Già in epoca preistorica è certo che i nostri lontani antenati avessero individuato nel cuore l’organo principale della vita.
Numerose, infatti, sono le raffigurazioni di animali (dal bisonte al mammut) che si sono rinvenute in più di 200 grotte. In tali raffigurazioni- eseguite certamente per cerimonie magiche di propiziazione della caccia- assai spesso non solo è disegnata una lancia infitta esattamente in direzione del cuore, ma addirittura è raffigurato il cuore stesso colpito da una lancia o da una freccia o da un giavellotto. Ciò significa che già i cacciatori primitivi sapevano quel che sappiamo noi: che colpire il cuore significava abbattere sicuramente l’animale.
Ma il cuore venne anche considerato da quasi tutte le popolazioni primitive quale sede del coraggio (parola che, etimologicamente, significa appunto «aver cuore»), delle passioni e, soprattutto, della vita spirituale. Ne danno testimonianza gli antichi sacrifici umani presso le civiltà precolombiane dell’America latina, l’usanza di strappare il cuore dal petto del nemico ucciso e, addirittura, di farne pasto. Presso le antiche civiltà mesopotamiche il cuore era considerato organo vitale per eccellenza e sede dell’intelligenza, sì che ogni forma di turbamento mentale era interpretata come conseguenza di un’alterazione del cuore.
Gli antichi Egizi videro anch’essi nel cuore sia la sede della vita fisica (venne, quindi, definito «quello che non si ferma») sia la sede della vita spirituale, ragion per cui esso era l’unico organo interno che venisse lasciato nel corpo del defunto nel processo di imbalsamazione.
In Omero (sec. X/IX a.C.)- e, quindi, nella cultura minoica prima e micenea poi- il cuore, oltre ad essere organo vitale per eccellenza, è anche la sede delle passioni e dei sentimenti, mentre sede del coraggio è il diaframma. Così l’eroe si getta nella battaglia spinto dal diaframma, mentre è il cuore che latra vendetta nel petto di Ulisse rientrato nella sua Itaca (Odissea, 20,13).
Con la nascita della medicina laica- che si affiancò alla medicina sacerdotale praticata negli Asclepièi si ebbero anche i primi tentativi di interpretazione scientifica in campo anatomo-fisiologico. Si deve ad Alcmeone di Crotone la scoperta che la sede dell’intelligenza e delle sensazioni è il cervello e non il cuore e che questo è, invece, strettamente collegato con i movimenti del sangue. Purtroppo le geniali intuizioni di Alcmeone vennero cancellate dal trionfo di Ippocrate ed in particolare di Galeno, le cui teorie e le cui dottrine regnarono praticamente incontrastate sino al sec. XVI. Secondo Ippocrate e Galeno il cuore, più precisamente il ventricolo sinistro è la sede dell’anima razionale, ma il cuore rimase un organo secondario, mentre era il fegato ad essere considerato il principale tra gli organi (cervello, cuore, fegato, testicoli e reni) per la sua fondamentale funzione emopoietica, ossia per essere esso la fabbrica del sangue.
Da Galeno in poi gli studi e le conoscenze relative al cuore resteranno fermi sino alla grande rivoluzione nel campo anatomico operata da Andrea Vesalio che, nel suo fondamentale trattato De umani corporis fabrica (La fabbrica del corpo umano), pubblicato nel 1543, ebbe il coraggio di denunciare apertamente gli errori presenti nell’anatomia galenica. L’opera del Vesalio diede agli studi anatomici un formidabile impulso che portò al rinnovamento anche delle indagini relative al cuore ed all’apparato artero-venoso.
Nel 1559 Realdo Colombo comunicava la scoperta della piccola circolazione (cuore-polmoni-cuore) e nel 1606 Gerolamo Fabrizi d’Acquapendente quella delle valvole delle vene, peraltro già individuate e descritte da Giovanni Battista Cardano circa mezzo secolo prima, la cui scoperta, però, passò inosservata anche perché il Cardano stesso non le aveva riconosciuto particolare importanza.
Si giunse, cosi, alla rivoluzionaria scoperta della circolazione del sangue compiuta da William Harvey e da lui comunicata con la Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (Esercitazione anatomica sul movimento del cuore e del sangue negli esseri viventi) pubblicata, a soli 17 anni, nel 1628. Lo scritto di Harvey detronizzò definitivamente il fegato e diede al cuore la dignità che gli verrà da allora in poi unanimemente riconosciuta, segnando il totale tramonto del galenismo in ogni settore della medicina.
Gli studi e le scoperte del grande Marcello Malpighi prima poi quelli di Anton Maria Valsalva, di Giovanni Battista Morgagni e, soprattutto, di Giovanni Maria Lancisi, di Ippolito Francesco Albertini e dei grandi medici, anatomisti e cardiologi dell’Ottocento e della prima metà del novecento (Cardarelli, Skoda, Riva-Rocci ed altri di ogni paese) hanno
portato la cardiologia alla rivoluzione tecnico-scientifica dei trapianti cardiaci.
