L’epidemiologia

Lo studio della malattia nella popolazione

Uno degli aspetti del fenomeno malattia che da sempre ha suscitato curiosità e interesse è il dinamismo «misterioso» per il quale un morbo colpisce alcuni tipi di persone e non altre; è comune in certe terre e sconosciuto in altre; fa strage in certe circostanze ed è silente in altre. Da sempre si è anche cercato di svelare le leggi responsabili di questa ineguale distribuzione.

Gran parte dello sforzo di ricerca compiuto è andato perduto nel tempo organizzandosi e formalizzandosi una disciplina chiamata epidemiologia, cioè, secondo l’etimologia greca, studio(logos) (della malattia) nella (epi) popolazione (demos).

Oggetto specifico dell’osservazione dell’epidemiologia è la comunità, non l’individuo isolato; e il carattere peculiare della malattia indagato è il suo diffondersi, così come altre discipline mediche ne studiano caratteri morfologici e funzionali, manifestazioni sintomatologiche, ecc. l’epidemiologia è interessata allo stesso modo alle malattie infettive (come, ad esempio, il tifo) e a quelle non infettive (come le cardiopatie) e indaga i fattori che di esse determinano frequenza e distribuzione. Quando si siano identificati tali fattori, si hanno le basi per una possibile prevenzione.

Le «epidemie» comunemente intese sono soltanto un particolare campo di intervento e ricerca, come abbiamo ormai imparato a nostro malgrado con il Covid.

Inoltre, conoscere la prevalenza (proporzione di malati) e la incidenza (comparsa di nuovi casi in un dato tempo) delle malattie nelle popolazioni può essere molto importante anche se in termini assoluti il numero di casi è modesto. Meno di duecento casi di un raro tumore in tutto il mondo non rappresentano un fatto degno di menzione; lo diventano, e in modo clamoroso, se questi casi vengono riscontrati in persone similmente esposte ad una medesima sostanza chimica sul lavoro.

La prima trattazione sistematica del rapporto tra le malattie ed un contesto di fattori determinanti viene attribuito ad Ippocrate.  Nella sua opera Delle arie, delle acque e dei luoghi dà un preciso consiglio al medico che si reca in una nuova regione. Se vuole conoscere le malattie con le quali avrà a che fare, deve considerare bene le caratteristiche del luogo, il suo orientamento, i venti prevalenti, le acque usate dagli abitanti, le caratteristiche del terreno (brullo o boscoso), così come il modo di vita degli abitanti, le loro aspirazioni, cosa e quanto amano bere e mangiare, e anche se sono pigri e indolenti o dediti al moto e al lavoro. Anche nei suoi Aforismi descrive la diversa prevalenza di certe malattie nelle diverse stagioni ed età.

Ancora nell’antichità, è nel De Rerum Natura di Lucrezio (I sec. a.C.) che troviamo l’idea che le malattie possano trasmettersi dal malato al sano per mezzo di «semi». Verranno più tardi chiamati «germi», quando Girolamo Fracastoro  proporrà per la prima volta nella sua opera De Contagione et Contagiosis Morbis una sorprendentemente chiara teoria di malattia contagiosa, indicandone i responsabili in minute, invisibili particelle.

Prima che l’era batteriologica avesse inizio con le formidabili scoperte di Louis Pasteur e Robert Koch l’origine e la possibile prevenzione delle malattie infettive era già stata messa in luce da molte osservazioni.

Ne ricordiamo due tra le più istruttive.


La febbre puerperale rappresentava nel secolo scorso un vero flagello contro il quale la medicina era impotente. A Ignaz Philip Semmelweiss, tragica e geniale figura di medico, capitò di notare che la febbre era più frequente nelle corsie dove le donne venivano visitate dagli studenti di medicina rispetto alle corsie dove solo le ostetriche visitavano. La causa, ipotizzò Sammelweiss, stava nel fatto che gli studenti di medicina si recavano nella corsia ostetrica dopo la sala anatomica. Certo! Dovevano essere le loro mani a trasmettere alla gestante «particelle putrefatte di organismi viventi». Definire infette le mani dei medici fu considerato assurdo ed offensivo, com’era già capitato a Boston a Oliver Wendell Holmes (1809-94) qualche anno prima. Nonostante ciò, Sammelweiss riuscì pur tra scherni e critiche a far disinfettare le mani ai medici e studenti prima di entrare in corsia. Da una frequenza di 18 su 100, i casi di febbre puerperale scesero a quella di 1 su 100! Il risultato riuscì però a convincere soltanto pochi. Eppure, questo resta ancor oggi un esempio paradigmatico sia di osservazione epidemiologica che fornisce ipotesi, sia di sperimentazione epidemiologica che ne verifica la bontà e mostra l’efficacia di una prevenzione.

