La storia della medicina può aiutarci a conoscere meglio il futuro?

È necessario conoscere la storia dell’uomo e della medicina per riflettere sulle evoluzioni della scienza medica nel corso della storia dell’umanità, dei tempi lunghi necessari per consolidare le basi delle conoscenze, consentendo, grazie a questo percorso, i recenti e attuali grandissimi passi che avvengono, invece, in tempi molto brevi.

Antoinette C. van der Kuyl autrice del recente “Historic and Prehistoric Epidemics: An Overview of Sources Available for the Study of Ancient Pathogens” (https://www.mdpi.com/2673-3986/3/4/34) si è chiesta come la conoscenza molecolare dei patogeni storici e preistorici può aiutarci a capire il passato e il presente e prepararci per le future epidemie.

In una interessante revisione, l’autrice sottolinea che per studiare le epidemie (pre)istoriche, i recenti progressi nel campo del DNA antico, applicati sia ai resti archeologici che a quelli storici, hanno contribuito enormemente a chiarire la traiettoria evolutiva dei patogeni. Questi studi hanno offerto nuove e inaspettate intuizioni sull’evoluzione, ad esempio, del virus del vaiolo, del virus dell’epatite B e del batterio che causa la peste Yersinia pestis. Nell’articolo evidenzia come i modelli di sepoltura e le pubblicazioni storiche possono aiutare a rintracciare i patogeni antichi.

L’autrice ricorda che i focolai causati da agenti patogeni “endemici”, e le epidemie causate da agenti patogeni “nuovi”, hanno creato caos e distruzione sin dalla preistoria.

La parola peste, dal latino plaga, che significa “ictus, o ferita”, un termine comune per una “epidemia con molte morti”, era dall’inizio del XVII secolo d.C. sempre più usata per descrivere specificamente le infezioni da Yersinia pestis.

Va notato che non tutti gli agenti patogeni antichi sono quindi patogeni epidemici in senso stretto, e che gli agenti patogeni epidemici possono persistere e quindi diventare endemici, mentre gli agenti patogeni endemici sono spesso in grado di causare piccoli focolai. Esempi di quest’ultimo sarebbero il virus dell’influenza, il virus del morbillo e Yersinia pestis nei tempi medievali e moderni.
Gli agenti patogeni endemici del ventunesimo secolo, che sono molto diffusi e che attualmente causano poche o nessuna epidemia, sono stati introdotti nella popolazione umana molto tempo fa, ad esempio le specie Plasmodium (che causano la malaria), i parassiti intestinali, i micobatteri (che causano la tubercolosi e lebbra), Helicobacter pylori, HBV e herpesvirus.

La peste a Leida nel 1574- un medico esamina una fiasca di urina circondata da malati, morenti e morti

Da quando si è sviluppata la vita sulla terra, i microbi parassiti hanno prosperato: la microbiologia ebbe inizio con l’invenzione del primo strumento, il microscopio ottico, che permise di visualizzare oggetti di dimensioni inferiori ai limiti delle normali capacità visive umane. La prima classificazione biologica degli organismi osservati al microscopio fu proposta verso la metà del Settecento dal naturalista danese Otto Friderich Müller (1730-1784) e nella prima parte del XIX sec. la fisica e la tecnologia ottica consentirono la costruzione di microscopi composti più raffinati, con lenti che correggevano le aberrazioni cromatiche e in parte anche quelle sferiche, permettendo un’osservazione più dettagliata del mondo dei microbi.
Al giorno d’oggi, le moderne tecniche di sequenziamento consentono il recupero di genomi di antichi patogeni parziali o completi. Inoltre, i dati genomici spesso contengono DNA patogeno, consentendo l’identificazione e l’assemblaggio di genomi virali e batterici, come esemplificato, ad esempio, dal DNA del virus dell’epatite B (HBV) in campioni di sequenze neolitiche, dell’età del bronzo e medievali.

«Per cercare una fonte facilmente accessibile dei patogeni più antichi, tutto ciò che dobbiamo fare per studiare quegli avanzi del passato accuratamente propagati è sequenziare e analizzare i corrispondenti tratti di DNA nei cromosomi moderni»

Sono numerosi e dettagliati gli esempi citati dall’autrice: dalla scoperta della presenza del DNA di Yersinia pestis confermata negli estratti di polpa dentale in 16 vittime della peste del XVII secolo nel centro di Ellwangen, in Germania, all’analisi del DNA antico dei resti di lebbrosari europei medievali che ha portato al recupero di genomi parziali e completi di Mycobacterium leprae (la lebbra), con una diversità genetica sorprendentemente elevata.

Un prerequisito per il progresso della nostra conoscenza delle malattie antiche è che le collaborazioni tra archeologi e biologi molecolari dovrebbero essere sempre più ricercate e perpetuate, poiché entrambi i campi hanno molto da guadagnare l’uno dall’altro, alla luce della digitalizzazione delle collezioni mediche e museali che può aprire queste fonti ai ricercatori globali.

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