Il ruolo delle MH nella cura e nei luoghi della cura

Intervista alla Prof.ssa Tiziana Tacconi, docente di Anatomia Artistica dal 1989 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, già Direttrice del Biennio di secondo livello in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica- all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano) dal 2004 al 2019, fondatrice dell’Associazione Kairos

a cura di Patrizia Santinon

Il ruolo delle Arti per il miglioramento del benessere e della salute è confermato da un corpo di evidenze scientifiche cresciuto dagli anni ’70 del secolo scorso e che culmina nel report dell’OMS del 2019: Fancourt D, Finn S. What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? tradotto in italiano dal CCW-Cultural Welfare Center grazie alla partnership con DoRS Regione Piemonte Centro di Documentazione Regionale per la Promozione della Salute.

Come si è sviluppato il contributo della terapeutica artistica nella cura e nei luoghi della cura a a partire dal tuo lavoro pioneristico fuori e dentro Brera?

Il biennio di Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica nasce nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano nel 2004 dopo una sofferta proposta di 7 anni all’istituzione accademica. Il progetto fu il prodotto della ricerca condotta oltre da me, dalla professoressa Laura Tonani e dal critico d’arte Tommaso Trini. Quando finalmente nel 2004 si realizzò il Biennio il contributo dello psichiatra prof. Fausto Petrella fu determinante nella creazione di una Convenzione con il Dipartimento di Specializzazione di Psichiatria della Facoltà di Medicina – Università di Pavia. Inizialmente non era prevista quell’apertura di laboratori nelle Strutture Sanitarie perché a quel tempo non si registravano esperienze simili in nessun Reparto se non nella Psichiatria. Ma dal 2005 dopo un anno continuativo di attività artistica nel Reparto di Oncologia nell’Ospedale di Carrara (MS), si aprì una richiesta così intensa che nel giro di qualche anno avevamo laboratori di terapeutica artistica in moltissimi Reparti degli Ospedali di Milano, Pavia, e nel resto d’Italia. Si prese consapevolezza che l’arte favorisce il processo di umanizzazione dei luoghi di cura, aiuta a riscoprire la propria creatività, favorisce i rapporti interpersonali, migliora la comunicazione con i pazienti e nell’ambiente lavorativo e, non ultimo, rappresenta uno strumento estremamente utile per la lotta ai sintomi da burnout, del personale sanitario che vive un confronto quotidiano con patologie gravi.

Vivere la propria cura in uno spazio dialogante con l’arte, favorisce la visione ottimistica e positiva della vita in cui gioca un ruolo chiave l’esperienza condivisa.

Fu proprio nell’esperienza dell’Oncologia di Carrara che ebbi modo di assistere alla creazione dell’ OPERA CONDIVISA, che diventò il modello dell’ARTE TERAPEUTICA. Creare un’Opera condivisa  corrisponde a riprende il filo di quell’antica tradizione dell’arte che esige creazioni di valore umano, non contemplazione estetica fine a se stessa o  piacere intellettuale, ma opere come espressioni di individui all’interno di una società.

Che cosa ti ha spinto a portare il tuo lavoro e le competenze di artista nei luoghi simbolo dell’Istituzione totale, dalla psichiatria di Pavia al carcere di Bollate?

Io non credo che ci sia un’arte per i malati e un’arte per i sani, ci sono però dei modi di stare insieme e se l’arte ha forse un senso in certi momenti è proprio quello di insegnarci a guardare l’altro non come se fosse fuori di noi, ma come se fossimo noi stessi. Un’altra parte del sé. Il diverso ci fa paura e noi tendiamo ad allontanare tutte le cose che ci provocano disagio, ma in realtà questo atteggiamento, questa paura, è l’evidenza stessa della nostra difficoltà a vivere in armonia il nostro quotidiano.

Il termine Terapeutica deriva etimologicamente dal latino Therapèutica e dal greco Therapeytikè che correntemente tradotta con “arte” comprendeva un saper fare, una partecipazione consapevole a ciò che si fa, simile ad un organismo vivente, che imita o completa la natura, da cui deriva il piacere di “prendersi cura di sé” e degli altri.

Comunicare le risorse e le potenzialità individuali e creare le condizioni perché i processi di partecipazione rendano praticabile un’esperienza comune significa riconoscere la fiducia come processo capacitante e generante.

