Vita e intuizioni di un genio: Rudolf Virchow

Virchow nacque a Schivelbein nel 1821 e morì a Berlino nel 1902.

Patologo nelle università di Würzburg e Berlino e autore nel 1858 dell’opera Cellularpathologie. In essa Virchow localizzava le malattie nell’alterata struttura delle cellule dell’organismo, dopo che Bichat le aveva localizzate nei tessuti e dopo che, prima ancora, Morgagni le aveva localizzate negli organismi.

Laureatosi a Berlino nel 1843, nel 1848 ricevette l’incarico dal governo di condurre un’inchiesta relativa ad un’epidemia di tifo che aveva colpito la Slesia superiore. Compiuta l’inchiesta, ebbe il coraggio di denunciare apertamente le mancanze del governo, rivelando quello spirito liberale che si manifestò apertamente durante i moti rivoluzionari del 1848, e che lo portò alla destituzione da ogni ufficio. Ma subito dopo ebbe la cattedra ordinaria all’Università di Wurzburg, che tenne per sette anni. Nel 1856 venne chiamato alla cattedra di anatomia patologica dell’Università di Berlino, ove rimase sino alla morte. Grandissimi furono i suoi contributi in ogni settore dell’anatomia patologica, ma la sua gloria e soprattutto legata alla fondazione della patologia cellulare. Fu anche insigne antropologo e paleontologo ed i suoi studi sul cranio di Neanderthal, sul Pitecantropo, sui caratteri antropologici dei tedeschi (soprattutto i Frisoni), oltre al monumentale trattato “Crania ethnica Americana” (Cranii dei popoli indigeni americani, Berlino 1892) segnarono una tappa fondamentale della storia della scienza. Di fronte all’evoluzionismo, assunse una posizione critica: lo giudicò un’esigenza logica della scienza, che, tuttavia, necessitava di prove sicure ed inconfutabili.

Autore del famoso principio omnis cellula e cellula, ha lanciato il programma della patologia cellulare con l’obiettivo di rifondare la medicina sulla fisiopatologia cellulare e sul metodo sperimentale: già a partire dalle prime versioni della teoria cellulare egli aveva sviluppato l’applicazione della nuova concezione dell’organizzazione dell’organismo vivente alla patologia. 

Nel 1858 pubblicava Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebenlehre (La patologia cellulare basata sull’istologia patologica e fisiologica), destinato a cambiare il corso del pensiero medico e biologico.

L’evoluzione storica delle concezioni che riguardano la patologia cellulare a partire dalla teoria cellulare di Theodor Schwann (1839), in virtù della quale gli organismi viventi dovevano essere considerati come la somma delle attività fisiologiche delle loro singole cellule, ha visto il susseguirsi della teoria cellulare di Rudolf Virchow (1858). La patologia umana era per Virchow la patologia delle cellule del corpo umano, di volta in volta distribuita ed estesa in molti modi diversi.

Nel XIX secolo avviene la vera grande trasformazione: la teoria cellulare di Rudolf Virchow (1821-1902) scardina definitivamente quella umorale che aveva dominato per più di duemila anni.

Con Virchow inizia una concatenazione di scoperte successive, una dietro l’altra come in una galoppata inarrestabile attraverso le nuove aree del sapere: Louis Pasteur e Robert Koch (1843-1910) individuano e dimostrano le cause misteriose e invisibili di molte malattie; poi l’anestesia con l’etere apre la porta ai miracoli della chirurgia e i raggi X ci fanno vedere in maniera quasi «magica» e incredibile l’interno del nostro corpo.

 

Le pazze di Salpêtrière: un romanzo racconta le loro storie

Il ballo delle pazze è il primo romanzo di Victoria Mas, un successo letterario in Francia nel 2019, disponibile anche in italiano

per info https://books.google.it/books/about/Il_ballo_delle_pazze.html?id=YCwXEAAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

Ne parliamo perché le protagoniste del romanzo sono donne dell’800 che hanno deciso di sottrarsi alle regole della società e che, rifiutando il codice comportamentale dell’epoca, sono state abbandonate alla Salpêtrière, manicomio di Parigi, un luogo in cui si entrava e dal quale non si usciva più. Le internate di questo periodo – siamo alla fine dell’800, precisamente la storia si svolge nel 1885 – non sono incatenate come le ospiti del passato e vengono curate dal dottor Charcot con l’ipnosi. Ognuna di loro viene costantemente sorvegliata e nessuna ha contatti con l’esterno.

