Finsen e la fototerapia

In questa cartolina fotografica del 1918, la luce artificiale è utilizzata per curare un bambino.

La moderna scienza della fototerapia  è iniziata con il lavoro pionieristico del medico danese-faroese-islandese Neils Ryberg Finsen.

Nato in una delle isole Færøer il 15 dicembre 1860, morto a Copenaghen il 24 settembre 1904, studiò dapprima a Reykjavik (Islanda), poi a Copenaghen dove ebbe la laurea in medicina nel 1890; nel 1893 divenne professore d’anatomia normale all’università e si dedicò quindi esclusivamente agli studi sugli effetti fisiologici della luce. Divenne direttore del Medical Light Institute di Copenaghen, poi Finsen Institute, dove sviluppò questo metodo di trattamento. Nel giro di pochi anni furono fondati 40 Finsen Institutes in Europa e negli Stati Uniti d’America.

Gli interessi scientifici di Finsen furono fortemente influenzati dalle sue condizioni di salute. A partire dal 1883, iniziò a manifestare i sintomi di una malattia che in seguito fu diagnosticata come malattia di Niemann-Pick. Questo disturbo metabolico è caratterizzato da un metabolismo lipidico anormale, con quantità dannose di lipidi che si accumulano negli organi interni. L’ispessimento progressivo si verifica in diverse membrane del fegato, della milza e del cuore. I pazienti presentano problemi cardiaci, debolezza generale e ascite. La prognosi e la durata della vita dipendono dal tipo di malattia.

https://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Abid.braidense.it%3A7%3AMI0185%3AEVA_134_F10334_158030&mode=all&teca=Braidense

Finsen osservò che il proprio disturbo era alleviato dalla luce solare: nel 1893, ispirato dall’attenuazione sintomatica che riceveva dall’abbronzatura, iniziò esperimenti a Copenaghen dimostrando che i raggi ultravioletti invisibili stimolavano la crescita o uccidevano i batteri negli organismi inferiori.
Sviluppò una lampada basata su archi elettrici di carbonio (in seguito nota come luce Finsen) che fu utilizzata per la terapia della pelle, ispirato da un articolo di Downes e Bunt, pubblicato nel 1887, in cui si affermava che la luce, in particolare la gamma degli ultravioletti (UV), avrebbe potuto possedere proprietà battericide. Anche un poliziotto di Berlino, Maximilian Mehl, fece alcuni tentativi di terapia della luce, ma i suoi sforzi passarono inosservati alla comunità medica.

Set of apparatus devised by N.R. Finsen for treating lupus Niels Ryberg Finsen

Finsen decise di determinare come somministrare la terapia della luce, concentrandosi principalmente sulla sua efficacia. Credeva che le risposte potessero essere trovate solo combinando il lavoro di laboratorio con esperimenti clinici. Era anche profondamente convinto che gli effetti positivi del trattamento con la luce derivassero dalle sue proprietà battericide.
In ulteriori ricerche, ebbe modo di studiare l’effetto della luce sugli organismi viventi dimostrando che la luce ultravioletta ha un valore terapeutico. Provò inoltre che il lupus vulgaris poteva essere trattato con successo con i raggi UV: una forma di tubercolosi cutanea oggi relativamente rara, che si localizza soprattutto alla faccia e al collo, caratterizzata da lesioni nodulari arrossate che lentamente si estendono e confluiscono, potendo, nel corso di molti anni, portare a gravi distruzioni di tessuto.

The London Hospital, Whitechapel- King Edward VIII and Queen Alexandra in the Finsen Light room. Process print after a drawing by A. Forestier, c.1903.

Come riconoscimento al lavoro sulla cura delle malattie e, in particolare, del trattamento del lupus vulgaris mediante raggi di luce concentrati Finsen ricevette il Premio Nobel per la Medicina nel 1903 “in riconoscimento del suo contributo al trattamento delle malattie, in particolare del lupus vulgaris, con radiazioni luminose concentrate, per cui ha aperto una nuova strada per la scienza medica”. Poco dopo aver ricevuto il premio, morì all’età di 44 anni.

