Ospedali: luoghi di assistenza e di cura

Il racconto della nascita e dell’evoluzione dell’istituzione ospedaliera è un intrigante viaggio in quell’universo sanitario in cui, ieri come oggi, i “fatti” medici e i “fatti” sociali si intersecano con quelli architettonici e tecnologici, con quelli legislativi ed organizzativi determinando un poliedrico insieme, caratteristico di ogni tempo e di quel tempo specchio fedele.
Salute e malattia hanno da sempre punteggiato la vita dell’uomo; la malattia in particolare rientrava in quei fenomeni di difficile comprensione contro cui agli inizi della storia non si avevano grandi mezzi per opporsi: pregare ed invocare, con l’aiuto del sacerdote di turno, qualche divinità benevola, ma anche dare fiducia alle mani, meno ieratiche ma forse più abili di chi si dimostrava disponibile, portato ed esperto ad “operare”, in prima battuta, con strumenti “terreni” e verificabili.

I Francescani assistono i lebbrosi. Codice di Monteluce, Perugia

Con il cristianesimo, ospedali ed ospizi divennero più numerosi, assumendo un carattere più caritativo, che sanitario nei confronti degli ammalati; la medicina dei tempi consisteva infatti in un insieme di pratiche magico – religiose fuse a rimedi empirici ed istintivi. Il termine “ospedale” deriva da “hospes” (ospite) in quanto i primi ospedali erano più improntati sull’accoglienza caritatevole, che sull’aspetto sanitario. Per questo gli ospedali si diffusero con il cristianesimo, con strutture ibride con luoghi di culto.
È dalla regola di Sant’Antonio, vissuto fra il 200 e il 300 d.C., che nasce la cura verso i confratelli malati: l‘assistenza ospedaliera religiosa, quindi, ha origini molto antiche, in graduale incremento. Fu il Concilio di Nicea, nel 325, a stabilire che ogni vescovato e monastero dovessero istituire in ogni città ospizi per pellegrini, poveri e malati. Gli ospedali iniziarono a moltiplicarsi ed accanto a quelli nati in seno ai Monasteri, altri sorsero per volontà di alcuni ordini religiosi (Taranto, Asti, Lucca, Bologna…) ed altri con caratteristiche invece più laiche come il S. Spirito in Roma (715), voluto da Ina, Re della Sassonia orientale, per assistere i suoi sudditi in viaggio in Italia. Fuori di Italia ricordiamo degni di nota: I’Hotel Dieu di Lione (542), I’Hotel Dieu di Parigi (700), I’Ospedale del Cairo (707), I’Ospedale dei Cavalieri di Malta a Gerusalemme (intorno all’800), I’Ospedale di Cordova (800), I’Ospedale di Burgos (1214).
La tradizione italiana risale assai indietro nel tempo, come dimostrano le radici medioevali di molte istituzioni mediche e assistenziali di età moderna: il concetto di ospedale, inteso nel senso più simile a quello attuale, nasce nel Medioevo, quando gli ammalati vengono visti dalla società non come persone da allontanare ed emarginare ma da assistere.
L’ospedale nasce dapprincipio nella forma più generica di luogo di accoglienza e di ristoro per i bisognosi, quindi viandanti, poveri, pellegrini, vedove e ammalati: in origine, infatti, questi luoghi venivano accoglievano una più ampia e variegata casistica di situazioni disagiate, prima di diventare un luogo mirato esclusivamente alla cura della salute, come lo intendiamo oggi.

Hospital for Infants in Pistoia, 1277

La nascita e l’organizzazione degli ospedali, diffusisi in Europa a partire dall’XI secolo e presenti ben presto in ogni città, si lega fin da subito, per ovvie ragioni, alla compagine religiosa: quasi sempre, infatti, queste strutture erano gestite dagli stessi vescovi o da ordini di frati, suore o confraternite, in alcuni casi anche laiche. L’opera di Domenico di Bartolo (Cura degli infermi, 1441), un affresco realizzato all’interno dell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, mostra l’interno di un ospedale, con grande attenzione e cura per le nuove regole prospettiche, appena enunciate all’epoca, che  rendono chiaramente il senso dello spazio all’interno dell’ampio locale. La scena, molto dinamica e affollata, offre uno spaccato di un momento di cura degli infermi: in primo piano, un giovane ferito e infreddolito, sta per essere curato, viene lavato e coperto, mentre dietro di lui il rettore dell’ospedale e altri inservienti, stanno valutando il da farsi. Più a destra, un frate sta confessando un altro degente, mentre prontamente sta arrivando una lettiga per il nuovo arrivato ferito. Curiosa la presenza di animali: cane e gatto, che si azzuffano in primo piano.

