iconografia dell’estrazione della pietra della follia
Da sempre, l’uomo si è cimentato con le problematiche legate alla salute mentale, cercando, in maniera più o meno scientifica, di comprenderne le dinamiche, capirne il funzionamento, tentando anche di prevenire l’amplificarsi del fenomeno o quantomeno di arginare ulteriori peggioramenti.
Il vero problema era che, nell’antichità, quando la stessa medicina arrancava parecchio dal punto di vista scientifico e le nozioni erano poche e miste per lo più a fantasie popolari e superstizioni, risultava davvero complesso comprendere e studiare (quindi curare) una patologia mentale. Erano ancora troppo lontani gli anni della psicoanalisi e dei primi studi sull’immenso universo della mente umana; soprattutto nei secoli più antichi, vi era ancora la tendenza a voler necessariamente spiegare qualsiasi patologia attraverso processi fisici, secondo dinamiche logiche e meccanicistiche, mediante un’analisi di segni tangibili, o mediante lo studio dell’anatomia e a tutto ciò che si poteva toccare con mano; la mente umana sfugge a tutto questo!
la follia, secondo una credenza popolare, era provocata da una serie di pietre conficcate nella testa
Dunque, la malattia mentale è sempre stata avvolta da un alone di mistero, poiché nulla si conosceva di essa e così, mentre i medici azzardavano rimedì più pittoreschi che scientifici, brancolando letteralmente nel buio, i malati erano perennemente relegati ai margini della società, che li vedeva inevitabilmente come “diversi”, come soggetti devianti e pericolosi o comunque da evitare o schernire.
Una delle più curiose rappresentazioni è collegata all’estrazione della ‘pietra della follia’ ritenuta responsabile della malattia e della sua degenerazione: la follia, secondo una credenza popolare, era provocata da una serie di pietre conficcate nella testa che un medico, con una semplice operazione, poteva estrarre. Questa credenza era perfettamente in linea con le teorie ippocratiche, legate al concetto di equilibrio del corpo, che riconducevano ogni patologia ad una alterazione fisica: se un malato mostrava disturbi mentali, la causa doveva essere obbligatoriamente nella sua testa e doveva essere toccata con mano. Il cervello umano era all’epoca immaginato come un ingranaggio, la pietra della follia era appunto quell’elemento che aveva fatto inceppare il corretto funzionamento dell’ingranaggio, quindi andava rimossa.
Nonostante l’assurdità (nonché il grande dolore fisico che essa comportava), erano molti i folli che sceglievano di sottoporsi (o venivano costretti) a questa pratica chirurgica, che prevedeva l’incisione del cranio, culminando nell’atteso momento dell’estrazione di questo sassolino.
La follia, intesa come alterazione della personalità umana, è stata accolta nel grande repertorio figurativo dell’arte, ma è solo nel corso del Rinascimento che diventa oggetto di indagine. Da questo punto di vista il pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516) può essere considerato un singolare interprete della follia.

Una assurda mescolanza di esseri umani con oggetti, animali e vegetali, creature fantastiche e mostruose, popolano i suoi quadri in una delirante atmosfera surreale. In particolare nella sua opera “L’estrazione della pietra della follia (o La cura della follia)”, 1484 ca., Madrid, Museo del Prado sono presenti figure come una suora e un monaco che non intervengono all’operazione che sta eseguendo il chirurgo (rappresentato con un imbuto in testa simbolo di stupidità) che vuole rimuovere la follia da un forellino nella testa. L’imbuto e il libro, attributi tipici della sapienza utilizzati in maniera impropria, diventano nella visione di Bosch motivi di derisione della pratica medica che solo la stoltezza degli individui può ritenere capace della guarigione dalla follia. Una analisi ancora più dettagliata è disponibile in questo articolo.
Sono numerosi gli esempi dell’estrazione della pietra della follia anche definita “pierres de tête”: di seguito la rappresentazione di un seguace del fiammingo Jan van Hemessen (Estrazione della pietra della follia, XVII secolo), molto esaustivo sull’argomento che con crudo realismo mostra la pratica chirurgica in tutta la sua ferocia: chi opera è un barbiere—chirurgo, intento nell’incidere il cranio del paziente con un bisturi. Attorno a lui due donne assistenti: una prepara un misterioso unguento, forse lenitivo; a sinistra, un personaggio curioso (probabilmente un parente del malato), con le mani intrecciate, intento a pregare il Signore per la buona riuscita dell’operazione. Protagonista il folle, il quale ci viene restituito dall’artista con una realistica mimica facciale che esprime chiaramente tutto il suo dolore; da notare, appena sotto la lama del bisturi, il tanto bramato sassolino che emerge dalla ferita: la giusta ricompensa di tanto lavoro!

Un altro interessante esempio lo offre Pieter Brueghel il Giovane (Estrazione della pietra della follia, 1568): da notare, oltre al clima chiassoso e dinamico che di certo non si confà a uno studio di un chirurgo, il fatto che i pazienti sono stati legati con delle fasce alle poltrone, così da evitare movimenti bruschi durante le dolorose operazioni.

Il soggetto iconografico fu assai sfruttato tra Cinquecento e Seicento, soprattutto tra gli artisti nordeuropei, ai limiti del ridondante, come dimostrano alcuni esempi qui.




Un’interessante versione del tema, rivisitata in chiave contemporanea, è proposta da Giovanni Gasparro (Estrazione della pietra della follia, 2012, ): l’opera ritrae, sulla destra, una donna nuda che impersona la Verità, e che indossa un collare, allusivo alla condizione di scomodità. La donna sorride in modo cinico, assistendo all’intervento chirurgico, perché la Verità irride la menzogna, la superstizione e i rituali magico alchemici, sottesi al mito dell’estrazione della pietra della follia. L’opera, a differenza di tutte le altre segnalate, è realizzata in epoca contemporanea, quindi rivela, giustamente, l’inutilità e l’assurdità della pratica, attraverso la Verità che vince sulla superstizione.
