malattia considerata nei secoli come una forma di punizione divina per le mutilazioni e deformazioni che procura
In tempi di pandemia è naturale che le argomentazioni siano centrate sulle epidemie e su quell’arma, a basso costo, che è in grado di salvare più vite umane. Sui vaccini già molto è stato scritto e molto altro verrà pubblicato in futuro.
Questa la riflessione contenuta in un interessante articolo di disponibile a questo link che pone l’attenzione sulla rivoluzionaria tecnica di Jenner, ma con un interessante focus: “Voglio ripercorrere questo sentiero con quanto l’archeologia, la biologia molecolare, la letteratura e la storia ci mette a disposizione, ponendo il lavoro di Edward Jenner come il punto di arrivo del nostro cammino” scrive l’autore.
La vaccinazione obbligatoria di massa ha costituito per secoli il solo rimedio contro il vaiolo.
Storicamente la medicina ha avuto uno sviluppo più orientato all’assistenza e alla cura che alla prevenzione: nel XIX secolo questa diventa elemento integrante nei programmi sanitari su larga scala.
I primi tentativi di arginare la diffusione di gravi infezioni, quando ancora non se ne conosceva l’eziologia, hanno introdotto misure di contenimento e quarantena, proprio come nell’ultima pandemia da Covid.
Ma tra le malattie dell’antichità, la lebbra, lenta e inesorabilmente fatale, ha lasciato una traccia culturale profonda, creando un forte impatto sulla realtà sociale antica, a causa della sua severità; gravata da deturpazioni dolori e disabilità e grazie alle molte storie di lebbrosi contenute nel libro più letto di tutti, la Bibbia, la lebbra è divenuta simbolo della sofferenza dell’uomo, la malattia ‘storica’ per eccellenza, considerata addirittura nei secoli come una forma di punizione divina, a causa delle terribili mutilazioni e deformazioni che procura al corpo. Secondo le antiche religioni, infatti, i peccati dell’animo si ripercuotevano sul corpo, causandone così l’abbrutimento, e poiché erano ritenuti perseguitati dalle divinità, i soggetti affetti da lebbra venivano anche emarginati dalla società e spesso processati da esponenti del Clero (poiché inizialmente si pensava che la trasmissione della malattia avvenisse per via sessuale, i lebbrosi erano condannati dalla Chiesa per peccati di lussuria).
La malattia, infettiva e cronica, era causata da un batterio, quindi il contagio avveniva per semplice contatto, e colpiva principalmente la pelle, con l’insorgenza di lesioni cutanee, macule e bolle; progressivamente, la patologia affliggeva anche le mucose, i nervi, le ossa, le articolazioni e i muscoli, generando dolori e difficoltà nella mobilità.
Nel Medioevo, dopo l’esplosione di violente epidemie giunte dall’Asia, favorite anche dalla tipica struttura urbanistica chiusa di cittadelle fortificate e cinte da mura, si decise, per limitare la diffusione di questa e di altre malattie contagiose, di isolare le persone malate. Furono allora costruiti i primi lazzaretti fuori città, dove venivano reclusi i lebbrosi, i quali erano riammessi entro le mura soltanto per grandi feste religiose, per le messe e le confessioni.
In relazione alla sua ampia diffusione, la lebbra compare quindi molto frequentemente negli scritti antichi e anche nelle opere d’arte, come piaga sociale e fenomeno purtroppo non raro; la malattia fu ampiamente sfruttata simbolicamente dalla Chiesa come segno della caducità della vita umana e del comune destino di morte. Questo spiega la grande frequenza, in ambito religioso, di immagini: tra le numerose rappresentazioni di episodi legati a questa patologia, famosa quella dell’Imperatore Costantino.
Nella Storia della guarigione di Costantino che si trova a Roma nella Chiesa dei Santi Quattro Coronati si riconosce la figura dell’Imperatore: secondo la tradizione all’Imperatore, malato di lebbra, fu consigliato da sacerdoti pagani di bagnarsi nel sangue di tremila bambini, come rimedio terapeutico per la sua malattia, ma egli, mosso a compassione, si rifiutò.
Se da un lato i malati di lebbra venivano emarginati dalla società ed evitati dal popolo, dall’altro, vi era chi, per spirito di fede e carità e animato da profonda umanità, decideva di dedicarsi a loro: nella Basilica della Porziuncola una miniatura sposta l’attenzione sull’assistenza dei frati francescani che sceglievano di offrire cure a chi, altrimenti, sarebbe stato abbandonato, esponendosi al contatto fisico con i malati e, di conseguenza, anche al pericolo per la loro stessa vita.