Domenico di Bartolo

Medesima ambientazione si riscontra nell’incisione tratta dal Regimen Sanitatis Salernitanus, un volume assolutamente dedicato al tema, risalente al XIII secolo: in un unico grande locale si assiste alla cura degli infermi, alla cucina e alla consumazione dei pasti.

Nonostante le deboli conoscenze tecniche dell’epoca, gli ospedali apparivano comunque dotati di sistemi adeguati e particolarmente accurati, quali areazione dei locali, servizi igienici, e fornitura di acqua.

Bisogna attendere il Rinascimento, perché l’assistenza ospedaliera cominci ad essere considerata non più una semplice espressione della pietà cristiana e quindi un esclusivo monopolio della Chiesa, ma anche un segno dell’impegno sociale dei regnanti, parallelamente allo sviluppo di una medicina sempre più scientifica, che quindi destasse un interesse anche più strettamente laico: l’assistenza ospedaliera cominciava ad essere considerata non più una semplice espressione della pietà cristiana e quindi un esclusivo monopolio della Chiesa, ma era anche un segno dell’impegno sociale del Re, del Principe, del signore insomma, che vedeva, tra l’altro, nella edificazione di opere anche artisticamente pregevoli, un momento dell’esaltazione del suo governo.

Il dipinto del tedesco Adam Elsheimer (Santa Elisabetta visita un ospedale, XVII secolo) apre le porte di un altro luogo di cura, di epoca cinquecentesca; è interessante notare, oltre alle condizioni igieniche non ottimali, una grande promiscuità tra i degenti e un’assoluta mancanza di riservatezza; locali ampi e lunghi corridoi: i ricoverati venivano ospitati promiscuamente e vicini tra loro, senza minime accortezze di privacy.

Saint Elizabeth of Hungary bringing food for the inmates of a hospital. Oil painting by Adam Elsheimer, ca. 1598.

L’ospedale moderno non è solo un’istituzione di tipo medico, ma risponde a una pluralità di funzioni e bisogni, alcuni dei quali di carattere simbolico, ed è stato anche un centro di attività artistiche e finanziarie. Se gli ospedali erano di solito governati da comitati composti da laici eletti o nominati dal potere politico o municipale, pervasiva è stata la presenza al loro interno di ordini religiosi e di confraternite laiche dedite all’assistenza; il riferimento alla virtù cristiana della caritas è un passaggio obbligato di qualsiasi descrizione di questo tipo di istituzione.

Il primo ospedale concepito in chiave moderna fu l’Ospedale Maggiore di Milano (noto anche come Cà Granda) progettato dal Filarete e realizzato nel 1456: il merito e la novità del Filarete sta nell’aver riempito quelle forme classiche e tradizionali di contenuti fortemente innovatori. Le infermerie vennero progettate, infatti, nelle loro superfici e cubature, tenendo presente l’obiettivo di garantire, ad un determinato numero di degenti, un idoneo “cubo” d’aria, un sufficiente spazio vitale, una corretta ventilazione ed illuminazione. Che poi certi obiettivi non fossero stati completamente raggiunti, poco importa: quello che conta è l’aver evidenziato, per la prima volta, una serie di fondamentali esigenze di “igiene ospedaliera” ed aver avanzato soluzioni logiche anche se non del tutto soddisfacenti.

L’ospedale era a pianta rettangolare, sviluppato lungo un asse centrale e con strutture porticate che ospitavano le degenze. Le infermerie contavano al massimo 40 posti, erano assicurati ricambio d’aria e illuminazione e i malati avevano accesso a dei corridoi perimetrali usati come latrine e costantemente lavati.

L’ospedale italiano è stato al centro dell’attività di curanti illustri e meno illustri, educati all’università, come i medici physici; ma è stato anche, e forse soprattutto, il luogo privilegiato di formazione e di attività dei praticanti la medicina considerati di livello inferiore, in quanto dediti ad attività ‘manuali’, come i chirurghi nelle loro diverse gerarchie e specializzazioni, i barbieri-chirurghi, le ostetriche, gli speziali, i membri degli ordini religiosi o delle associazioni devozionali laiche che si dedicavano in maniera privilegiata o esclusiva all’assistenza agli infermi.
A contatto con questi ‘altri’ curanti, i medici universitari hanno dovuto affinare la pratica e riapprenderla, anche al di là dell’istruzione formale ricevuta, e hanno così avuto preziose occasioni di incontro con punti di vista e saperi terapeutici, e perfino anatomici, fisiologici e patologici, parzialmente o totalmente diversi dalla medicina di scuola.