Questa “nuova strada” ha continuato a crescere. Il suo lavoro ha generato un’ampia gamma di ricerche e lo sviluppo di diverse sorgenti di luce artificiale in varie lunghezze d’onda e intensità. Negli anni ’20 era disponibile una grande varietà di lampade a luce. Tutti i pazienti e il personale dovevano indossare occhiali protettivi durante il trattamento con raggi ultravioletti, ma il bambino dell’immagine di copertina non indossa occhiali mentre si sottopone a un trattamento con lampada solare. La terapia della luce in varie forme rimane una modalità significativa per il trattamento di una varietà di condizioni.

https://wellcomecollection.org/works/fydetmsc
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0738081X11003543
https://www.treccani.it/enciclopedia/niels-ryberg-finsen_%28Dizionario-di-Medicina%29/

Cura al femminile

alcuni esempi di rappresentazione del medico donna nella storia

Da sempre, anche nei periodi in cui il lavoro femminile era guardato con sospetto, si registra una presenza attiva delle donne nell’ambito dell’assistenza ai malati; in ruoli di maggiore o minore responsabilità, tale attività è stata tradizionalmente considerata un’occupazione adatta alle donne, in quanto si riteneva che queste fossero naturalmente portate al sollievo delle sofferenze altrui: la capacità di ascolto, la predisposizione al servizio, lo spirito di sacrificio e la sensibilità in generale, sono tutte qualità squisitamente femminili, che nel campo della cura della malattia trovano spazio immediato.

Anche le arti visive riflettono questa visione, rappresentando il ruolo femminile in termini non tanto di cura delle patologie, quanto di conforto dell’infermo, poiché l’esercizio della medicina e il relativo percorso formativo, fin dall’antichità, erano vietati alle minoranze, alle donne e agli ebrei.

Del resto, la cultura classica ha definito i caratteri della diversità dell’elemento femminile in un complesso di carenze: un cervello di dimensioni inferiori, una massa muscolare meno possente. A ciò, si aggiungeva il fatto che numerose donne morivano di parto e di malattie agli organi riproduttivi, perché per pudore veniva impedito ai medici (quindi uomini) di aiutarle a partorire o di curarle.
Nonostante tutto questo, già nell’antica Roma, la professione medica era aperta alle donne, anche se si occupavano prevalentemente di gravidanze, parti e malattie ginecologiche.
Nel basso Medioevo, quando a prendersi cura degli infermi erano soprattutto le istituzioni religiose, la storia riporta numerosi esempi di donne medico o ‘medichesse’: guaritrici, levatrici , che praticavano la medicina in maniera non ufficiale, senza riconoscimenti, a tratti clandestinamente, per passione e conoscenza diretta, indipendentemente dagli studi cui erano escluse, spesso agevolate dal fatto di essere mogli o figlie di medici, che quindi trasmettevano loro il sapere ‘proibito’.
Degna di approfondimento, la celebre Trotula De Ruggiero (vissuta presumibilmente tra il 1030 e il 1097), formatasi presso la Scuola Medica Salernitana,  illustre accademia medica, importante istituzione di medicina dell’epoca a livello europeo, fondata sulla sintesi della tradizione greco—latina, e completata da nozioni provenienti dalle culture araba ed ebraica. Tale Scuola costituiva un centro di cultura non controllato dalla Chiesa, presso il quale, quindi, le donne potevano sia studiare che insegnare. Trotula viene descritta dalle fonti come una donna geniale, capace di intuire concetti allora ignorati, quali l’importanza dell’igiene e della prevenzione, oppure il rifiuto di rituali mistici, che erano all’ordine del giorno in questo secolo, fornendo invece consigli concreti su alimentazione, attività fisica e salutari abitudini quotidiane, attribuendo alla sua professione una veste decisamente più scientifica, metodica e all’avanguardia, nella quale la pratica fu coadiuvata da preziosissimi scritti. Dal XII secolo il suo trattato girò l’Europa sia nella versione originale in latino, che tradotto in lingue volgari, inglese, francese, tedesco, italiano, ebraico e anche olandese.
La vera rivoluzione di Trotula fu però nel campo della salute femminile con il volume ‘De assionibus mulierum curandarum’; per la prima volta nella storia, i disturbi e le malattie tipicamente femminili vennero affrontati da un medico in modo esaustivo e non compromesso da pudori: Trotula parla, senza alcun accenno moralistico, di mestruazioni, controllo delle nascite, parto, esigenze post partum, cura della madre e del bambino, sterilità. Degno di nota anche il trattato De ornatu mulierum, importante per la sua completezza, specie nel descrivere e trattare le malattie della pelle.
L’immagini è tratta da un codice miniato e mostra Trotula nell’atto di curare una paziente con una bevanda medicamentosa, mentre un’assistente, donna anch’essa, supporta la ‘medichessa’.

