Cura al femminile

alcuni esempi di rappresentazione del medico donna nella storia

Da sempre, anche nei periodi in cui il lavoro femminile era guardato con sospetto, si registra una presenza attiva delle donne nell’ambito dell’assistenza ai malati; in ruoli di maggiore o minore responsabilità, tale attività è stata tradizionalmente considerata un’occupazione adatta alle donne, in quanto si riteneva che queste fossero naturalmente portate al sollievo delle sofferenze altrui: la capacità di ascolto, la predisposizione al servizio, lo spirito di sacrificio e la sensibilità in generale, sono tutte qualità squisitamente femminili, che nel campo della cura della malattia trovano spazio immediato.

Anche le arti visive riflettono questa visione, rappresentando il ruolo femminile in termini non tanto di cura delle patologie, quanto di conforto dell’infermo, poiché l’esercizio della medicina e il relativo percorso formativo, fin dall’antichità, erano vietati alle minoranze, alle donne e agli ebrei.

Del resto, la cultura classica ha definito i caratteri della diversità dell’elemento femminile in un complesso di carenze: un cervello di dimensioni inferiori, una massa muscolare meno possente. A ciò, si aggiungeva il fatto che numerose donne morivano di parto e di malattie agli organi riproduttivi, perché per pudore veniva impedito ai medici (quindi uomini) di aiutarle a partorire o di curarle.
Nonostante tutto questo, già nell’antica Roma, la professione medica era aperta alle donne, anche se si occupavano prevalentemente di gravidanze, parti e malattie ginecologiche.
Nel basso Medioevo, quando a prendersi cura degli infermi erano soprattutto le istituzioni religiose, la storia riporta numerosi esempi di donne medico o ‘medichesse’: guaritrici, levatrici , che praticavano la medicina in maniera non ufficiale, senza riconoscimenti, a tratti clandestinamente, per passione e conoscenza diretta, indipendentemente dagli studi cui erano escluse, spesso agevolate dal fatto di essere mogli o figlie di medici, che quindi trasmettevano loro il sapere ‘proibito’.
Degna di approfondimento, la celebre Trotula De Ruggiero (vissuta presumibilmente tra il 1030 e il 1097), formatasi presso la Scuola Medica Salernitana,  illustre accademia medica, importante istituzione di medicina dell’epoca a livello europeo, fondata sulla sintesi della tradizione greco—latina, e completata da nozioni provenienti dalle culture araba ed ebraica. Tale Scuola costituiva un centro di cultura non controllato dalla Chiesa, presso il quale, quindi, le donne potevano sia studiare che insegnare. Trotula viene descritta dalle fonti come una donna geniale, capace di intuire concetti allora ignorati, quali l’importanza dell’igiene e della prevenzione, oppure il rifiuto di rituali mistici, che erano all’ordine del giorno in questo secolo, fornendo invece consigli concreti su alimentazione, attività fisica e salutari abitudini quotidiane, attribuendo alla sua professione una veste decisamente più scientifica, metodica e all’avanguardia, nella quale la pratica fu coadiuvata da preziosissimi scritti. Dal XII secolo il suo trattato girò l’Europa sia nella versione originale in latino, che tradotto in lingue volgari, inglese, francese, tedesco, italiano, ebraico e anche olandese.
La vera rivoluzione di Trotula fu però nel campo della salute femminile con il volume ‘De assionibus mulierum curandarum’; per la prima volta nella storia, i disturbi e le malattie tipicamente femminili vennero affrontati da un medico in modo esaustivo e non compromesso da pudori: Trotula parla, senza alcun accenno moralistico, di mestruazioni, controllo delle nascite, parto, esigenze post partum, cura della madre e del bambino, sterilità. Degno di nota anche il trattato De ornatu mulierum, importante per la sua completezza, specie nel descrivere e trattare le malattie della pelle.
L’immagini è tratta da un codice miniato e mostra Trotula nell’atto di curare una paziente con una bevanda medicamentosa, mentre un’assistente, donna anch’essa, supporta la ‘medichessa’.

Trotula al centro – dal Codex Vindobonensis 93 (Erbario dello Pseudo Apuleio)

Saltando in avanti di qualche secolo, troviamo in una opera estremamente famosa di Thomas Eakins (La clinica Agnew, 1889) una sola figura femminile: l’infermiera all’estrema destra, oltre alla paziente che sta subendo un intervento di mastectomia: i medici che eseguono l’intervento e gli studenti che vi assistono sono tutti uomini, nonostante l’opera risalga al 1889, quando le prime donne cominciarono a entrare nelle scuole di medicina.


Qualche anno dopo nel dipinto dell’inglese Francis Dodd (Intervento all’ospedale militare di Endell Street, 1920—21) che non riscontra qualità artistica di rilievo, si osserva un netto ribaltamento dei ruoli: un uomo occupa il tavolo chirurgico, mentre i medici sono tutte donne. L’intervento ritratto si svolge presso l’ospedale militare di Endell Street, struttura fondata a Londra nel 1915 da un gruppo di donne spinte dalla volontà di dimostrare come anche loro fossero capaci di gestire un ospedale, il personale medico e amministrativo era esclusivamente femminile. Tra i medici che eseguono l’intervento, sono state identificate le dottoresse Flora Murray e Louisa Garrett Anderson, entrambe fondatrici dell’ospedale e attive suffragette 

Dodd, Francis; An Operation at the Military Hospital, Endell Street: Dr L. Garrett, Dr Nora Murray, Dr W. Buckley; IWM (Imperial War Museums)

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