La Salpêtrière non è un ospedale parigino qualsiasi: costruito per ricoverare i più miserabili emarginati e reietti della società, divenne simbolo dell’istituzione psichiatrica in Francia.

Originariamente era una fabbrica di polvere da sparo (da cui il nome) allestita di fronte all’Arsenale del Re attraverso la Senna, fu trasformato al tempo di Luigi XIV in luogo di accoglienza dove “tutti i poveri sarebbero stati raccolti in locali puliti, in modo da essere curati, istruiti e ricevere un’occupazione”
In verità, qui erano ammassati volenti o nolenti i vagabondi di Parigi, i suoi mascalzoni, ciarlatani e truffatori: 40.000 in tutto su una popolazione totale di 400.000! Nonostante la cura architettonica accordata all’istituzione dai più grandi artisti dell’epoca – Le Vau, Le Muet, Libéral Bruant – che avevano a disposizione enormi donazioni da Fouquet, Mazzarino e Pompon de Bellièvre, e nonostante gli sforzi del suo primo cappellano e l’uomo più caritatevole del regno, San Vincenzo de ‘Paoli, l’istituzione soffriva di un orrendo sovraffollamento e di condizioni spaventose.

Nella seconda metà del XIX secolo, quando il dottor Charcot rilevò il dipartimento, la Salpêtrière divenne famosa in tutto il mondo come centro psichiatrico e gli studenti giunsero da tutta Europa per ascoltare le lezioni di Charcot. Tra loro c’era un giovane studente di nome Sigmund Freud.

Ma prima del dottor Charcot, coloro che erano considerati “pazzi” avevano la loro sezione in questo manicomio, dove erano incatenati alle pareti delle celle, abbandonati al loro destino, morsi dai topi, urlando la loro agonia.
Fu solo all’inizio del XIX secolo, su indicazione del dottor Pinel, che l’approccio alla malattia mentale iniziò a cambiare. Amico degli Encyclopédistes e figlio dell’illuminismo del XVIII secolo, il dottor Pinel eliminò le catene, un passo rivoluzionario e fino ad allora inconcepibile. Pinel morì nel 1826 ma aveva mostrato la luce ai suoi seguaci e durante il regno di Luigi Filippo anche le celle dei reclusi furono eliminate – ancora un’altra rivoluzione.

Nei manicomi venivano reclusi coloro che erano considerati socialmente “pericolosi” o anche “dannosi” per motivi politici, economici o di convenienza: spesso venivano internate donne che non volevano sposarsi, poco inclini alla vita domestica o semplicemente per salvaguardare un patrimonio familiare non destinato a tutti i figli di un nucleo familiare.

 

Pinel, Jean Philippe (Saint-Paul, Tarn, 1745 - Parigi 1826) fu uno dei protagonisti del rinnovamento avvenuto nella psichiatria nell’ultimo scorcio del 18º sec. Laureatosi prima in lettere (1772) e successivamente in medicina (1773), nel 1778 si trasferì a Parigi, dove si dedicò a una poliedrica attività culturale (traduzione di testi filosofici e medici, giornalismo scientifico, temi di economia politica); dal 1787 cominciò a pubblicare scritti sulle malattie mentali. Nel 1793 fu assegnato all’asilo di Bicêtre, dove compì lo storico atto di liberare gli alienati dalle catene e dalle lordure in cui erano mortificati, trasformando i ‘pazzi’ in malati da studiare e curare. Analoga opera compì alla Salpêtrière qualche anno dopo, accentuando il valore del colloquio nel trattamento del malato mentale. Fu anche professore di igiene, di fisica medica e titolare della cattedra di patologia.