Trotula al centro – dal Codex Vindobonensis 93 (Erbario dello Pseudo Apuleio)

Saltando in avanti di qualche secolo, troviamo in una opera estremamente famosa di Thomas Eakins (La clinica Agnew, 1889) una sola figura femminile: l’infermiera all’estrema destra, oltre alla paziente che sta subendo un intervento di mastectomia: i medici che eseguono l’intervento e gli studenti che vi assistono sono tutti uomini, nonostante l’opera risalga al 1889, quando le prime donne cominciarono a entrare nelle scuole di medicina.


Qualche anno dopo nel dipinto dell’inglese Francis Dodd (Intervento all’ospedale militare di Endell Street, 1920—21) che non riscontra qualità artistica di rilievo, si osserva un netto ribaltamento dei ruoli: un uomo occupa il tavolo chirurgico, mentre i medici sono tutte donne. L’intervento ritratto si svolge presso l’ospedale militare di Endell Street, struttura fondata a Londra nel 1915 da un gruppo di donne spinte dalla volontà di dimostrare come anche loro fossero capaci di gestire un ospedale, il personale medico e amministrativo era esclusivamente femminile. Tra i medici che eseguono l’intervento, sono state identificate le dottoresse Flora Murray e Louisa Garrett Anderson, entrambe fondatrici dell’ospedale e attive suffragette 

Dodd, Francis; An Operation at the Military Hospital, Endell Street: Dr L. Garrett, Dr Nora Murray, Dr W. Buckley; IWM (Imperial War Museums)

Cura e Comunità: una settimana di eventi per Sant’Antonio, patrono dell’Ospedale di Alessandria

Dal 17 al 21 gennaio su ricerca, innovazione digitale, Medical Humanities e solidarietà

Si svolgerà dal 17 al 21 gennaio la tradizionale cerimonia di Sant’Antonio, patrono dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria da cui prende il nome il Presidio Civile, con un programma di eventi strutturati in formula mista, quindi in parte in presenza e in parte streaming sui canali social aziendali e di alcuni partner dell’iniziativa, ovvero il Comune di Alessandria e il Conservatorio “Vivaldi”.

La settimana vedrà susseguirsi numerosi e autorevoli relatori, anche di fama nazionale, che dialogheranno su alcuni temi particolarmente cari all’ospedale: dall’innovazione digitale al servizio della ricerca e della cura del paziente alle Medical Humanities, passando ovviamente per la ricerca e un focus sulle patologie ambientali.

Gli appuntamenti si aprono con la Santa Messa, Presieduta da S.E.R. Mons. Guido Gallese Vescovo della Diocesi di Alessandria, per poi proseguire con una giornata dedicata all’approccio One Health che si basa sulla progettazione e attuazione di programmi, politiche, legislazione e ricerca in cui più settori comunicano e collaborano per ottenere migliori risultati di salute pubblica mediante un metodo collaborativo, multidisciplinare e multi-professionale. Grazie all’intervento di Marco Bosio, Head of Local Government per Google Cluod Italia, verrà indagato il ruolo delle tecnologie digitali a supporto della salute. Tema che verrà sviscerato nella successiva tavola rotonda, moderata da Leonardo Marchese, Direttore Dipartimento Scienze e Innovazione Tecnologica UPO, e Annalisa Roveta, Dirigente Biologa Coordinamento Unit DAIRI AO AL. Da un lato su come l’innovazione digitale ci può consentire di comprendere e gestire le interconnessioni tra la salute umana, animale e dell’ecosistema, riprogettando i servizi di cura attraverso un’analisi valoriale dei dati e delle informazioni grazie a Paolo Tereziani, Professore Ordinario Dipartimento Scienze e Innovazione Tecnologica UPO, e ad Angelo Robotto, Direttore Generale ARPA Piemonte. Dall’altro i nuovi processi di dematerializzazione della sanità, la telemedicina e gli sforzi per rendere i servizi sempre più accessibili da remoto, grazie a Carla Gaveglio, Sanità Digitale CSI Piemonte, e a Francesco di Costanzo, Presidente Fondazione Italia Digitale. Qui il link per seguire la diretta