La “Sanità” del ‘600 e dell’700 fu soprattutto caratterizzata dalla ricerca: gli ospedali divennero centri di studi e di ricerca e già nel XVII secolo furono vere scuole di medicina e chirurgia. L’ospedale viveva quelle che erano le novità del mondo accademico in una posizione, però, abbastanza privilegiata favorendo, per certi versi, il sanarsi della storica frattura tra le due culture, da sempre separate, della scienza medica: quella umoralista del medico “doctus expertus” e quella anatomica del “cerusicus” considerato al massimo un abile artigiano.

Nel XVIII secolo la situazione ospedaliera era ancora inadeguata sia a livello di condizioni igieniche, sia a livello di numero di posti letto disponibili rispetto alla richiesta.

A nonchalant doctor dancing a jig amidst unhappy patients in a decrepit hospital ward. Coloured etching by C. Williams, 1813.

È durante la Rivoluzione francese che prende forma e si sviluppa l’idea di ospedale come oggi l’intendiamo in termini di funzioni, struttura ed organizzazione. Quale è il ruolo dell’ospedale in un progetto più ampio di tutela della salute della collettività, quale è la giusta localizzazione nel tessuto urbano, quale funzioni deve svolgere, quale è l’architettura più idonea per quelle funzioni, quale deve essere la sua organizzazione interna? Proprio alla fine del secolo venne ricostruito anche l’Hotel de Dieu di Parigi dopo un incendio e ogni scelta architettonica venne presa sulla base di esigenze igienico-sanitarie.
Per rispondere alla nuove esigenze organizzative e strutturali, sorsero in Inghilterra, in Francia, in Germania, e solo successivamente in Italia, gli ospedale a padiglioni. Oltre al fatto di avere la possibilità di confinare in strutture diverse i malati in base al tipo di malattia, eliminando, quindi, alla base il fenomeno del contagio, la nuova struttura, immersa in aree adibite a verde, permetteva anche di differenziare gli edifici in base alle funzioni, di aumentare la dotazione di ambienti di servizio, di migliorare l’esposizione, l’aerazione e l’illuminazione degli ambienti. Ogni edificio, in sostanza, aveva una sua funzione, così da aumentare anche gli spazi di servizio e ridurre il problema del contagio. In Italia l’ospedale a padiglione, ovvero con una configurazione diffusa, arrivò il secolo successivo, con l’introduzione di corridoi su cui si affacciavano camere più piccole per ospitare un minor numero di ospiti contemporaneamente.

Nell’ottocento, superata la mitologia dei miasmi si introduce con Lister, l’antisepsi, e poi le tecniche di disinfezione, di sterilizzazione; viene studiata la diversa porosità e resistenza al passaggio dell’aria dei materiali di costruzione; nei materiali di rivestimento vengono ricercate le qualità della resistenza e della facile lavabilità, dall’orientamento degli edifici e dalle scelte distributive si vorrà il massimo soleggiamento e ventilazione. II dibattito sull’ingegneria ospedaliera diventa quanto mai attuale ed i medici igienisti si proponevano, a ragione, come gli esperti della materia.
Tra il XIX e XX secolo in Italia, con lo sviluppo di una rete ospedaliera, si realizzarono i moderni ospedali a padiglioni, di dimensioni notevoli collocati nelle immediate vicinanze dei centri abitati.
Tali ospedali affiancarono quelli storici e per lo più collocati nei centri cittadini, risalenti all’epoca medievale e rinascimentale.

Oggi in Italia esiste una associazione che ha la finalità di valorizzazione questo enorme patrimonio, l’Associazione Culturale Ospedali Storici Italiana ACOSI: un nuovo organismo, originale, libero, prestigioso, per raccordare gli Ospedali storici italiani per proteggere, studiare e far conoscere uno dei “giacimenti” culturali oggi meno noti ma sicuramente più interessanti e fecondi della storia della civiltà italiana della cura delle persone. Il manifesto è disponibile a questo link.

Ristrutturata la Lancisana, nata da Giovanni Maria Lancisi

Restituita al pubblico la Biblioteca Lancisana ideata da Giovanni Maria Lancisi nel 1714

Nel luglio 2021 ha riaperto al pubblico la Biblioteca Lancisiana di Santo Spirito in Saxia a Roma, a seguito di lavori di consolidamento strutturale e di restauro conservativo che hanno riportato all’antico splendore un patrimonio unico nel suo genere, grazie ad un finanziamento della Regione Lazio di oltre 4,5 milioni di euro alla ASL Roma 1. Il restauro ha permesso di recuperare l’affresco sulla volta della sala di lettura, un’opera del XVIII secolo attribuita a Gregorio Guglielmi, e di portare a compimento gli interventi di miglioramento statico, della volta, del tetto, della pavimentazione e degli impianti.
La pulitura e l’attenta osservazione dello stato di conservazione di tutte le superfici della biblioteca, comprese le scaffalature lignee, ha consentito il ripristino del patrimonio bibliografico custodito in un deposito temporaneo, il riposizionamento dei cartigli e i coronamenti rimossi, nonché il ripristino di alcune porzioni lacerate delle reti metalliche delle ante delle scaffalature, oltre che la rimessa in funzione del binario su cui scorre lo sportello segreto sul lato est della sala lettura.

