Allo straordinario progresso della chirurgia nella seconda metà dell’Ottocento contribuirono non solo le più accurate conoscenze di anatomia normale e patologica, che permise l’identificazione di entità nosologiche prima ignorata, ma anche, e soprattutto, l’introduzione nella pratica chirurgica dell’anestesia e dell’antisepsi, insieme al miglioramento dello strumentario chirurgico ed all’ideazione di valide pinze emostatiche. Prima di queste scoperte, la situazione nei reparti ospedalieri di chirurgia era tutt’altro che confortante.
Uno degli aspetti più drammatici era rappresentato dal dolore causato dal trauma operatorio, contro il quale ben poco si poteva fare e neppure si prevedevano possibilità di qualsiasi sorte.
Il grande chirurgo Velpau nel 1839, pochi anni prima della scoperta dell’anestesia, scriveva infatti «Pensare di poter evitare il dolore nelle operazioni è un’illusione che non è più possibile nutrire oggi». Il chirurgo cercava di ovviare a questa situazione sopperendovi con la velocità negli interventi, molte volte, però, a scapito della precisione. Il celebre chirurgo francese Ollier, in un discorso «Sulla chirurgia attuale» pronunciato nel 1893, riassunse molto efficacemente la posizione del chirurgo prima dell’introduzione dell’anestesia: «Coloro che conoscono la chirurgia solo attraverso quello che hanno visto e imparato negli ultimi quindici anni faranno fatica ad immaginarsi le difficoltà della nostra professione agli inizi del secolo. Ciò che vedremo adesso fornisce solo un’idea incompleta della situazione del chirurgo di fronte a malati per i quali l’operazione era un terribile supplizio; essi, infatti, riempivano la sala operatoria, fin dal primo colpo di bisturi, di urla furiose e gemiti sofferenti. Non esisteva niente di sicuro per impedire le loro sofferenze, niente di efficace per alleviarle. Bisognava far in fretta e la qualità più apprezzata, e spesso più utile, del chirurgo era la rapidità nel maneggiare il coltello.
I chirurghi in quel tempo si preoccupavano di fare, noi oggi dobbiamo solo preoccuparci di far bene.»
Le cose stavano a questo punto, quando nel 1844 il dentista americano H. Welles (1815-1848) adottò per primo l’anestesia generale con protossido di azoto nelle estrazioni dentarie. Fu H. Dairy (1778-1829) a sperimentare su se stesso questa sostanza, scoperta da G. Priefstley nel 1772 e, avendone riportato uno strano stato di euforia, la chiamò «gas esilarante». Il suo impiego come anestetico venne presto abbandonato perché ai primi casi fortunati ne seguirono numerosi altri deludenti. Welles, che per primo aveva adottato nella pratica il protossido di azoto, amareggiato dagli insuccessi ed abbrutito dall’abuso fatto su se stesso di questo gas, si uccise all’età di soli 33 anni.

Nel 1846 un altro dentista americano W. Morton (1819-1868), annunciò ed illustrò un metodo di anestesia generale mediante l’etere solforico, da lui usato nelle estrazioni dentarie. Morton adottò questo anestetico dietro suggerimento del chimico K. Jackson (1805-1880), che aveva scoperto le proprietà narcotizzanti di questo liquido, se usato per inalazione. Poco dopo le prime applicazioni nella pratica odontoiatrica, la narcosi eterea venne introdotta in chirurgia da J.C. Warren (1778-1856), che asportò un tumore del collo senza causare al paziente il minimo dolore.
Questo tipo di narcosi prese subito piede e si diffuse rapidamente ed ampiamente in America ed in Europa. A causa del successo si scatenò una lite fra il chimico Jackson e il dentista Morton, che si contendevano la priorità nella scoperta della narcosi eterea. Durante tale lite Jackson perseguitò il rivale in tutti i modi, fino a ridurlo in miseria e a spingerlo al suicidio.
Prima della fine del 1846 l’anestesia generale eterea era stata adottata in Inghilterra da R. Liston (1794-1847) alla clinica universitaria di Londra, per l’amputazione di una gamba, e subito dopo da G.J. Guthrie (1785-1856) e da Lawrence.
In Italia le prime narcosi eteree furono compiute nel 1847 a Pavia da L. Porta (1800-1875), seguito da A. Riberi (1796-1881) a Torino.
Non era ancora trascorso un anno dalla scoperta della narcosi eterea, che J. Simpson (1811-1870), ostetrico inglese, comunicava, nel novembre 1847, i risultati da lui ottenuti con l’impiego del cloroformio per inalazione in campo ostetrico. Questa sostanza, scoperta contemporaneamente e separatamente nel 1831 dall’americano S. Guthrie (1782-1848), dal francese G. Souberian (1793-1858) e dai tedeschi J. Liebig e Fr. Woehler (1800-1882), essendo più volatile e più gradevole dell’etere, si impose presto in anestesiologia.

In Inghilterra l’anestesia con cloroformio fu definitivamente accettata dopo che la regina Vittoria in persona la esperimentò quando partorì il suo settimo figlio, il principe Leopoldo. Da quel momento l’«anestesia della regina» divenne una moda e fu largamente usata in ostetricia: J. Simpson, che per primo l’aveva usata, fu nominato «sir» ed ebbe onori e gloria.