Il 19 gennaio sarà invece incentrato sulla ricerca e sul percorso di riconoscimento dell’Azienda Ospedaliera dell’ASL AL a IRCCS per le Patologie Ambientali e il Mesotelioma che verrà presento da Marta Betti, Referente del Clinical Trial Center afferente al Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione diretto dal Dr. Antonio Maconi. Una trasformazione che nasce da esigenze locali, dai dati epidemiologici del territorio e che ben si inserisce in un contesto di interesse internazionale. Riconosciuto da due delibere regionali (del 2019 e del 2021) mirate a sostenere la candidatura nei rapporti con il Ministero della Salute, tale percorso è finalizzato a restituire alla comunità locale servizi sanitari di eccellenza. Nella convinzione che la ricerca sia utile per un futuro più sicuro e sereno, quindi, professionisti, ricercatori, istituzioni e cittadini giocano un ruolo importante. Ecco perché l’intera giornata si svolgerà presso la Sala del Consiglio del Comune di Alessandria, oltre che in streaming, dove verranno consegnati i premi della ricerca 2020, ovvero il Premio Giorgione per il miglior paper e il Premio Monaco per il miglior progetto di ricerca delle professioni sanitarie, entrambi cofinanziati dall’Ospedale di Alessandria e da Solidal per la Ricerca. L’appuntamento sarà anche l’occasione per presentare i servizi legati alle patologie tempo-dipendenti, mai interrotti durante la pandemia, e utili a garantire che su tutto il territorio la risposta assistenziale ai bisogni di cure del paziente avvenga in condizioni di appropriatezza, efficacia, efficienza, qualità e sicurezza: a parlarne saranno Giovanni Lombardi, Direttore SEST 118, Gianfranco Pistis, Direttore Cardiologia AO AL, Alberto Guagliano, Dirigente Medico Chirurgia Vascolare AO AL, e Luigi Ruiz, Direttore Neurologia AO AL. Qui il link per la diretta

Altra istituzione che supporta gli sforzi di ricerca dell’Azienda Ospedaliera, in questo caso in ambito di Medical Humanities, è il Conservatorio “Vivaldi” che ospiterà la quarta giornata sui benefici che la musica può dare alla cura dei pazienti. La musicoterapia, infatti, utilizza la musica e i suoi elementi di suono, ritmo, melodia e armonia al fine di promuovere cambiamenti nella qualità della vita in persone con problematiche differenti, stimolando la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la motricità e l’espressione nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, emotivi, sociali e cognitivi. A parlarne nella ricca tavola rotonda moderata da Marzia Zingarelli, Docente Conservatorio “Vivaldi”, esperta al tavolo Musicoterapia del MUR, Membro direttivo AIM, saranno: le Senatrici Paola Binetti e Loredana Russo, Renato Balduzzi, Presidente Conservatorio “Vivaldi”, Antonio Maconi, Presidente Centro Studi Cura e Comunità per le Medical Humanities, Roberto Barbato, Prorettore e Ordinario Biologia UPO, Roberta Lombardi, Ordinario di diritto amministrativo UPO, Delegata del Rettore per l’inclusione sociale e la disabilità, Componente Comitato Scientifico IRES Piemonte, Comitato Scientifico Centro Studi Medical Humanities, Patrizia Santinon, psichiatra, psicoanalista, Direttore scientifico Centro studi Medical Humanities, Azienda Ospedaliera, Marco Invernizzi, Associato in Medicina Fisica e Riabilitazione, Presidente corso di laurea in Fisioterapia UPO, Silvana Chiesa, Capo Dipartimento Didattica della Musica Conservatorio “Vivaldi”, Maria Grazia Baroni, Presidente AIM, e Giovanni Gioanola, Direttore Conservatorio “Vivaldi”. Al termine della giornata verranno anche premiati i vincitori del Concorso di Medicina Narrativa “Racconto la mia cura” giunto alla sua IV edizione. Qui il link per la diretta

La settimana si concluderà infine con un appuntamento dedicato alla solidarietà che, grazie all’intervento del delegato Beni Culturali FAI Alessandria Adriano Antonioletti Boratto, ripercorrerà la storia di Alessandria, dell’Ospedale e dei suoi benefattori, riflettendo sul significato del dono e sull’impatto così forte e sentito sul nostro territorio ieri come oggi. Qui il link per la diretta

Opoterapia, ormoni e la figura eccentrica di Charles Édouard Brown-Séquard

L’opoterapia è – nella definizione della enciclopedia Treccani – una terapia ‘sostitutiva’ di una data sostanza. Riguarda generalmente l’uso di ormoni allo scopo di ripristinarne livelli fisiologici, in caso di ipofunzione della ghiandola endocrina responsabile. Rispetto al passato in cui l’opoterapia si basava esclusivamente sulla somministrazione di estratti di organi di animali (tiroide, pancreas ecc.), oggi si impiegano composti purissimi prodotti grazie alle tecniche del DNA ricombinante (insulina, gonadotropine ecc.).
Definita anche organoterapia è un’antica terapia medica che consisteva nella somministrazione al malato, per via orale o per via ipodermica, di pozioni preparate con estratti di succhi di organi. Con questo metodo terapeutico si intendevano curare, in particolare, insufficienze funzionali di ghiandole e altri organi, come reni e fegato, e si somministravano i succhi prelevati dall’organo o dalla ghiandola omonima di un animale. Oggi questo metodo è stato soppiantato dalla pratica dell’ormonoterapia, diffusasi con la scoperta delle secrezioni endocrine, la quale utilizza ormoni purificati o sintetici. Il termine stesso “opoterapia” è diventato sinonimo di “ormonoterapia”

