Pasteur è considerato il fondatore della moderna microbiologia
Il mito di Pasteur si costruisce intorno a quattro elementi: il controllo della fermentazione, che ha permesso l’«addomesticamento» della vita microbica e la sua utilizzazione in modo mirato; la scoperta del principio della «vaccinazione»; la «dimostrazione pubblica» a Pouilly-le-Fort nel 1881 del valore pratico della vaccinazione e della sua efficacia nella lotta contro il carbonchio; l’applicazione della vaccinazione all’uomo nel caso della rabbia nel 1885.
Sino a Pasteur, il termine «germe» veniva ancora utilizzato in senso tradizionale, in riferimento a un’entità capace di dare origine a una nuova entità, un organismo simile a esso.
Nel 1865 Louis Pasteur fu indotto allo studio delle malattie infettive da una doppia sollecitazione: scientifica, perché l’ipotesi che germi potessero essere responsabili delle malattie contagiose era una conseguenza diretta delle sue ricerche sulla fermentazione e della ‘teoria dei germi’ che ne era l’espressione teorica e pratica, perché su pressante richiesta dei produttori, Pasteur decise di occuparsi delle malattie del baco da seta, responsabili di una disastrosa riduzione della produzione di seta in Francia.
L’opera di Pasteur segna un’epoca, separando due periodi ben distinti della storia della medicina: nell’ottocento avanza il progresso delle conoscenze mediche a cui l’ospedale partecipava appieno, anche grazie alle conoscenze legate alle scoperte di Pasteur e di Koch, che permisero di affrontare finalmente il drammatico problema delle febbri nosocomiali.
Louis Pasteur nasce a Dale, nel Giura, nel 1822 e muore a Villeneuve l’Étang, nei pressi di Garches, nel 1895. Conseguì nel 1840 il baccalaureato in lettere a Besangon e nel 1842 quello in scienze matematiche all’Università di Digione. Assistente alla cattedra di chimica dell’École normale di Parigi, scoprì la costituzione dell’acido paratartarico, spiegando le cause della «polarizzazione rotatoria» e della «emiedria» dei cristalli. Studiando—come supplente alla cattedra di chimica dell’Università di Strasburgo— lo sviluppo di una particolare muffa, il Penicillum glaucum, da lui coltivata in acido paratartarico, scoprì che la muffa si sviluppava a spese dell’acido tartarico.
Di qui ebbero inizio le sue ricerche sulle fermentazioni, continuate a Lilla, dove era stato nominato preside della Facoltà di scienze. Lì riuscì a dimostrare che la fermentazione alcoolica non era la conseguenza della morte e della putrefazione delle cellule, come avevano sostenuto Liebig e Berzelius, ma della vita delle «cellule fermento». Sviluppò, quindi, gli studi sulla fermentazione del vino e dimostrò che essa dipendeva dalla presenza e dalla moltiplicazione di microorganismi vegetali che si potevano eliminare riscaldando lievemente il vino per qualche minuto. La sua scoperta arrecò vantaggi incalcolabili all’industria vinicola.
Restava da risolvere il problema fondamentale: qual era l’origine di tali microorganismi? Erano il risultato della generazione spontanea che ancora qualcuno difendeva, o derivavano da altri microorganismi?
Osservando che nella fermentazione di diverse sostanze (vino, birra, latte ecc.) si riscontrava la presenza di organismi diversi, Pasteur pensò che essi non dovessero essere il prodotto del processo di fermentazione, ma la causa.
Come avrebbe un identico processo potuto generare microorganismi diversi? Era più logico pensare che microorganismi diversi, trovando ciascuno un ambiente a lui particolarmente adatto, vi producessero un identico processo chimico, ossia, appunto, la fermentazione: Pasteur ripeté gli esperimenti di Spallanzani, perfezionandoli e moltiplicandoli, e ne ricavò le prove definitive contro la generazione spontanea. Gli si oppose Félix Archimède Pouchet (1800—71), professore di zoologia presso l’Università di Rouen, ma all’emerito docente non toccò sorte diversa da quella toccata ad opera dello Spallanzani al Needham, del quale il Pouchet aveva ripreso le obiezioni, e soprattutto una: sottoponendo ad ebollizione, o anche solo scaldando una sostanza, essa non fermentava più e non generava, quindi, microorganismi perché il processo di riscaldamento ne alterava la natura.