La Biblioteca Lancisiana, incastonata nel loggiato superiore del cinquecentesco Palazzo Commendatore, fu fondata nel 1711 da Giovanni Maria Lancisi, illustre medico e archiatra pontificio, e venne inaugurata il 21 maggio 1714. I suoi armadi, creati dall’architetto Tommaso Mattei, arredano la sala di lettura che conserva due globi del XVII secolo di Vincenzo Coronelli, dove la conoscenza geografica si arricchisce di cartigli, figure, stemmi e dettagli di straordinaria erudizione. qui il video https://youtu.be/O2brPCZOCzY
La Biblioteca custodisce una collezione di circa 19.000 volumi, suddivisi in tre fondi principali (Fondo Lancisi, Fondo Severino e Nuove Acquisizioni) tra cui incunaboli, circa 1600 cinquecentine, numerose edizioni del ‘600, del ‘700 e dell’800 e manoscritti risalenti ai secoli XIV-XIX. In questa preziosa raccolta spicca il codice miniato Liber Fraternitatis Sanctis Spiritus in Saxia de Urbe, con migliaia di firme autografe di Papi, Re, nobili e popolani di tutto il mondo cristiano che entravano a far parte della Confraternita Ospitaliera di Santo Spirito, divenendo benefattori a vita dell’Ospedale.

Il Complesso Monumentale di Santo Spirito in Saxia, eretto sulle rovine della villa di Agrippina Maior, costituisce il più rilevante insieme di edifici quattrocenteschi romani ed è inserito nel network di ACOSI (Associazione Culturale degli Ospedali Storici Italiani) come uno dei più prestigiosi ospedali d’Europa, che ha segnato nei secoli un modello di accoglienza, assistenza e cura della persona, oltre che di formazione e storia della medicina.

Lancisi ebbe l’idea della creazione di una Biblioteca fin dal 1711, sebbene essa venne appunto inaugarata tre anni dopo, alla presenza del Pontefice Clemente XI, accompagnato da Porporati, da Prelati, da Letterati di tutta Roma. L’inaugurazione della Biblioteca fu anche l’occasione della presentazione delle Tavole Anatomiche di Bartolomeo Eustachio, illustrate da Lancisi con prefazione e note. Lancisi, pensando che la Biblioteca sarebbe stata la sede della istituenda Accademia, tra le disposizioni lasciava scritto: “XI – Bramo inoltre che il Bibliotecario vada eccitando congressi, e particolarmente le Accademie pubbliche di Anatomia, di Medicina e di Cirurgia, facendole fare almeno due volte al mese dai Medici Assistenti, dai Cirurgi Sostituti, e dai Giovani più abili”. Nella sede della Biblioteca, il 25 aprile del 1715, venne inaugurata l’Accademia di Medicina e Chirurgia, con l’intervento di Lancisi che recitò un discorso su «De recta medicorum Studiorum ratione», presentando la figura del Medico perfetto. Lancisi riteneva che non vi fosse argomento più degno di essere trattato e, per la sua esperienza di più di quarant’anni, egli poteva ben dare consigli in proposito. E concludeva che la medicina non s’impara in breve tempo: Ars longa, Vita brevis. Che l’ignoranza dei medici arreca grave danno alla società, che per loro è necessaria la conoscenza della lingua greca per l’interpretazione dei termini scientifici, e la conoscenza della lingua latina, perché questa è la lingua di tutti i Dotti del mondo.