È un’operazione che chiede a chi opera nei contesti sociali non solo di uscire dalle certezze culturali ma anche di aprirsi al rischio e all’imprevisto, offrendo in prima persona una misura, un modo possibile di metterla in circolo. Essere fisicamente “sullo stesso piano”, nello spazio di partecipazione ha a che fare con la “condivisione”, creazione delle condizioni che accrescono la fiducia tra i soggetti coinvolti e i saperi di cui sono portatori.

Alla base di un’interazione corretta c’è l’empatia che indica la capacità di proiettare se stessi in ciò che è altro da sé (cosa, persona, situazione).

Il saper comunicare in maniera empatica è caratteristica fondamentale per la costruzione di un percorso artistico corretto, di pari dignità rispetto alla capacità di comprensione, di-segni e condizioni ambientali. L’Arte Terapeutica ci ha portato a realizzare OPERE CONDIVISE nei Reparti ospedalieri, nelle Assocciazioni, nelle Scuole ed a condividere, la mancanza di libertà, nel carcere, il più chiuso dei mondi, con i detenuti e la tensione che  vi si assapora.

Che cosa è terapeutico dal tuo punto di vista di artista e terapeuta? Perché parliamo di terapeutica artistica e non ti arte-terapia?

Negli anni Cinquanta, quando l’Art Therapy  era ancora nella sua fase pionieristica, la pittura era realmente una possibilità di cura perché riusciva a “sedare” e “contenere” l’avventura della malattia mentale, a conferma che il processo creativo assume caratteristiche particolari se lo si lascia libero di esprimere il vissuto profondo dell’essere. Senza ombra di dubbio possiamo dire che tutto cambiò con l’introduzione di farmaci che nell’azione sedativa, erano molto più efficaci dell’arte.

La Terapeutica Artistica, da una tale eredità storica, alla quale afferiscono principalmente saperi relativi alla psicoanalisi e alla psichiatria, ha aperto un’ulteriore riflessione intorno alla storia dell’arte e all’estetica di orientamento fenomenologico, dando vita ad un nuovo metodo del percorso formativo terapeutico e del linguaggio del “fare” creativo e inventivo.

Il confronto di due sguardi: quello artistico e quello del mondo della psiche, senza snaturarne i rispettivi linguaggi, ci ha portato a “rinominare” a “ridisegnare” i contorni di una disciplina che in sé riuniva un panorama multiforme ma a tratti confuso, in una nuova esperienza: l’ARTE TERAPEUTICA. La caratteristica e la contemporaneità dell’Arte Terapeutica è sviluppare una creatività alla quale tutti possano partecipare: è necessaria la presenza di una figura professionalmente in grado di stimolare la funzione espressiva, di evidenziare la presenza di un “corpo socializzato” che sia il presupposto per la realizzazione di contesti di ‘terapeuticità’ e di condivisione.

L’ artista terapista essendo principalmente esperto del linguaggio artistico ha la consapevolezza che l’atto creativo è la forma migliore del “prendersi cura di sé”.

La visionarietà, il rapporto tra l’immaginario e la vita affettiva costituisce l’assunto di base che individua nell’artista terapista quella capacità relazionale di stimolare nell’altro un processo di comunicazione personale, interiore, sostenibile e creativo. Proprio il fenomeno dell’immaginazione come capacità espressiva della personalità è in grado di sopravvivere al disagio esistenziale che favorisce un progetto metodologico che possiamo definire “terapeutico”.  L’applicazione del metodo terapeutico accoglie nel fare artistico, ogni trasformazione, richiede tempo ed assimilazione dei meccanismi nuovi, dal momento che ogni cambiamento apporta  sicuramente dei vantaggi, ma anche la perdita della stabilità indotta dalla consuetudine, presenta molteplici significati simbolici ed immagini complesse, consentendo l’attuazione di un nuovo linguaggio espressivo del corpo, diverso dalla parola ma soprattutto dal sintomo.

