Il momento della visita medica è certamente, fin, dai secoli più remoti, qualcosa di molto importante (e temuto) nella vita di una persona: il paziente ripone molte aspettative in questo incontro.
Lo stretto rapporto con il malato è stato da sempre insostituibile (soprattutto fino al XIX secolo, quando non esisteva alcuno strumento diagnostico) e acconsentire al contatto fisico con le regioni più riservate del corpo, alla violazione del pudore, predispone a una profondità di relazione di fondamentale importanza.
Fino al XIX secolo la visita medica era basata essenzialmente sulla cosiddetta “semeiotica fisica”, ossia l’osservazione dei segni e dei sintomi presentati dal paziente, che venivano raccolti e studiati, giungendo a una diagnosi. In particolare, non avendo a disposizione nessuno strumento scientifico che potesse aiutare nell‘individuazione delle patologie (il semplice stetoscopio fu inventato solo nel 1816), il consulto medico consisteva principalmente in due momenti di analisi: l’osservazione visiva delle urine e la misurazione del polso.

La diagnosi consisteva nel colloquio con il paziente, il quale forniva un resoconto personale ‒ pertanto, inevitabilmente soggettivo ‒ della propria esperienza sulla patologia. Benché il medico osservasse segni e sintomi esterni, il contatto fisico, di norma, non si estendeva al di là della misurazione del polso e in alcuni casi veniva effettuata l’analisi delle urine.
L’esame del corpo mediante strumenti volti a individuare la sede della malattia era un evento eccezionale e poco frequente. La prognosi si basava sulle informazioni che i medici ricavavano dall’incontro con il paziente e sulle inferenze che era loro possibile trarre in base alle esperienze precedenti. Diagnosi e previsione del decorso della malattia costituivano l’aspetto più importante della funzione dei medici, soprattutto prima che venissero sviluppate procedure terapeutiche efficaci. Questo modo antico e autorevole di praticare la medicina perdurò fino agli inizi dell’Ottocento, quando, con l’avvento delle tecnologie diagnostiche, la medicina subì una profonda trasformazione, anche grazie alla fondamentale scoperta dello stetoscopio ad opera di Laennec.

Di uroscopia abbiamo parlato in questo post: diffusa in tutta Europa, è diventata il fondamento del sapere del medico; nel XVII secolo si riteneva ancora che con l’esame delle urine tutte le malattie potessero essere diagnosticate, gravidanza compresa. Ragion per cui, nei secoli più antichi, e in particolar modo durante il XVII secolo, con il diffondersi delle cosiddette “pitture di genere”, troviamo un’ampia proliferazione di opere d‘arte che raffigurano questo tema.
Di contro, l’esame delle urine perse considerazione dal XIX secolo, a seguito del progredire delle conoscenze scientifiche e dell’introduzione di metodiche chimico—fisiche di analisi dell‘uso del microscopio.

La seconda fase prevista per una visita medica, dopo l‘uroscopia, era la misurazione del polso: la maggior parte dei caratteri del polso (ampiezza, forza, tensione, durata, ecc…) sono qualitativi e hanno perso molto del loro valore nel XX secolo, con l’avvento di altre modalità di approccio diagnostico.
L’opera dell’olandese Frans van Mieris (La visita medica, 1657) immortala il preciso momento della misurazione del polso, durante una visita medica a domicilio: la paziente è in evidente stato di indisposizione, seduta su una poltrona, porta la mano sinistra al petto in segno di sofferenza e rivolge lo sguardo al dottore, auspicando una pronta e risolutiva diagnosi.