L0032294 G.M. Lancisi, De motu cordis et aneurysmatib
Credit: Wellcome Library, London. Wellcome Images
Giovanni Maria Lancisi nacque a Roma nel 1654 e morì nella città natale nel 1720. Dopo aver compiuto gli studi letterari, si dedicò a quelli della medicina e conseguì la laurea nel 1672. Nel 1685 ebbe la cattedra di anatomia alla Sapienza e, durante la sua intensa attività di docente, cooperò con estrema intelligenza alla riforma degli studi medici. Raggiunse grande celebrità, tanto che, oltre ad essere stato medico personale di tre papi, Innocenzo X, Innocenzo XII e Clemente XI, venne da quest‘ultimo nominato Archiatra pontificio e priore del Collegio medico. Non fu solo grande anatomico e genialissimo fisiologo, ma fu anche il benemerito editore delle Tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachi.
Nel campo dell'anatomia, particolarmente notevoli furono le sue osservazioni sul cuore e la scoperta delle strie longitudinali del corpo calloso del cervello. Importanti i suoi contributi alle ricerche sulla peste bovina, cui dedicò un De peste bovilla (Sulla peste bovina), pubblicato a Roma nel 1712: nell’opera, al contrario di coloro che sostenevano ancora le ragioni dell'antico umoralismo, affermò la possibilità della trasmissione della malaria per mezzo delle zanzare, incoraggiando la bonifica delle paludi nell'Agro Pontino e nel successivo De noxiis paludum effluviis eorumque remediis (1717) egli sosteneva che la malaria fosse una vera pestem, e che la sua origine fosse un'infezione trasmessa attraverso il contagio.
Importante il De motu cordîs et aneurysmatibus (Sul movimento del cuore e sugli aneurismi), pubblicato postumo a Roma nel 1728.

 

Infermo istruito: l’alfabetizzazione sanitaria nel 1719

una pubblicazione del 1719 dedicata a ‘chi desidera vivere lungamente’

L’Infermo istruito nella scuola del disinganno. Opera composta dal dottore Domenico Gagliardi. … Divisa in due parti che contengono veglie 31. salutari. Parte 1. [-2.]. – Roma : nella stamperia di S. Michele a Ripa Grande, 1719-1720. – 2 v. ; 8º.

Infermo istruito

Questa curiosa opera del 1719 – appartenente al fondo antico della Biblioteca Biomedica dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria – è stata pubblicata, nelle intenzioni dell’autore, “a beneficio di chi desidera vivere lungamente” e rappresenta un testo di health literacy ante litteram.

“La pietra del paragone con la quale si può conoscere come sia vissuto l’Uomo è appunto l’infermità, mentre se in delizie, e piacere, e se in continue risse e rancori, se in crapule, ed altre dissolutezze egli visse, lo dimostrerà per l’appunto quanto egli giacerà infermo; nel qual tempo vorrà ancor’egli continuare l’abito cattivo, acquistato in sanità; se poi sarà stato superiore a detti vizi, lo farà vedere il male, in cui, conforme ai vizi, s’avanzano, così ancora si perfezionano le virtù”

Autore della pubblicazione è Domenico Gagliardi (1660-1745)  medico, scrittore e filosofo e il cui nome è legato all’anatomia, in particolare del sistema osseo di cui pubblicò nel 1689 “Anatome ossium novis inventis illustrata”, nella quale, tra gli altri argomenti, descrive la struttura lamellare delle ossa.
Testimonianze dell’attività di Gagliardi sono reperibili nella “Storia della medicina in Italia del cav. Salvatore De Renzi, medico Napolitano” (Dalla tipografia del Filiatre-Sebezio, 1846 – 583 pagine): “Domenico Gagliardi di Roma occupassi con molta cura dell’esame delle ossa proccurando di conoscerne la struttura per mezzo di osservazioni microscopiche diligentissime non solo ma anche col mezzo de reattivi chimici pei quali l’anatomia fina acquistò novelli mezzi di progresso anch’essi per opera di un Italiano. Egli diede l’anatomia delle ossa nello stato sano con una esatta descrizione della struttura intima della sostanza ossea mostrandone le fibre riunite da un glutine e somministrando chiara idea del modo come si forma lo scheletro. Ha parlato assai minutamente ed esattamente dei vasi che serpeggiano nelle ossa, specialmente del cranio e delle vertebre, fecondando in tal modo il germe di molte scoverte moderne. Egli infine cercò di corroborare le sue osservazioni coi fatti somministrati dalla anatomia patologica, dando la storia di un rilevante ammollimento delle ossa”.

Infermo istruito

Si interessò anche di deontologia medica e di quella che oggi si chiamerebbe divulgazione scientifica e sensibilizzazione al concetto di alfabetizzazione sanitaria.

Nella prima edizione qui rappresentata, infatti, Gagliardi mette in guardia i pazienti contro l’attività dei ciarlatani, che nella Roma papale sembrano avere un grande seguito: ad esempio, si legge che è meglio “valersi de medici moderni” che “de galienisti”, facendo esplicito riferimento quindi ai medici ancora legati alla medicina galenica e alla teoria degli umori.

Infermo istruito

L’opera consta di due volumi, dedicati a temi morali e deontologici, che, scritti espressamente per il profano chiariscono i limiti dell’arte della medicina.

