odori, suoni, luci colori della stanza) ( Di Benedetto, 2000)

Come scrive Fornari “Il significato inconscio della musica corrisponde al significato inconscio della vita. Il significato inconscio della musica è dato dal recupero della situazione intrauterina (il paradiso perduto). (…) In un certo senso è il significato di tutti i significati, l’Ur – significato senza il quale tutti gli atri significati sarebbero senza significato (Fornari, 1984)

Mi piace pensare che questo linguaggio comune trovato tra operatori della salute mentale e musicisti che fanno musicoterapia, terapeuti dunque e professionisti della musica, abbia come prerequisito l’intuizione della complessità dei vissuti di operatori e pazienti, del reciproco riverbero in una storia di interdipendenze reciproche in continuo divenire la cui comprensione può avvenire solo veicolando i nostri sensi tutti “udire, vedere, odorare e persino sentire emotivamente che informazione sta cercando di farci pervenire il paziente” (Bion 1983)  forgiando una particolare qualità d’ascolto che in contatto con i livelli di base del funzionamento mentale incide sulla forma del manifestarsi del disagio mentale.

Così viene da dire che una mente contenitiva che cura e contiene all’interno di una autentica relazionalità può rispondere al bisogno del paziente di essere contenuto e accolto nel suo livello primitivo mediante l’ascolto e la ritmicità delle sedute. Il lavoro sulla qualità dell’ascolto favorito all’interfaccia di disclipline e linguaggi dotati ciascuno di una propria epistemologia nel dispiegarsi di una mente del gruppo dei terapeuti consente un contenimento che previene la contenzione come atto ultimo di fallimento di ogni relazione terapeutica. Nuovi luoghi di tirocinio, scambio, formazione si stanno costruendo per una pratica musicale di scambio irriverente e plurale!

Bion W. R., 1983, Seminari italiani, Roma, Borla Editore
Di Benedetto, 1991, Listening to the Pre-Verbal: The Beginning of the Affects, Rivista di Psicoanalisi, 37: 400-426
Di Benedetto A., 2000, Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte. Angeli, Milano
Fornari F., 1984, Psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano
Petrella F., 2014, Impromptus sull’improvvisazione: in musica, nel lavoro clinico”, Rivista di Psicoanalisi, LX

MUSICOFILIA, IN MOSTRA A MANTOVA IL GESTO MUSICALE CHE CURA

A cura di Elena Miglioli, RESPONSABILE AREA UFFICIO STAMPA E COMUNICAZIONE ASST DI MANTOVA

Nella hall dell’ospedale di Mantova un racconto in 20 scatti del fotografo Nicola Malaguti

Hallart è uno spazio espositivo permanente creato nella hall dell’ospedale di Mantova nell’ottobre del 2022. Ospita mostre a ciclo continuo che si alternano nel corso di tutto l’anno.

Dopo le giovani donne in fiore di Marzia Roversi, questo spazio, nato dall’idea dell’area Ufficio Stampa e Comunicazione di Asst Mantova, nell’ambito del più ampio progetto Arte in ospedale, (che dal 2009 diffonde la bellezza nei luoghi di cura, grazie a svariati interventi artistici nelle strutture aziendali) ospita la musica che cura con la mostra fotografica di Nicola Malaguti, Musicofilia.

La mostra – inaugurata lo scorso 13 giugno – si è aperta con un intervento musicale del violinista Eugjen Gargjola per fare parlare subito la musica, mettendola in primo piano. Al termine della mostra (12 settembre) i pannelli saranno esposti in via permanente nel reparto di Nefrologia e Dialisi del Poma, nell’ambito di un progetto in via di definizione per la valutazione dell’impatto dell’arte sui pazienti.

Il titolo della mostra fa riferimento all’amore per la musica – significato del termine musicofilia – ma anche al titolo di un libro del celebre neurologo e scrittore Oliver Sacks (Musicofilia, 2008). Nel suo lavoro, il medico esplora la “straordinaria forza neurale” della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello.  