Come sostiene l’amico critico d’arte Claudio Cerritelli  “Il fatto che l’arte contemporanea sia attirata a dialogare con i luoghi della sofferenza e della malattia con il pensiero rivolto alla solidarietà sociale come sostegno alla dimensione fisica e spirituale dell’uomo, porta a riflettere intorno al valore di questa operazione dell’esperienza umana e…..  consente  continue immagini fissate nel rapporto inesplicabile tra la vita e la morte. Questa iniziativa culturale non è estranea alla vitalità creativa dell’arte e deve dunque intendersi nelle sue profonde implicazioni umane come   partecipazione attiva ad un progetto di qualificazione estetica della vita, nel momento di massima sospensione del suo senso..” 

L’arte contemporanea si distingue da quella antica concepita come verità rivelata, perché si può attuare solo attraverso l’individuo. L’individuo dovrà costruirsi il mondo direttamente, con le proprie forze. Questa sarà la grande opera d’arte moderna: la scultura sociale. L’artista è chiunque abbia questo grande progetto.

J. Beuy

Ci racconti come nasce l’idea della performance “Fili Rossi per la Pace” lungo la via Francigena e come è possibile parteciparvi e contribuirvi?

“Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di 
notte,
né per 
mare né per terra:
per esempio, la guerra.”

versi tratti dalla poesia “Promemoria” Gianni Rodari

Siamo nell’epoca del “senza futuro” contraddistinta da un malessere opaco, da un senso di inutilità e di impotenza che riflette l’appannamento del futuro. Per i giovani spesso il domani appare  una minaccia piuttosto che una promessa capace di orientare il cammino verso l’età adulta . Se non vengono tradotte in parole condivise, le esperienze passate precipitano nell’insignificanza e nell’oblio

“Fili Rossi per la Pace” è un’opera d’arte condivisa che inizialmente doveva percorrere  la via Francigena dal 1 giugno ad ottobre ma che attualmente si è inoltrata in tutti i luoghi del Mondo.

L’obiettivo di creare un’Opera Condivisa lungo la via Francigena da San Bernardo a Roma, dove ogni persona che partecipa diventa artista dell’opera Condivisa, semplicemente documentando la parte del cammino che sceglie di percorrere lasciando lungo il sentiero il suo filo rosso,  è  diventato  la testimonianza concreta  dell’importanza della pace come bisogno dell’umanità e come risposta ad ogni violenza, toccando luoghi che vanno oltre la Via Francigena.  Ad oggi abbiamo raccolto testimonianze di fili rossi da luoghi oltre l’Europa, dall’Asia dall’America e dall’Africa. Proprio attraverso il simbolismo del filo rosso, che ogni persona può portare con sé lungo il percorso si sono concretizzate le parole di Papa Francesco

“Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.”

L’opera condivisa “Fili Rossi per la Pace” è un’idea innovativa di Arte Terapeutica che si propone come una Performance in Progress. Ogni  partecipante che percorre il suo viaggio  lascia  il suo filo rosso, che nel tempo si unirà  simbolicamente agli altri creando una rete internazionale dedicata alla Pace. La partecipazione viene documentata con una testimonianza fotografica o video.  Questa iniziativa “Fili Rossi per la Pace” invita tutte le persone, Artisti, Enti privati e Pubblici, Associazioni, e Comunità  a prendere parte alla costruzione di un messaggio di Pace, simbolo di connessione tra popoli e culture. In quanto artista Terapista e fondatrice dell’Opera Condivisa mi sento impegnata a far si che l’arte  ci permetta la rielaborazione della realtà  e lo stimolo necessario alla “cura sia del corpo che dello spirito” e  consenta  ai ragazzi di  sentirsi membri  di una comunità che non è solo fuori ma anche dentro di loro, protagonisti di una storia che non è conclusa e  di un futuro che deve essere ridisegnato ricominciando  dal punto in cui il discorso si è  interrotto attraverso la comune passione per la creatività. Fili rossi per la Pace continuerà fino alla metà di ottobre ma altre Opere condivise saranno indirizzate al tema della Pace.

Ti chiedo di spiegarci che cosa intendi per “opera d’arte condivisa”.

Comunicare e  condividere  risorse e  potenzialità individuali, creare le condizioni perché i processi di partecipazione rendano praticabile un’esperienza comune  è  un’Opera condivisa e significa essere strumento e dare strumenti per costruire un progetto di possibile cambiamento al presente. “L’opera  condivisa ” prevede l’attuazione di un progetto artistico e la realizzazione individuale e collettiva che coinvolge  tutti i componenti  alla realizzazione dell’opera, condividendo lo spirito del progetto ed essendo tutti gli artisti dell’Opera superando nella condivisione l’atto esclusivo di appartenenza senza rinunciare alla propria identificazione dell’essere creativo.