Nella presentazione Gagliardi spiega: “… La troverete divisa in due parti, per vostro comodo maggiore, poiché nella prima si tratta di quanto a voi appartiene sapere, per ben’istruirvi del vostro mal, e nell’altra che in breve verrà alla luce, si parlerà di molte materie utili a sapersi anche da voi, per vostro buon regolamento; consistendo in molti documenti pratici, per isfuggure ciocché potrai esservi dannoso, venendovi proposto da qualche malizioso e ignorante impostore…”

Infermo istruito

Lo stile di scrittura è erudito, in conformità al gusto dei tempi, e queste opere sono piene di precetti per raggiungere un’età avanzata seguendo determinate regole di igiene.
Nelle varie sezioni dell’opera vengono dati vari consigli, a partire dalla prima, “nella quale si mostra in genere ciò che debba fare chi desidera d’essere istruito”, oppure nella quarta dedicata al “vantaggio che ne risulta dal trattar bene il Medico; e quanto danno ne riceve chi per diversamente”. Curiosa la Veglia XII “nella quale si mostra di quanto danno sia all’infermo la Politica ed il voler applicare e pensare troppo”.

Infermo istruito

Ricordiamo che il concetto di Health Literacy viene introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1998, con questa definizione: “l’insieme delle capacità cognitive e sociali che determinano la motivazione e l’abilità degli individui per accedere, comprendere e utilizzare le informazioni, sì da promuovere e mantenere un buon livello di salute”. L’OMS inquadra, di fatto, il concetto nella dimensione delle life skills, affermando che la health literacy implica il raggiungimento di un livello di conoscenza, abilità e consapevolezza utili a
intraprendere azioni per migliorare la salute individuale e della comunità, promuovendo il cambiamento degli stili e delle condizioni di vita.

L’alfabetizzazione alla salute (health literacy) e le conoscenze relative alla salute favoriscono la partecipazione: l’accesso all’istruzione e all’informazione é essenziale per ottenere la partecipazione efficace e l’empowerment delle persone e delle comunità.

Arte e Medicina per la formazione degli operatori di cura

l’arte come strumento per la formazione in area medica e sanitaria

Molte volte, su questo blog, abbiamo utilizzato opere d’arte per raccontare il percorso e l’evoluzione della medicina e dei molteplici tentativi dell’uomo di migliorare la propria condizione, individuare nuove terapie, scoprire come migliorare le diagnosi e rispondere ai quesiti posti dalla natura. L’arte consente di rendere visibile questo percorso, ma può essere uno strumento oggi per la formazione in area medica e sanitaria?
Una risposta chiara e decisa arriva da Vincenza Ferrara, direttrice del Laboratorio di Arte e Medical Humanities della Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”: “L’arte può avere un ruolo centrale nell’ambito della formazione del Personale di Cura per lo sviluppo delle competenze e per l’Umanizzazione del percorso terapeutico. L’applicazione dell’Arte come strumento per l’apprendimento e la sua relazione storica con la Medicina possono essere un valido supporto per lo sviluppo di capacità quali l’osservazione, l’ascolto attivo, il problem solving e l’empatia, utili a migliorare la professione e il rapporto con il paziente. È possibile riscoprire il legame tra arte, medicina e cura per aiutare i professionisti della salute a migliorare la loro attività e suggerire alle istituzioni museali come supportare il loro benessere”.

L’ambito di ricerca di Ferrara riguarda l’uso del Patrimonio Culturale come strumento di apprendimento, di inclusione sociale e per la promozione del benessere adottando metodi innovativi.
“Il considerare l’arte come strumento utile per la professione Medica al pari altre “scienze umane” già applicate in questo settore, rientra nell’approccio Bio- Psicologico-Sociale che pone al centro del processo di cura il paziente. Attraverso l’arte è possibile costruire un messaggio narrativo legato al racconto della malattia, alla sua prevenzione o alla costruzione del rapporto empatico con il paziente e relazionale con familiari e colleghi. È attraverso un viaggio nella rappresentazione del corpo umano nell’arte, della professione medica o delle attività di cura attraverso i secoli o l’applicazione della Iconodiagnostica per il supporto alla storia dell’arte o allo studio di patologie al momento scomparse che si vuole dare una visione degli studi internazionali e di attività ormai consolidate e delle esperienze italiane che cominciano a introdurre questa disciplina per la formazione e l’aggiornamento dei Medici”.