Nicola Malaguti rappresenta e valorizza in questo viaggio fotografico il gesto musicale, paragonabile al gesto di cura, nella misura in cui genera emozioni, slanci dell’immaginazione, pensieri, speranze che hanno un potere terapeutico. L’occhio del fotografo ci consegna alle mani, ai movimenti del musicista capaci di produrre bellezza e stupore. Ci abbandoniamo così con fiducia fra le braccia della musica, come faremmo con qualcuno che si adopera per guarirci dalla malattia, dalla sofferenza o dalle preoccupazioni della vita.   

La musica, unica fra le arti, è al tempo stesso completamente astratta e profondamente emozionale. Non ha il potere di rappresentare nulla di particolare né alcun oggetto esterno ma ha la capacità esclusiva di esprimere sentimenti o stati interiori. La musica può penetrarti il cuore direttamente: non ha bisogno di mediazione. Non occorre sapere nulla di Didone ed Enea per essere toccati dal lamento della regina: chiunque abbia perduto qualcuno sa bene che cosa stia esprimendo. Qui, infine, c’è un paradosso profondo e misterioso: perché proprio mentre questa musica fa vivere in modo più intenso l’esperienza del dolore e del lutto, al tempo stesso dona sollievo e consolazione”. 

Oliver Sacks  

L’ARTISTA

Nicola Malaguti è nato a Mantova nel 1961: “Attorno ai 10 anni avevo già una macchina fotografica in mano, una vecchia Polaroid di famiglia. Negli anni del liceo ha cominciato a partecipare a qualche concorso fotografico, dapprima in provincia e poi a livello nazionale. Intanto ero passato a usare una Olympus OM2. Nel 1980 ho vinto un concorso indetto dalla Levi Strauss & Co. Come premio ho esposto le mie fotografie in una galleria a Milano”.

Da allora, oltre 40 anni di fotografie e musica. Oggi è proprio la passione per la musica, in particolare il jazz, a portare il fotografo in giro per il mondo a ritrarre grandi artisti. Miles Davis, Chet Baker, Clarke Terry, George Benson sono solo alcuni dei volti straordinari che Malaguti ha immortalato e incrociato in questi anni. Ha seguito in particolare Paolo Fresu ed è presente nella sua gallery fotografica. Il fotografo si dedica anche all’insegnamento e tiene workshop specifici. Collabora con l’Enaip di Mantova, con altre realtà pubbliche e private, festival nazionali e internazionali di musica e teatro.

A volte ci fanno un effetto curioso, ma molto semplice: a prima occhiata vediamo cose che poi scopriamo non essere affatto. O piuttosto, quando le guardiamo meglio notiamo certi particolari che inizialmente ci erano sfuggiti. Proprio il fatto che non sia come la ricordiamo è un punto di forza di qualsiasi foto perché, nonostante colga un attimo infinitesimale della realtà, la durata percettiva di quell’immagine si estende per parecchi secondi, sia al di qua che al di là del momento congelato dallo scatto, fino a includere – o così almeno ci sembra – ciò che è appena successo e ciò che sta per succedere. Le buone fotografie vanno dunque ascoltate, sono soltanto guardate: quanto più una foto è bella, tanto più c’è da ascoltare. 

Nicola Malaguti

LO SPAZIO HALLART

I primi passi sono stati mossi il 24 ottobre, con la mostra di Mario Fiorito, che ora ha continuato il suo viaggio nel municipio di Curtatone, dove resterà fino al 31 marzo.

La parola chiave è partecipazione. La comunità contribuisce infatti a costruire una sanità dal volto umano.

Così Asst potrà scegliere di propria iniziativa le opere da esporre, ma offrirà anche l’opportunità agli artisti o ai fotografi di candidarsi, proponendo le loro opere per un’esposizione (le modalità di presentazione della propria candidatura sul sito www.asst-mantova.it, sezione Ufficio Stampa e Comunicazione). Un comitato istituito dall’azienda – composto da dipendenti e membri esterni appartenenti al mondo dell’arte – ne valuterà l’idoneità e il valore artistico.

Per gli Aggiornamenti dedicati alle Medical Humanities 
👉https://servizinewsletter.emailsp.com/f/rnl.aspx/?kjc=uz_vr_3b.dl=/1dd&x=pv&=_ztx:e6.:=e&69bmadf&x=pp&q2gig5&8b&/8d5.e3a9j=pzw_yNCLM

 

Il latte fa bene alla salute?