Supportare l’inclusione di materie artistiche e umanistiche nella formazione dei professionisti della salute per migliorare le loro competenze cliniche, individuali, e di comunicazione“ è una delle indicazioni fornite dalla più recente ricerca dell’OMS sul ruolo dell’arte nella costruzione di salute. La formazione di base e permanente degli operatori sanitari e la dimensione stessa della cura possono trovare nelle discipline umanistiche un valido supporto al miglioramento della relazione di cura tra curanti, pazienti e family caregiver, alla gestione della dimensione etica e multiculturale della cura e al sostengo al benessere stesso dei curanti. Quale pensi possa essere il contributo della terapeutica artistica nell’alveo delle Medical Humanities proprio a partire dalla tua esperienza di socio fondatore dell’associazione Kairos, di cui ti chiederei di parlarci un po’ meglio?

Un po’ “rabdomanti” della creatività: così gli artisti terapisti scoprono la fonte delle pulsioni espressive e restituiscono nuova forza propulsiva, suggerendo il “fare” che diventa “voce”. Senza mai perdere di vista la qualità estetica del lavoro, gli artisti terapisti, sono in grado di affinare gli strumenti dell’arte e a porli come linguaggio sul piano relazionale, esercitando un ruolo maieutico nei confronti delle potenzialità espressive dell’altro, creando così l’apertura tra il mondo interiore e la realtà corale dell’opera condivisa.

La grande scommessa dell’ARTE TERAPEUTICA è quella di contribuire alla costruzione di un progetto d’integrazione tra due sguardi, quello psichico e quello artistico, aventi come finalità la comprensione dell’individuo colto nella sua dimensione antropologica esistenziale e di conseguenza una nuova, reale prospettiva dell’arte.

Inoltre la possibilità di confrontarsi anche con altre discipline artistiche, e non escludo professioni e mestieri, nell’ottica di un’attività espressiva integrata che possa essere terreno fecondo per attività future, ha maturato la consapevolezza di nuove possibili aperture di linguaggio e di pensiero. Perciò la condivisione tra artisti, psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, medici, neurologi, filosofi, matematici, scienziati ecc… mantenendo ognuno la propria specificità professionale ha la potenzialità di creare diversi sguardi e un momento di confronto e di re-visione dell’esperienze che da tempo sono state avviate dall’Arte Terapeutica. Ciò che appare vistoso allo sguardo di chi si occupa  “ del prendersi cura “ è che le persone sono cambiate.  È cambiato il loro sguardo sul mondo, il senso del limite, della possibilità di espressione del proprio desiderio.  Un cambiamento tanto radicale da rappresentare per molti una mutazione antropologica segnalata da diversi indicatori. Stabilire un rapporto tra libertà e limite e tra ordine e creatività, instaurare relazioni fondate sul dialogo, trovare un nuovo equilibrio sono questioni che occupano costantemente la ricerca di Arte e Psiche.

Il disastro pandemico mi ha offerto la fortunata possibilità di collaborare con l’amico e collega  Michele Oldani, psicologo e sociologo, insegna Fondamenti di psicologia nel Biennio di Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica ,docente e membro del direttivo della Scuola di specializzazione in psicoterapia Lista, di cui è stato presidente e fondatore dell’Associazione Kairos, nel 2021 mi propose di condurre con lui un Biennio di Terapeutica del Colore. Nel 2023 abbiamo insieme ad altri colleghi, artisti e psicologi rinnovato l’Associazione Kairos introducendo le attività artistiche.

In questa direzione Kairos si propone come contenitore riflessivo per genitori e insegnanti, andando a ricercare, attraverso discussioni relative alle singole problematiche e da svolgere insieme, modelli relazionali che permettano di superare diverse difficoltà. Sono in fase di preparazione e saranno presto pubblicati sul sito cicli di interviste ai responsabili delle aree evolutive, delle scuole di psicoterapia sui singoli aspetti dei cambiamenti dell’infanzia, dell’adolescenza, adulti e anziani. Kairos propone laboratori creativi individuali e di gruppo di arte Terapeutica e offre un canale alternativo per affrontare i sintomi del disagio che si manifestano ad ogni età. Attraverso percorsi individuali di attività laboratoriale anche i genitori e gli educatori possono sviluppare le loro capacità artistiche che può favorire il processo di problem solving e aiutare a trovare soluzioni creative ai loro problemi.