L’opoterapia ebbe fin dai tempi preistorici un precursore, la Organoterapia, di cui vale la pena di citare qualche esempio tratto dalla letteratura antica medica e non medica. La mitologia greca ci tramanda che il centauro Chirone somministrava al giovinetto Achille midollo di leone per dargli la forza e il coraggio del re degli animali. Giovinette romane mangiavano mammelle di animali per ottenere seni prosperosi e la controparte maschile di diversi popoli si nutriva di testicoli di gallo o di cinghiale per aumentare la potenza virile. Molti bevevano sangue di animali nel corso dei secoli per combattere l’anemia.

Chirone e Achille
https://www.uffizi.it/opere/il-centauro-chirone-e-achille

Si può dire che, dopo Galeno la maggior parte di queste usanze cadde in totale abbandono. L’organoterapia si riaffacciò alla ribalta per breve tempo quando Paracelso affermò che l’assunzione di cuore, polmoni e milza di animali sani era benefica alla salute e Cardano consigliò l’uso di testicoli di animali per vincere l’astenia della convalescenza.

Il momento di svolta, che portò alla ribalta in medicina gli estratti di organi animali, fu rappresentato dalla pubblicazione degli studi compiuti da Claude Bernard, teorico dell’ “ambiente interno”. Bernard, infatti, ipotizzò l’esistenza di un sistema chiuso, autoregolato dal singolo vivente attraverso sostanze liberate all’interno dagli organi, studiando il funzionamento del fegato e dei suoi secreti.
La strada parzialmente già tracciata dal Bernard fu poi seguita anche dal suo successore alla cattedra di medicina sperimentale presso il Collège de France: Charles Édouard Brown-Séquard. Grande osservatore e sperimentalista in vari ambiti, contribuì in buona parte all’allargamento delle conoscenze sul sangue, sul sistema nervoso e sulla fisiologia degli animali e umana. È stato il primo scienziato a lavorare sulla fisiologia del midollo spinale e una sindrome riguardante la tematica ha preso il suo nome. Nel 1889, formulò l’ipotesi della secrezione endogena integrativa per consentire un’organoterapia; non è un caso se Brown-Sequard viene considerato uno dei padri della endocrinologia moderna  dato che intuì l’esistenza di sostanze in grado di svolgere il compito di controllori e di regolatori fisiologici (ormoni), per di più secrete dall’organismo stesso.

Subentrato nel 1878, questo intraprendente fisiologo, ispirato dai lavori di Arnolph Berthold sui galli castrati, decise di sperimentare su sé stesso l’effetto dell’estratto testicolare di cavie e di cane, iniettandolo sottocute. I risultati dello studio furono giudicati per l’epoca scandalosi: improvvisamente un uomo di 72 anni sosteneva di sentirsi ringiovanito e rinvigorito, sia nel corpo che nello spirito, tanto da riprendere le sue funzioni sessuali. I colleghi del Collège de France non tardarono a deridere e a sminuire il lavoro del fisiologo, criticandolo di essere rimasto vittima dell’autosuggestione, mentre un po’ ovunque venivano creati rimedi ciarlataneschi sotto il nome di “Elisir di Brown-Séquard” e l’estratto testicolare fu relegato al trattamento della nevrastenia come autosuggestivo, alla stregua delle Pillole Pink o della Cintura Elettrofor. Anche a livello internazionale la pubblicazione dello studio nel 1889 fu recepita in maniera altalenante a causa dell’argomento tabù. Successivamente però fu accettata con entusiasmo dai medici statunitensi, soprattutto in seguito alla conferma dell’efficacia del metodo da parte del Brainerd e dell’Hammond, e fu avviata la produzione di estratto testicolare su larga scala in Germania, Russia e Ungheria. L’osservazione sull’efficacia dell’estratto testicolare da parte di Fritz Pregl pose le basi per l’indagine sull’effetto dell’estratto di ovario nella donna e portò i fisiologi ad interessarsi di quegli organi umani che all’epoca si pensava non avessero una funzione ben definita, come tiroide, pancreas e surrene.