Perché il latte vaccino è stato considerato essenziale per una buona dieta nel Regno Unito? Quali forze modellano i modi in cui nutriamo i nostri bambini? Come è stato usato il latte per legare le idee di salute al candore? Come valutiamo il latte e coloro che lo producono?

Queste sono le domanda alla base della mostra ‘Milk’ organizzata da Welcome Library (tutte le info a questo link https://wellcomecollection.org/exhibitions/Y8VNbhEAAPJM-oki) che esplora il rapporto dell’uomo con il latte e il suo posto nella società, nelle politiche e nella cultura.
Una mostra che fa emergere, grazie alla raccolta di oltre 100 oggetti (tra cui oggetti utilizzati nell’agricoltura e nell’alimentazione infantile, pubblicità storica, manifesti di salute pubblica e opere d’arte contemporanee) come il latte sia stato visto così centrale per le percezioni della nutrizione e della “buona salute” nel Regno Unito.
Il sito, che contiene anche una sintesi della mostra a questo link https://wellcomecollection.org/exhibitions/Y8VNbhEAAPJM-oki, sottolinea come “le scelte che facciamo sul latte sono personali. Ma è anche un liquido altamente politicizzato che è stato usato per esercitare potere e fornire assistenza”.

La mostra è divisa in varie sezioni: si parte dall’analisi del cambiamento del ruolo del latte nella società dopo che è stato “messo in sicurezza”, passando poi al ruolo del latte nella maternità e nella crescita dei bambini. Una ulteriore sezione evidenzia attraverso le opere il concetto di “buona salute” e come la politica abbia promosso l’idea che il latte fa bene a tutti.

Sul ruolo del latte nella storia della medicina, è possibile ricordare che i medici antichi e medievali ritenevano il latte “fonte di vita e di salute” e quello di ovini e caprini migliore per sapore e qualità nutrizionali (l’articolo completo sul rapporto tra uomo e latte https://www.georgofili.info/contenuti/il-latte-dei-ruminanti-nella-storia/2749)

Nel Corpus Hippocraticum si fa cenno, per la prima volta, alla nutrizione del neonato ed al mistero della formazione del latte materno, per il quale il medico greco ipotizzò una relazione diretta tra utero e seni, relazione che avrà una rilevanza fondamentale fino al XVIII secolo (un articolo completo dedicato all’allattamento al seno è disponibile qui https://www.sicupp.org/langolo-della-storia/349-lallattamento-nella-storia)

L’oeuvre de la goutte de lait.
Il dottor Gaston Variot nelle diverse fasi del lavoro de La Goutte de Lait: pesare i neonati, effettuare esami medici e distribuire latte sterilizzato.
Dipinto di Jean Geoffrey

Rassegna Medical Humanities

BEAUTIFULLY DIVERSE

https://www.posterheroes.org/

Concorso internazionale di poster art nato a Torino 13 anni fa. Il tema 2023 è la narrazione che ruota attorno alla disabilità e la deadline è fissata al prossimo 27 agosto.

Abbiamo chiesto a 10 medici di interrogare ChatGPT. Ecco quello che è emerso

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2023/05/02/abbiamo-chiesto-a-10-medici-di-interrogaregpt-4-ecco-quello-che-e-emerso/?refresh_ce=

Risultati di un esperimento fatto con il sistema di intelligenza artificiale: dieci specialisti in medicina hanno interrogato ChatGpt scegliendo le domande e ne hanno valutato le risposte.

Aborto e telemedicina

https://jacobinitalia.it/aborto-e-telemedicina/

Riflessione di un gruppo di ricercatrici universitarie e attiviste sul delicato tema dell’aborto e telemedicina.

Tōjisha Manga: Japan’s Graphic Memoirs of Mental Disability

https://thepolyphony.org/2023/05/03/tojisha-manga/

Yoshiko Okuyama (University of Hawaiʻi at Hilo) riflette sul valore dei manga tōjisha, i fumetti autobiografici del Giappone in cui l’autore racconta l’esperienza di una condizione mentale o neurologica.