La gotta

Già nota ai tempi di Ippocrate, la gotta è una malattia del metabolismo in cui depositi di cristalli di acido urico si accumulano nelle articolazioni a causa degli elevati livelli ematici di acido urico (iperuricemia). L’accumulo di cristalli causa riacutizzazioni (attacchi) dell’infiammazione dolorosa all’interno delle articolazioni e intorno ad esse.

La gotta è più frequente fra gli uomini che fra le donne. Solitamente, la gotta insorge nella mezza età per gli uomini e dopo la menopausa per le donne. È rara nella popolazione più giovane, ma è spesso più grave nei casi che insorgono prima dei 30 anni di età.

Un consumo eccessivo di alimenti ricchi di purine (quali molluschi, carne rossa, fegato, rognone, acciughe, asparagi, consommé, aringhe, sughi e brodi a base di carne, funghi, cozze, sardine e animelle) può aumentare il livello di acido urico nel sangue. Tuttavia, una rigorosa dieta a basso contenuto di purine riduce i livelli di acido urico solo di poco ed è raramente una terapia sufficiente per chi soffre di gotta. In passato, quando la carne e il pesce erano scarsi, la gotta era considerata una malattia dei ricchi. Appare evidente come i ceti più umili, i contadini e i poveri, difficilmente avessero a che fare con la gotta, dal momento che la loro alimentazione, spesso scarsa e saltuaria, era per lo più a base di cereali, verdure e legumi.

Essendo quindi associata ai ceti emergenti, abbiamo notizie di numerosi personaggi storici affetti da questa patologia, ad esempio Carlo V di Spagna, Carlo Magno, Enrico VIII d’Inghilterra, Isaak Newton, Charles Darwin, Piero di Cosimo de’ Medici (soprannominato “il gottoso”), ma anche Papi, come Giulio II, Clemente VIII e Bonifacio VI, deceduto dopo solo quindici giorni di pontificato, proprio a causa della gotta.

Per la sua peculiarità di colpire i ceti abbienti, la gotta è stata spesso sfruttata nella letteratura, nell’arte e anche nel teatro come arma di rivalsa dei ceti più umili, per ironizzare e sbeffeggiare i nobili che, pur possedendo ogni ricchezza e fortuna, venivano duramente colpiti dalla malattia. La selettività della gotta divenne, nei secoli, strumento di sfogo e argomento di facile presa per gag ironiche, discriminanti soprannomi e componimenti letterari satirici atti a burlarsi dei ceti sociali nobili.


Chiara è l'intenzione del francese Jehan Georges Vibert che eseguì il dipinto La Dieta con un pizzico d'ironia. La chiave di lettura, come sempre accade nelle opere che raffigurano soggetti affetti da questa patologia, viene offerta dalla presenza del cuscino, sul quale il soggetto ritratto appoggia il piede destro, in cerca di sollievo: l'uomo, appartenente al privilegiato ceto ecclesiastico, è chiaramente affetto da gotta; l'artista, rifacendosi al brillante linguaggio satirico di una parte della pittura di genere settecentesca, presenta il cardinale sofferente davanti a tutte le rinunce alimentari cui è obbligato per motivi di salute. Sullo sfondo, a sinistra, si scorgono tre valletti che allontanano dalla tavola le prelibatezze proibite: l'uomo appare visibilmente "in carne", il gusto per la buona tavola è certamente una delle priorità del prelato, purtroppo messo a dieta dalla gotta e costretto a rinunce alimentari.
Il dipinto dell'inglese William Hogarth (Il matrimonio alla moda), celebre autore di dipinti e incisioni dal marcato accento satirico, conferma come la gotta colpisca preferibilmente i ceti nobili e offre un'immagine più chiara della patologia: il malato è l'uomo all'estrema destra, facilmente riconoscibile, ancora una volta, grazie al panchetto che lo aiuta a tenere sollevato il piede destro, visibilmente fasciato e privo di scarpa, per alleviare i dolori e le infiammazioni della podagra. Il tema dell'opera è quello di un contratto matrimoniale che si sta stipulando a tavolino, tra i due giovani all'estrema sinistra; l'uomo affetto da gotta, identificato come un conte, è il padre di uno dei promessi sposi, impegnato con il dito indice a mostrare l'albero genealogico che ha al suo fianco, come testimonianza delle sue nobili discendenze.
La stampa dell'olandese Jan Luyken mostra più da vicino le condizioni fisiche di un malato di gotta, costretto su quella che costituisce un interessante prototipo settecentesco di sedia a rotelle, con un piano inclinato che permetta di tenere sollevate entrambe le gambe fasciate per alleviare i dolori.
Tra le tante opere d'arte che raffigurano pazienti gottosi, l'incisione del disegnatore inglese James Gillray specializzato in soggetti di satira politica e sociale, costituisce un ironica rarità, poiché a differenza di altre raffigurazioni, che mostrano l'intero paziente in un contesto sociale, qui l'attenzione è incentrata sull'arto malato. Si tratta di un piede gonfio e arrossato dall'infiammazione, voracemente attaccato e divorato da un non meglio identificato perfido mostro, che aiuta a rendere palpabile il senso di dolore provato dal malato.