Il microscopio

Il microscopio è uno degli strumenti più potenti per la diagnosi delle malattie. È di tale importanza per il medico che l’acquisto di un microscopio è stato a lungo un prerequisito per la scuola di medicina.
Alcuni storici attribuiscono la paternità dell’invenzione agli olandesi Haus e Zacharias Janssen, padre e figlio esperti molatori e occhialai: essi sapevano da tempo che un vetro, opportunamente lavorato, permetteva di ingrandire di alcune volte un oggetto osservato attraverso di esso.
Combinando tra loro diversi tipi di lenti, scoprirono che questa capacità di ingrandimento poteva essere ulteriormente amplificata, ottenendo, al tempo stesso, un miglioramento nella definizione dell’immagine.
Il loro primo strumento, composto da tre tubi che scorrevano uno dentro l’altro, aveva una capacità di trenta ingrandimenti e permetteva di vedere bene cose che l’occhio umano riusciva a distinguere solo in misura molto confusa.
Altri storici si focalizzano piuttosto sul contributo di Galileo, che nel 1624 avrebbe messo a punto un telescopio di dimensioni ridotte, chiamato occhialino per vedere le cose minime, inviandone uno di sua costruzione al principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, per mostrargliene il funzionamento. La storia del microscopio prende un’inaspettata piega quando incrocia quella di Leeuwenhoeck, una curiosa figura di dilettante scientifico. Anthony van Leeuwenhoeck era un ricco commerciante di stoffe, dall’incredibile manualità e dall’altrettanto smisurata curiosità.
Anthony Van Leeuwenhoeck si specializzò nel taglio delle lenti, ottenendo degli ingrandimenti molto superiori a quelli degli altri microscopisti.
Nell’estate del 1674 Leeuwenhoeck, trovandosi a passare accanto a uno stagno, decise di sottoporre alle sue lenti anche quell’acqua verdastra. Immensa fu la sua sorpresa quando vi scoprì una quantità enorme di esserini minuscoli. Leeuwenhoeck pubblicò le sue osservazioni: furono i primi lavori in cui venivano descritti protozoi e batteri, ed ebbero una risonanza enorme

A questo link https://lancastermedicalheritagemuseum.org/wp-content/themes/edward-hand/vm/vex1/index.htm una bella mostra virtuale ripercorre la storia del microscopio, ricordando come nel 1830, Joseph Lister risolse il problema di aberrazione sferica dei microscopi fino ad allora in uso, mostrando che diverse lenti deboli usate insieme a determinate distanze davano un buon ingrandimento senza offuscare l’immagine. Questa scoperta è stata determinante non solo per lo sviluppo del moderno microscopio, ma anche per l’inizio di un nuovo modo di diagnosticare e curare le malattie.

 

Lister e la “pulizia” del campo operatorio

Il passaggio da una chirurgia “sporca” ad una “pulita” avviene nella seconda metà dell’Ottocento grazie a Joseph Lister, ideatore del metodo antisettico: tramite disinfezione chimica (con acido fenico) di cute e mucose, otteneva nel 1865 una netta diminuzione della mortalità che penalizzava pesantemente il decorso postoperatorio delle amputazioni e degli interventi chirurgici in generale. Lister è un grande studioso, che ha modo di leggere gli studi di Pasteur sulla fermentazione, convincendosi del fatto che nelle ferite si verifichi un fenomeno simile ai processi fermentativi del lievito. Grazie alla sua profonda cultura poteva comprendere sia il francese sia il tedesco, diversamente la sua intuizione non sarebbe forse riuscita a maturare, bloccata dalle barriere linguistiche.
Lister impone ai chirurghi del suo reparto di lavare le mani con un sapone antisettico (inizialmente costituito dallo stesso fenolo) perché nota l’arresto immediato di un’infezione dopo aver spruzzato la sostanza su una lesione.

Una delle rappresentazioni più efficaci del processo avviato da Lister si riscontra nelle opere di Thomas Cowperthwait Eakins (Filadelfia, 25 luglio 1844 – Filadelfia, 25 giugno 1916) è stato un pittore, fotografo, scultore ed educatore artistico statunitense.  Fu uno dei più grandi pittori americani del suo tempo, un insegnante innovativo ed un realista senza compromessi.
Eakins riprodusse un gran numero di grandi teatri anatomici della sua città

The Gross Clinic. Forse il lavoro più noto e ambizioso di Eakins è The Gross Clinic, un dipinto completato nel 1875 che mette in luce il medico locale Samuel David Gross, un professore settantenne vestito con una redingote nera, mentre tiene una conferenza a un gruppo di studenti del Jefferson Medical College. Il nero predomina in questo quadro e rispetto all’opera del 1889 il realismo sembra essere molto più forte, così come la mancanza di asepsi. La mano del dr Gross ostenta la chirurgia, la mano della donna ostenta la paura.

 

The Agnew Clinic (o The Clinic of Dr. Agnew ) è una pittura ad olio del 1889 commissionata per celebrare il pensionamento all’età di 70 anni dell’anatomista e chirurgo, David Hayes Agnew (1818-1892), professore alla University of Pennsylvania di Filadelfia. L’opera mostra il dr Agnew, fuori dal campo operatorio, sulla sinistra, in piedi, che tiene in mano un bisturi durante un intervento di mastectomia. All’epoca di Eakins, Filadelfia era diventata una capitale dell’innovazione medica e la chirurgia poteva essere uno spettacolo pubblico.