Cosa significa quinta essenza?

Spinti dall’assillo di riuscire a separare dalle diverse sostanze la quinta essenza ossia l’essenza celeste per la quale ogni fenomeno nel nostro mondo è quello che è, gli alchimisti lavorarono indefessamente con storte, alambicchi e croginoli, inseguendo, come Faust, sino all’estrema vecchiaia l’ombra di un sogno. Vecchio ed attento al suo alambicco, lo vediamo in questo dipinto attribuito a Teniers David il Giovane (sec. XVII)

Secondo le concezioni degli antichi filosofi-scienziati greci e romani, per tutto il Medioevo e praticamente sino alla nascita della chimica moderna (che a prescindere dalla figura particolare di Paracelso muove i primi passi nel Seicento e si affermerà definitivamente nell’ultimo scorcio del Settecento con Lavoisier, per trionfare nei due secoli successivi) gli elementi o essenze erano quattro: acqua, aria, terra e fuoco.

Aristotele osservò che essi corrispondevano ai quattro movimenti fondamentali, basso-alto, alto-basso, destra-sinistra e sinistra-destra. Come dalla combinazione dei quattro movimenti derivavano tutti gli altri movimenti possibili, così dalla combinazione dei quattro elementi nascevano tutte le possibili forme esistenti, dal sasso al corpo vivente dell’uomo. Ma Aristotele aveva anche osservato che esisteva un quinto movimento, quello circolare, il più perfetto di tutti, quello dei corpi celesti le cui orbite, sino a Johannes Kepler (1571-1630), erano considerate, appunto, perfettamente circolari.

Era inconcepibile che a questo quinto movimento non corrispondesse un quinto elemento, una quinta essenza che fosse anch’essa, come il movimento che le corrispondeva, l’essenza più perfetta, più pura, eterna ed immutabile.

A questo quinto elemento Aristotele diede il nome di etere ed affermò che di etere erano costituiti i cieli che, nel suo sistema rigorosamente geocentrico, ruotavano eternamente intorno alla Terra, seguendo le orbite loro circolari nelle quali non c’è né principio né fine, ma ogni punto è, insieme, principio e fine. Per questo i cieli, perfetti e immutabili, descrivono il moto perfetto ed immutabile, quello appunto circolare.

È uno dei più eloquenti esempi di concezione qualitativa del mondo, ossia di quella concezione che vede tutto animato da qualità e da virtù e, contemporaneamente, è tutto sommato, un circolo vizioso: il cerchio è perfetto perché è definito, ma non ha né principio né fine ha, cioè, la qualità della perfezione. Bisogna ricordare che l’idea dell’infinito, nonostante gli sforzi di eccellenti storici del pensiero antico per dimostrare il contrario, rimase costantemente estranea alle concezioni del mondo antico, il quale vide sempre nell’infinito l’imperfezione e, quindi, riteneva esso non potesse esistere nel mondo, opera perfetta della Natura, che aveva edificato l’Universo secondo i meravigliosi e perfetti principi della geometria. Il cerchio deve corrispondere ad un elemento perfetto, l’etere, quindi deve corrispondere ai cieli che saranno, per conseguenza, perfetti ed, essendo perfetti, essi si muoveranno del movimento perfetto, ossia descrivendo orbite circolari.

A parte ciò, alla concezione aristotelica si sommò una interpretazione un po’ banalizzante del pensiero di Platone relativamente ai corpi celesti, da lui concepiti di natura divina.

La cosmologia e l’astronomia platonico-aristoteliche si sposarono con l’astrologia, che si può dire sia nata con la nascita stessa della civiltà umana. Il fondamento dell’astrologia sta nella convinzione che i corpi celesti esercitino un’influenza determinante sulla Terra e su tutti gli eventi dei quali essa è teatro, comprese vita e morte, tramite le loro virtù che, ovviamente, si annodano, si snodano, si incrociano, si sommano in una serie quasi infinita di modi, come quasi infinite sono le loro congiunzioni, le loro esaltazioni ecc.

Ne derivò la concezione medievale della quinta essenza che si può riassumere in questi termini: i quattro elementi, combinandosi, formano questo o quel fenomeno (un sasso, un cristallo, una pianta o un’altra, un animale o un altro, uno o un altro uomo, e via dicendo).

Ma la combinazione dei quattro elementi non basterebbe da sola alla formazione ed alla permanenza del fenomeno se non intervenisse il quinto elemento, la quinta essenza, che dà al fenomeno la sua vita, sia esso minerale, vegetale o animale, e lo conserva in vita oltre a determinarne la virtù o le virtù specifiche. Così la formazione è opera della quinta essenza e quando questa abbandona la creatura, si ha la morte che altro non è se non il disfacimento della combinazione dei quattro elementi di cui la creatura è costituita e che tornano ad unirsi secondo il principio del «simile con simile», ossia la terra torna alla terra, l’acqua all’acqua, l’aria all’aria ed il fuoco al fuoco.

Questa concezione fu alla base di tutte le ricerche dell’alchimia che miravano, appunto, ad ottenere la quinta essenza tramite i processi di combustione, calcinazione, distillazione, con i quali ci si illuse di scoprire anche la quinta essenza che fosse in grado di trasmutare i metalli vili in oro, la famosa pietra filosofale, o di scoprire l’elisir di lunga vita che avrebbe dovuto consentire di far in modo che mai la quinta essenza dalla quale dipendeva la vita abbandonasse l’essere vivente.

Il sogno tramontò quando si poté dimostrare che aria, acqua, terra e fuoco non erano elementi e che gli elementi erano tutt’altra cosa. Ma per questo si dovrà attendere la grande rivoluzione scientifica del Seicento, la rivoluzione galileiana.

Lascia un commento