Io avrò cura di te.

al via le iscrizioni per la seconda edizione del master “Cronicità e Leniterapia: il fine della cura verso la fine della vita”

di Donatella Lippi, Professore Ordinario, Storia della Medicina e Medical Humanities, Delegata della Rettrice al Coordinamento delle Relazioni Esterne UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica (DMSC), Presidente Fondazione Scienza e Tecnica

Siamo di fronte a una transizione epidemiologica nella patologia emergente: da una situazione in cui erano predominanti le malattie infettive e carenziali, si è passati a una prevalenza di quelle cronico-degenerative: se, da un lato, l’aumento della speranza di vita alla nascita rappresenta una grande conquista, determinata dal miglioramento delle condizioni di vita e dai progressi della medicina, dall’altro necessita di una rinnovata capacità di programmazione di interventi di politica sanitaria e di un cambiamento di mentalità.
A fronte del cambiamento della patocenosi, anche la formazione dei professionisti della salute deve attraversare una rilettura generale.
Per il secondo anno è stata attivata a Firenze una Scuola di Specializzazione in Medicina Palliativa e un Master, dal titolo “Cronicità e Leniterapia: il fine della cura verso la fine della vita”.
Non solo: in questo anno accademico, grazie alla prof. Linda Vignozzi, nei sei anni del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, sono state attivate numerose occasioni di Attività Didattica Elettiva, con esperti di comunicazione (Laboratorio di Comunicazione Generativa Unifi), della ATT-Associazione Toscana Tumori e FILE- Fondazione Italiana Leniterapia, per educare da subito i nostri Studenti a fronteggiare situazioni cliniche complesse o irreversibili.

“Io avrò cura di te”.
Sono esemplari le parole della canzone-capolavoro di Franco Battiato, “La cura”, per porre l’accento sullo spirito di questo master.

“Palliativo”, nella accezione comune, è percepito come provvedimento che non risolve una difficoltà o una situazione critica, ma ne allontana provvisoriamente le conseguenze: in realtà, vuole indicare, tra l’altro, quell’insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale e della sua famiglia.

Per questo, era stato tentato di usare il termine “Leniterapia”.
«In Italia il significato di cure palliative è ancora poco conosciuto. Così spiegava Donatella Bartolozzi, quando era presidente di FILE, alla cui memoria il master è dedicato: palliativo è infatti un termine che talvolta viene interpretato in modo riduttivo come inutile o poco efficace. Le cure palliative sono invece terapie e tecniche nate per aiutare chi deve affrontare la sofferenza fisica, la paura e la disperazione del dolore e della morte. Per questo abbiamo coniato il neologismo leniterapia, che porta con sé l’idea di dolcezza, di cura, di solidarietà». (Repubblica, 10 dicembre 2004, Firenze, p. XV).
Oggi, i nostri medici e i nostri studenti devono imparare a confrontarsi con polimorbilità, con situazioni complesse, con situazioni sempre più numerose in cui non possono più guarire, ma possono curare: questo master si propone di inquadrare la cura di questi pazienti secondo una “postura palliativista”.
Io avrò cura di te.

qui tutte le info sul master https://www.leniterapia.it/formazione/master-cronicita-e-leniterapia/ e qui il programma completo

il Master, della durata di un anno, promosso dal Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze, con FILE e Fondazione CR, si è proposto per la formazione dei professionisti delle cure palliative in campo medico, assistenziale e psicologico, che agiscano a diversi livelli assistenziali: medicina generale, assistenza in Unità di Cure Palliative, a domicilio, in Hospice, in servizi territoriali pubblici e privati (profit e non profit).