Traces of the Paduan Medical School in Edinburgh: a connection between past and present

https://surgeonshallmuseums.wordpress.com/2023/04/12/traces-of-the-paduan-medical-school-inedinburgh-a-connection-between-past-and-present/

Post di Giovanni Magno, paleopatologo e curatore del Museo Morgagni di Anatomia Umana che sta trascorrendo tre settimane al Surgeons’ Hall Museums nell’ambito del programma Erasmus+ studiando il legame tra Padova ed Edimburgo nella storia della medicina.

Destinazione Cura


#medicoanapoli

Di Ileana Parascandolo
Medico Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Cure Supportive IRCCS Pascale Asl Na1

Nel cuore pulsante di Napoli tra le viuzze antiche del popolare quartiere cosiddetto “Duchesca” a pochi passi dall’altrettanto antico quartiere di “Forcella”, sorge il Palazzo del Cardinale Ascalesi, trasformato da oltre un secolo in Ospedale, centro di cura e riferimento per gli abitanti della città.
Tutto questo non avrebbe nulla di strano eppure, andando a scavare nei meandri della storia, sono molte le curiosità e i misteri collegati alla Destinazione di questo posto come Luogo di Cura.


Nello stesso sito sorgeva infatti un complesso monumentale con annesso monastero, dal nome Complesso della Maddalena, voluto intorno al 1340 dalla Regina Sancha D’Angiò quale luogo di redenzione e di cura delle prostitute  affette da sifilide, malattia a trasmissione sessuale che all’epoca mieteva numerosissime vittime. Non a caso il Complesso della Maddalena sorgeva accanto alla Chiesa di S. Maria Egiziaca, una Santa egiziana penitente che trascorse in pellegrinaggio nel deserto circa  quarantasette anni.

All’interno del Convento le Suore inventarono i famosi “roccocò” dolci napoletani ricchi di spezie e mandorle, con la vendita dei quali ricavavano fondi per l’assistenza alle ammalate. Tuttavia, negli anni venti, il Complesso fu trasformato dal Comune in “Ospedale per la Cura delle malattie della Pelle” ( in particolare della Tigna), e negli anni Trenta fu infine completato e intitolato al Cardinale Alessio Ascalesi che prese parte attiva alla sua costruzione. Fu un  caso più unico che raro in quanto il cardinale era all’epoca vivente.
A tutt’oggi la struttura sanitaria porta il nome del celebrato Cardinale.

Camminare all’interno del Complesso mette in uno stato d’animo di quiete e riflessione, il  Chiostro, bellissimo, è animato dalle giovani voci degli Allievi e delle Allieve della scuola infermieri, che si preparano a entrare come pietra viva nelle fila dell’Assistenza sanitaria. Per quasi cinquant’anni l’Ospedale Ascalesi ha curato e assistito la popolazione di Napoli, grazie ai luminari di Chirurgia  e Medicina e ai loro assistenti, agli infermieri  e ai portantini che hanno assistito gli ammalati donando oltre la cura anche il conforto, la parola e il gesto che fanno della relazione con il Paziente un percorso di ristoro, e non solo di fredda tecnologia.
Pochi anni fa,  purtroppo, la Regione Campania fu costretta a prendere l’amara decisione di chiudere il Presidio Ascalesi, ponendo la parola fine ad un itinerario di cura e soccorso datato oltre sette secoli. Eppure qualcosa si è mosso affinchè questo luogo scelto come “Destinazione Cura” restasse centro di riferimento per quanti necessitano di diagnosi, terapie e parola di sollievo… Non a caso il Presidio è stato gemellato all’IRCCS Pascale, Istituto per la ricerca e cura dei tumori, prestigioso Ente Napoletano. Così, attraverso i secoli  una freccia spazio-temporale continua ad associare l’antico Monastero alla Medicina e alla Cura restando in asse nel mondo di oggi e forse in quello di domani, attraverso una Struttura dedicata ed avanzata tecnologicamente ma anche attenta alle fragilità fisiche e psicologiche degli assistiti con i suoi Ambulatori  Clinici, di Riabilitazione, di Nutrizione e di Psicologia e altro a venire.
Tra i misteri di Napoli nelle sorprendenti viuzze sospese tra passato e futuro, tra panieri della spesa e app digitali resta ben saldo un Luogo  che da secoli è stato scelto, non a caso, come “Destinazione Cura”.