Questo approccio non è solo frutto dell’esperienza di Ferrara, che svolge attività seminariali e di insegnamento in corsi universitari di area medica e sanitaria, formazione per insegnanti e operatori museali in relazione ad ambiti legati alla pedagogia, psicologia speciale, museologia e Medical Humanities. Le evidenze scientifiche danno un fondamento molto strutturato a questo approccio: “Numerosi studi americani – spiega ancora Ferrara – dimostrano che gli studenti di storia dell’arte o di belle arti hanno una maggiore elasticità mentale e una maggior capacità di problem solving. Importante in questo ambito è la ricerca di Rudolf Arnheim, che spiega in modo convincente la connessione tra la percezione visiva e il pensiero. Identificare ciò che vediamo, secondo Arnheim, è un atto di conoscenza. Quando si guarda qualcosa, si attuano rapidamente dei meccanismi di comprensione per riconoscere e afferrare il senso di ciò che ci viene messo dinanzi agli occhi. Inoltre grazie agli stimoli visivi si mettono in moto automaticamente pensieri e abilità atti a risolvere problemi. L’osservazione attenta di un’opera d’arte attiva, in maniera quasi istintiva, molteplici ragionamenti capaci di arrivare a soluzioni logiche e analitiche”

Per fare alcuni esempi, possiamo citare alcuni dei settori di studio che vengono affrontati da Ferrara e dallo staff di giovani medici e storici dell’arte che sono parte del suo gruppo di ricerca: la relazione tra artisti e medici è fortemente legata alla rappresentazione dell’arte medica.

Mundinus

Numerosi sono gli esempi, a partire dalle prime pubblicazioni di anatomia (tra i primi ‘de Anatomia’ di Mondino De Liuzzi 1270-1326) nel quale è possibile trovare l’applicazione delle migliori tecniche del disegno dal vero per la rappresentazione di organi. In questo filone va citato Andrea Vesalio (1514-1564) che disegnò personalmente la rappresentazione del corpo umano sulla sua De Humani Corporis Fabrica.

L0063832 Andreae Vesalii Bruxellensis
Credit: Wellcome Library, London. Wellcome Images
Andreae Vesalii Bruxellensis, scholae medicorum Patauinae professoris De humani corporis fabrica libri septem …
1543 Andreae Vesalii Bruxellensis, scholae medicorum Patauinae professoris De humani corporis fabrica libri septem …
Andreas Vesalius
Published: anno salutis reparatae 1543. Mense Iunio.
Copyrighted work available under Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0 http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

Ancora, in questo ambito possono essere inserite le rappresentazioni delle dissezioni, e quindi l’insegnamento dell’anatomia, la cui più famosa lezione della storia forse è rappresentata da Rembrandt nella Lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632

Altri esempi interessanti sono le rappresentazioni del Quattrocento, dove emerge una analisi e un profondo studio dell’anatomia umana di cui Leonardo Da Vinci è stato la massima espressione.

Ferrara utilizza uno specifico metodo, quello delle Visual Thinking Strategies, per il quale è autrice di numerosi articoli scientifici e divulgativi; l’arte come strumento utile in ambienti di apprendimento è stato descritto in un libro “L’arte come strumento per la formazione in area medica e sanitaria” edito da Aracne Editore, 2020.
Ma cosa sono le Visual Thinking Strategies? Risponde l’esperta : “Si tratta di una metodologia che si basa sugli studi, negli anni 70, di Abigail Housen, una psicologa cognitivista americana che ha approfondito l’interesse e le diverse reazioni sviluppate dal pubblico osservando opere d’arte. Nel lungo percorso della ricerca Housen identifica cinque tipologie di osservatori, ma in tutti, dopo l’osservazione dell’arte, riscontra una crescita sul piano estetico. Dopo anni di osservazioni e dialogo con i visitatori, nel 1979 descrive la vastità di tipologie di pensiero che l’arte è capace di suscitare. Nel 1988 gli studi della Housen si intrecciano con quelli dell’educatore museale Philip Yenawine (worked at Museum of Modern Art, NY). Insieme comprendono la potenzialità che l’osservazione dell’opera d’arte può avere nello sviluppo di importanti competenze cognitive. Partendo da queste idee mettono a punto il metodo didattico della VTS. Inizialmente applicato nelle scuole ha avuto una sua applicazione anche nel settore della formazione medica e sanitaria. Questo sviluppo è collegato al significato dell’osservazione e ai due concetti che risultano collegati l’osservazione dell’arte e l’arte dell’osservazione”.

Vincenza Ferrara sarà uno degli ospiti che parteciperanno a Iconografia della Salute, il Festival delle Medical Humanities organizzato dal Centro Studi Cura e Comunità per le Medical Humanities dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria: questo il link per seguire l’appuntamento su YouTube.