Nella precedente edizione il Programma del MASTER è iniziato, dopo le prove di ammissione, il 14 di Ottobre 2022 ed è proseguito, con regolarità, con incontri quindicinali. Al Master si sono iscritti 14 Discenti, provenienti da esperienze differenti: alcuni di loro lavoravano già in contesti dedicati e hanno intrapreso questo percorso per potenziare le loro competenze, mentre, per altri, si trattava di un’esperienza nuova, alla quale si volevano avvicinare per approfondire un tema che reputano, giustamente, di grande attualità.
Le lezioni sono state tenute prevalentemente in presenza, offrendo a coloro che fossero stati impossibilitati a partecipare, l’opportunità del collegamento on line.
Questo metodo ha contribuito, unitamente a lezioni di tipo esperienziale e ai focus group regolarmente organizzati, a creare un’unione molto solida ed affiatata tra i Discenti, sostenuta da grande spirito di solidarietà e di collaborazione, anche coi Docenti.
Ogni incontro è stato vissuto con particolare intensità, coinvolgendo i Discenti in discussioni aperte, nelle quali ognuno ha portato la propria esperienza, le difficoltà incontrate nel lavoro e le aspettative riposte in questo tipo di percorso formativo.
Attraverso la condivisione e la verbalizzazione delle informazioni possedute e condivise, infatti, si è sempre attivato un processo di rielaborazione, che ha valutato le idee enunciate, esponendole alla critica e ridefinendole.
 Mediante la discussione, si è sviluppato, infatti, il pensiero argomentativo, favorendo la dialettica e agevolando la formulazione di problemi e i tentativi di rielaborazione delle ipotesi.
Al termine di ogni modulo, è stato sottoposto ai Discenti un questionario, per verificare le eventuali criticità, i punti di forza, i temi e i Relatori più apprezzati oppure meno graditi.
Le risposte sono state sempre molto positive, soprattutto nelle occasioni in cui i Discenti hanno potuto partecipare attivamente alla lezione.
Le attività formative sono state articolate, rispettando l’assunto iniziale della divisione in tre grandi sezioni, Visione, Azione, Organizzazione, a loro volta declinate in Ragione-Cultura-Sentimenti; Luoghi-Pazienti-Tecniche; Team-Rete-Sistema.
 Da un punto di vista generale, sono stati presi in considerazione i grandi temi della cronicità, della oncologia e della geriatria, inquadrati sia dal punto di vista epidemiologico e biologico, sia dal punto di vista sociale e culturale, con particolare attenzione verso i pazienti affetti da malattie croniche, in particolare di quelli molto anziani con multimorbilità e di quelli in fasi avanzate di malattia, nelle quali sia ragionevole aspettarsi una prognosi sfavorevole e a relativamente breve scadenza.
L’ottica privilegiata è stata, quindi, comprensiva non solo degli aspetti biomedici relativi alle patologie, ma anche di quelli riguardanti la sofferenza psichica, relazionale e spirituale, della persona interessata e di coloro che se prendono cura.
Il bilancio nel gradimento dei Discenti relativamente al master è, quindi, pienamente positivo e, ad oggi, gli obiettivi possono dirsi raggiunti, in quanto, al termine del Master, i Discenti hanno dimostrato di aver acquisito le conoscenze adeguate per individuare i pazienti ed inquadrarne i bisogni verso la fine della vita, secondo l’ottica della complessità e delle necessarie relazioni organizzative finalizzate ad integrare le diverse competenze professionali, nell’ambito di una nuova cultura palliativista, che potrà incidere e trasformare il loro modo di agire in diversi setting assistenziali.
La Fondazione File, grazie al contributo della Fondazione CR, ha sostenuto con grande impegno il corso, mettendo a disposizione il pagamento del 50% dell’iscrizione dovuta all’Università.