John Snow (1813-58) compì le sue osservazioni sulla natura del colera e sul suo modo di trasmissione circa trent’anni prima che Koch individuasse e isolasse il vibrione. Snow giunse a identificare in alcuni quartieri di Londra tutte le famiglie che erano servite da una o l’altra delle due compagnie che fornivano a quella zona della città l’acqua per usi domestici.

Sulla modalità di comunicazione del colera / di John Snow.
Snow, John, 1813-1858 Data: 1855

Fu allora in grado di accertare le morti per colera in ciascuna delle due popolazioni, di calcolare il tasso di mortalità che risultò 20 volte maggiore nell’una rispetto all’altra! Questo serviva a dimostrare che l’acqua era implicata nella propagazione del colera. E, in effetti, una delle due compagnie si riforniva nel Tamigi a valle di uno dei maggiori scarichi fognari della città.

Quanto all’epidemiologia delle malattie non infettive, le prime sistematiche osservazioni in età moderna le dobbiamo probabilmente a Bernardino Ramazzini.

Egli fornì tre contributi fondamentali. In primo luogo mise in luce, con un rudimentale ma efficacissimo metodo epidemiologico, che molte malattie erano caratteristicamente e casualmente associate al lavoro svolto. In secondo luogo redasse il resoconto del primo «disastro chimico», dovuto ai fumi di una fabbrica di sublimato sita accanto all’abitato di Finale nel modenese. Infine, notò e descrisse la elevata frequenza del tumore mammario tra le suore; la ragione ora è nota, dato che la parità si è rivelato fattore protettivo contro questo cancro.

L’epidemiologia quantitativa moderna aveva però già avuto in John Graunt (1620-74) un precursore. Per primo egli compì un’analisi dei tassi di mortalità che lo portò ad illuminare molti fenomeni come il più alto tasso di morti tra i maschi nel primo anno di vita, il maggior numero di morti per malattie croniche rispetto alle acute (esclusa la peste). Fu invece William Farr (1807-83) che introdusse per la prima volta in Inghilterra e Galles un sistema di registrazione delle cause di morte su scala nazionale. Questo sistema si dimostrò ben presto un’eccezionale fonte informativa per conoscere l’andamento nel tempo e nello spazio delle principali malattie, e come tale è ancora in uso oggi, con molti frutti, in tutti i paesi che posseggano un affidabile sistema di registrazione. Anche le osservazioni di Snow furono possibili grazie a questi dati.

Più recentemente, il capitolo più importante scritto dalla epidemiologia nel campo delle malattie non infettive riguarda il rapporto tra fumo di sigarette e danni alla salute, grazie in particolare al lavoro di Sir Richard Doll e Austin Bradford Hill iniziato negli anni Cinquanta. Ma tutte le cause ambientali di malattie nell’uomo, siano esse infettive o no, sono state messe in luce poco o tanto con metodi epidemiologici. Questo vale, ad esempio, per gli effetti delle radiazioni anche a distanza di generazioni dall’esposizione, per la cancerogenicità di molti composti chimici di vastissima diffusione come gli idrocarbuti aromatici o di fibre come l’amianto, per le nuove opportunità e modalità di diffusione di microorganismi patogeni con l’attuale mobilità e integrazione di popoli e non solo di individui.

L’epidemiologia si è rivelata strumento prezioso anche rispetto alle malattie, e non solo rispetto alle cause. Anzitutto indica i fattori verso i quali indirizzare l’attività di prevenzione e di profilassi. In secondo luogo valuta l’efficacia delle misure programmate; una delle esperienze più significative fu l’esperimento controllato che nel 1954 coinvolse in USA oltre un milione di bambini e che dimostrò l’efficacia e la innocuità del vaccino antipolio. Infine, nei principali ospedali di tutto il mondo, ogni giorno vengono impostati, grazie ai metodi dell’epidemiologia clinica, esperimenti per verificare l’accuratezza delle diagnosi e la efficacia delle terapie per le quali nuove possibilità vengono continuamente ritrovate.

L’epidemiologia è andata costituendo la sua individualità scientifica con il concorso di tantissime competenze, da quelle strettamente mediche e biologiche, a quelle matematiche, demografiche, fino a quelle della ricerca sociale. Oggi, e in prospettiva, la grande opportunità di avanzamento della epidemiologia sta nel rapidissimo sviluppo di metodi e tecniche di indagine biologica a livello molecolare.

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