Iconografia della Salute: via alla seconda edizione

dal 15 al 22 ottobre II edizione del Festival delle Medical Humanities  

Oltre 50 relatori, 20 sessioni di dialogo, approfondimento e riflessione, sette giorni di confronto dal 15 al 22 ottobre: ‘Iconografia della Salute’ è il festival delle Medical Humanities ideato dal Centro Studi Medical Humanities di Alessandria per valorizzare questo approccio, che riunisce le tante discipline coinvolte che influiscono sul percorso di cura del paziente.

Dedicata a persone, luoghi, narrazione e sapere, la II edizione di ‘Iconografia della Salute’ sarà ricca di ospiti di livello nazionale e caratterizzata dalla formula mista di interventi online ed eventi culturali in presenza: un luogo privilegiato per discutere come le tante discipline afferenti alle Medical Humanities consentano la piena realizzazione della ‘visione olistica’ già introdotta e praticata da Ippocrate oltre duemila anni fa.  Il titolo del Festival è dedicato alla iconografia della salute, intesa come rappresentazione di ogni forma che contribuisce ad incidere nella società. Una società nella quale fatti ambientali, fatti medici e fatti sociali continuano ad essere strettamente intrecciati come la storia ci ricorda e di cui l’emergenza Covid ne è ultima manifestazione.

L’articolazione delle giornate e degli eventi è finalizzata alla centralità del paziente e alla sua storia personale, che condiziona il suo percorso di salute e benessere ed è basilare nella costruzione di una cura su misura, personalizzata, che tenga conto delle sue emozioni, della sua visione, del suo bagaglio culturale, delle relazioni e dell’ambiente in cui è coinvolto.

Gli interventi saranno finalizzati a mettere in luce questi aspetti, a partire dalla giornata del 19 ottobre, dedicata alle ‘persone’, ossia ai protagonisti – pazienti e operatori di cura – di una relazione, che dovrebbe essere sempre profondamente umana ed etica. I lavori saranno aperti da Paolo Mazzarello, storico della Medicina all’Università di Pavia e autore di numerose pubblicazioni che ricostruiscono le vicende umane di personaggi che hanno segnato la storia, cui seguiranno i dialoghi sul rapporto tra medicina e società con Alessandro Bargoni, Paola Villani, Franco Lupano e Maria Teresa Monti che concluderà con una relazione sull’attualità della storia della medicina oggi.

La seconda giornata, il 20 ottobre, sarà indirizzata a comprendere l’impatto dell’ambiente e dei luoghi di cura sulla salute umana: a discuterne Stefano Capolongo e Angelo Tanese firmatari dell’Italian Urban Health Declaration, un documento che promuove le città quali ambienti promotori di salute. Insieme a loro altri ospiti (Monica Botta, Marco Invernizzi, Sonia del Medico, Elena Franco) porteranno la loro esperienza sul nuovo concetto di salute e benessere, che deve animare le comunità e le città, finalizzato al benessere comprensivo degli aspetti psicologici, delle condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale delle persone.

La terza giornata sarà dedicata alla narrazione quale strumento di cura per i curanti e naturalmente per i pazienti, come si evince dalle consolidate e numerose testimonianze che giungono dalla evidence based narrative. È previsto un focus sulla narrazione e la salute mentale, settore in sofferenza, come descrivono gli studi realizzati da numerosi team di scienziati in tutto il mondo che delineano in maniera pressoché unanime il pesante impatto che la pandemia ha avuto sulla sfera psichica degli individui.

La quarta giornata sarà dedicata al sapere, alla circolazione della conoscenza, alla generazione delle fake news e all’engagement del paziente, con una riflessione finale tesa a verificare il ruolo delle Medical Humanities nella formazione degli operatori di cura.

Accanto agli incontri virtuali – tutti gli interventi saranno disponibili in diretta sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria – gli eventi in presenza: la mostra di Elena Franco ‘Ars Curandi’ il più recente capitolo di ‘Hospitalia. O sul significato della cura’ una originalissima ricerca sugli antichi ospedali in Italia e in Europa, dal medioevo ai giorni nostri, che Elena Franco ha iniziato nel 2012.

La mostra organizzata da CISO Piemonte dedicata alla figura del medico, l’apertura del patrimonio storico in collaborazione con il Fondo Ambiente Italiano e gli appuntamenti culturali realizzati in collaborazione con la Biblioteca Civica di Alessandria per la promozione delle cinquecentine. E poi la memoria di Nadia Presotto, artista recentemente deceduta a causa del mesotelioma, che ha raccontato in un libro la sua storia di malattia. 

Per informazioni è possibile scrivere a comunicazione@ospedale.al.it mentre il link per visionare il programma completo del Festival, gli appuntamenti e tutti gli aggiornamenti è il seguente https://www.ospedale.al.it/festival-delle-medical-humanities-iconografia-della-salute/