La malattia delle donne nell’arte

C’è una stretta correlazione tra la malattia e la sua rappresentazione: numerosi gli esempi di medici o chirurghi all’opera, come nel caso delle opere di Thomas Cowperthwait Eakins presente nell’immagine di copertina.
Ma sappiamo anche che sono stati numerosi gli artisti ‘sofferenti’ come Van Gogh, che oltre ad ansia e depressione, affrontò anche l’epilessia: oltre a Van Gogh, molti altri artisti hanno sofferto di malattie mentali che hanno influenzato la loro arte.

E dietro anche alle opere più famose vi è la ricerca di una qualche forma di patologia: l’enigmatico sorriso di Mona Lisa è probabilmente una delle caratteristiche più studiate e analizzate nella storia dell’arte. Alcuni gruppi medici diversi lo hanno interpretato come una contrazione dei muscoli facciali, che si sviluppa dopo una paralisi facciale o ‘paralisi di Bell’.

Nella storia dell’arte è interessante la rappresentazione della malattia femminile: “Donna asfissiata” di Charles Porphyre Alexandre Desains fu presentata al Salon di Parigi nel 1822 dove ricevette gli onori dalla critica. Una giovane donna, vittima dei fumi tossici di un braciere, ha lasciato il suo letto e cerca disperatamente di aprire la finestra. Nell’Ottocento era molto comune per i pittori usare soggetti scientifici per i loro dipinti al fine di mostrare il pericolo di alcune scoperte scientifiche. Alcuni storici dell’arte pensano che la donna abbia effettivamente tentato il suicidio dopo aver letto una lettera (sul pavimento), ma poi si sia pentita dei suoi tentativi e abbia cercato debolmente di salvarsi la vita. In realtà questo dipinto è ispirato al movimento del Romanticismo.

Di interesse anche le raffigurazioni della malattia terminale realizzate da Eva Bonnier che restituiscono una prospettiva ridotta del quotidiano, con l’artista che sfida la rappresentazione femminile tipica dell’ideale borghese di quell’epoca: le donne sono presentate da lei come “soggetti” dalla forte integrità, e non come fragili oggetti. In “Riflesso in blu”, del 1887, le figure sono dipinte da una prospettiva realistica, e l’osservatore si trova nella stessa stanza della persona malata.

Verso la fine del diciannovesimo secolo la donna convalescente era un tema molto popolare nell’arte: questo genere di immagini va considerato all’interno del contesto della visione della donna e della costruzione della femminilità predominanti a quell’epoca, e dunque alla standardizzazione del corpo femminile.
Durante il diciannovesimo secolo si svilupparono due immagini chiave femminili: la debole, sensibile e psicosomatica donna della classe agiata e la forte, pericolosa e contagiosa donna della classe inferiore.
La “Convalescente” di Jenny Nyström divenne un simbolo della fragilità femminile, e dunque la prova dell’inabilità della donna di partecipare alla vita pubblica; opere di questo genere possono essere considerate una reazione all’emancipazione femminile di quel tempo, e un tentativo di tornare a relegarle alla sfera domestica e privata. L’artista scelse di rappresentare il soggetto dalla prospettiva narrative della tradizione classicista con, al centro della scena, una figura femminile idealizzata, sospesa tra la vita e la morte. La paziente, seriamente ammalata, è posta in contrasto con la graziosa ragazzina dall’aspetto spudoramente sano che le sta accanto. L’invalida ha gli occhi rivolti al cielo, ponendo fiduciosamente il suo destino nella mani di Dio. Il quadro è pieno di evidenti simbologie, come la pianta secca nel vaso in contrasto con il bouquet di fiori freschi. Il modulo compositivo, centrato sull’istrionico linguaggio del corpo e le espressioni dei volti delle figure, ha le sue radici in una vecchia tradizione aneddotica.

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