L’utilizzo delle erbe per ricavarne sostanze curative, fa parte della storia dell’uomo fin dalla preistoria.
La botanica come vera e propria scienza iniziò solo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, grazie alle scoperte geografiche e all’invenzione della stampa.
È noto che nell’antichità le opere botaniche illustrate avevano figure ben disegnate e facili da riconoscere, anche se, con la perdita progressiva della trasmissione orale della conoscenza, la semplice rappresentazione pittorica delle piante non agevolava affatto il lavoro degli esperti del settore. A questo si aggiunge il problema della troppa stilizzazione e semplificazione dei disegni degli amanuensi, che spesso rendevano irriconoscibili determinate piante.
Una prima soluzione a questi problemi si ebbe con l’introduzione degli erbari secchi, ma la vera rivoluzione risiede nell’invenzione della stampa (1440), che ha permesso l’edizione del 1469 a Venezia della Naturalis Historia di Plinio e, quasi dieci anni dopo, la versione latina della celebre De Materia Medica di Discoride.
Nel 1498 a Firenze venne pubblicato il Ricettario Fiorentino, la prima farmacopea scritta in volgare, in grado non solo di superare lo scollamento, causato dal latino, tra i dottori/speziali e il pubblico, ma anche di uniformare le prescrizioni e la preparazione dei medicamenti, riducendo il numero elevato di piante medicinali agli esemplari più significativi e più reperibili nel mercato. Divisa in tre libri, l’opera contiene indicazioni, norme di disposizione per la raccolta, la preparazione e la conservazione delle droghe, la lista di medicinali semplici e un formulario delle preparazioni galeniche.
Senza dubbio, il più famoso di tutti gli erbari è quello scritto dall’italiano Pietro Andrea Mattioli (1501-1577), che divenne nel 1554 medico personale dell’imperatore Ferdinando I e che ebbe più tardi lo stesso incarico presso Massimiliano II.
La sua opera principale, di cui sarebbe apparsa in seguito (1564) anche un’edizione illustrata in latino, fu un commento in italiano agli scritti di Dioscoride (1544). Tra la pubblicazione di quest’opera e l’anno 1563 furono venduti 32000 esemplari di questo erbario, il che ne fa indiscutibilmente uno dei compendio di tutte le conoscenze del secolo XVI nel campo delle piante medicinali, locali e non.
Rappresenta una transizione tra le antiche raccolte di piante e i trattati botanico—scientifici, e include anche una valutazione farmacologica dei risultati ottenuti. Va sottolineato che il Mattioli non si limitò a tradurre in modo puntuale l’opera di Dioscoride, ma la commentò con osservazioni personali (talora addirittura contraddicendo quanto scritto dal medico greco) e soprattutto la integrò di numerose altre specie, molte delle quali reduci da viaggi intercontinentali: ad esempio, le specie americane. Sembra ad esempio che sia stato proprio il Mattioli, in qualche modo, a sdoganare il pomodoro, fino ad allora considerato solo pianta ornamentale (perché ritenuto velenoso).