Pasteur rispose con un esperimento di ineccepibile perfezione: prese diverse ampolle, vi pose del brodo e le sottopose ad altissima temperatura, ottenendo una completa sterilizzazione. Lasciò alcune di esse con il collo aperto, in modo che vi potesse liberamente entrare l’aria; ad altre, invece, adattò un collo ricurvo a perfetta tenuta, ma con la bocca aperta; nel collo introdusse dei batuffoli di cotone, sì che l’aria potesse penetrare nell’ampolla, ma venisse filtrata dal cotone. Nelle prime ampolle il brodo andò rapidamente in putrefazione, mentre nelle seconde non si ebbe putrefazione alcuna. Presi i batuffoli di cotone che ne chiudevano il collo e immersili in brodo sterile, essi provocarono una rapidissima putrefazione, il che significava che erano pieni di germi della putrefazione i quali, tuttavia, non erano riusciti a penetrare attraverso il collo delle ampolle, e non vi avevano, quindi, provocato putrefazione.
Al genio di Pasteur non poteva sfuggire l’ipotesi che anche le malattie potessero essere determinate dalla presenza di microorganismi, come aveva affermato l’umile e geniale avvocato di Lodi Agostino Bassi. E furono ancora una volta i bachi da seta quelli che aprirono la strada.
L’industria della seta aveva assunto, per l’economia francese, un’importanza di primissimo piano: le sete francesi erano le signore del buon gusto e dell’alta moda internazionale. È naturale, quindi, che di fronte alla pebrina, malattia che falciava gli allevamenti di bachi da seta, si muovesse addirittura il governo il quale si rivolse a Pasteur. Dopo lunghi ed attenti studi egli riuscì a scoprire che la malattia era prodotta da un microorganismo (il Nosema bombycis) che si diffondeva con l’aria e riuscì anche a mettere a punto le norme per combatterlo ed evitarne la diffusione. Di qui Pasteur passò a studiare l’origine anche di altre malattie, identificando il bacillo del carbonchio, del mal rosso, che falciava gli allevamenti di suini ed ovini, e finalmente, nell’uomo, scoprì il bacillo della rabbia e lo streptococco che causava la febbre puerperale.
Gli esperimenti compiuti da Pasteur inoculando in animali sani i bacilli di carbonchio di una coltura attenuata (ossia seguendo il procedimento già suggerito da Agostino Bassi), ed i risultati di scarsa ricettività o addirittura di immunità da lui ottenuti, valsero a far compiere alla tecnica della vaccinazione quei passi che la condussero sulla via della più completa modernità.
Quando Pasteur morì, la dottrina del contagio vivo aveva ormai definitivamente trionfato: i seminaria morbi (i «semi di malattia»), intuiti dal genio precorritore di Gerolamo Fracastoro, si erano rivelati all’occhio del genio armato di microscopio, dando, ancora una volta, la prova che, senza l’intuizione, la sola esperienza a poco o a nulla serve. Allo scienziato venne intitolato il grande Istituto Pasteur di Parigi.
I lavori di Pasteur sui microrganismi, la putrefazione e la fermentazione, riletti da Lister su questa base teorica, saranno il fondamento razionale delle prime misure di antisepsi proposte dall’igienista inglese. Sono ben note le applicazioni precoci dei principî pasteuriani nella conservazione degli alimenti, del latte, grazie alla ‘pastorizzazione’, nella produzione del vino e della birra. In campo strettamente medico, la prima applicazione pratica del pasteurismo fu l’antisepsi. Nel 1865 Lister osservò la presenza di germi nelle piaghe purulente e notò la somiglianza tra la fermentazione e la putrefazione delle ferite. Riprendendo l’idea di Pasteur della presenza di batteri responsabili della fermentazione, Lister attribuì ai batteri anche la putrefazione e saggiò una serie di sostanze chimiche capaci di distruggerli; tra queste scelse l’acido carbolico in forma spray che colpiva i batteri trasportati nell’aria, permettendo così lo sviluppo della chirurgia antisettica.