La mascherina rappresenta oggi forse il segno più visibile della nuova normalità, questo periodo post lockdown ma ancora in piena emergenza Covid.
La maschera oggi è diventata un ulteriore oggetto che “veste” la nostra quotidianità, essendo entrata nelle abitudini come una delle forme che tutelano la nostra salute contro la diffusione del virus. Uscita di prepotenza da ospedali e luoghi di lavoro si è trasformata, adattandosi alla moda, ma nel corso dei secoli la maschera ha avuto un ruolo, sociale e di protezione, sempre molto importante.
Un bell’approfondimento sulla storia della maschera in medicina – A history of medical masks – è disponibile sul sito della Wellcome Collection (per la precisione a questo link ) con un excursus che va dalla pelle di vescica animale ai quadri pied de poule e paillettes curato da Lizzie Enfield che ne traccia la ricostruzione per immagini.
Agli spunti dell’articolo, possiamo senza dubbio aggiungere la maschera di Asceplio, il mitico eroe greco accolto nel consesso egli dei come dio della medicina. Secondo il mito omerico, Asclepio avrebbe appreso l’arte della medicina dal dottissimo centauro Chirone, mentre secondo Esiodo e secondo Pindaro, sarebbe figlio del dio Apollo e di Coronide. La maschera di Asclepio lo rappresenta come ce lo descrive tutta la letteratura antica greca e latina: con una folta barba, in età avanzata, quasi al limite della vecchiaia. In stridente contrasto con l’eterna giovinezza del padre Apollo, come aveva ironicamente osservato il tiranno di Siracusa Dioniso.
Come ci ricorda Alessandro Manzoni, nel 1600 anche in Italia giunge una gravissima epidemia di peste che solo a Milano causa la morte di oltre 90mila persone: l’Italia introduce, come accadeva già nellla vicina Francia, l’utilizzo di una lunga veste cerata munita di cappuccio, con vetri ai buchi per gli occhi. Questo costume era completato da una maschera munita sul davanti di un lungo rostro contenente spugne imbevute di sostanze odorose. Pratica questa già usata nei secoli precedenti, insieme all’utilizzo di fuochi e fumigazioni con sostena odorose e naturalmente, il ricorso a pratiche religiose come preghiere e processioni.
Solo nell’Ottocento, grazie ai “cacciatori di batteri” come Pasteur e Koch, portò ad una maggiore consapevolezza sulla possibile diffusione di agenti nocivi e quindi sulla necessità di utilizzare maschere per limitare il “droplets”. Concetto questo che va attribuito a Carl Flügge, affinato da Johann von Mikulicz Radecki il primo a identificare il concetto di infezione correlata all’inalazione di agenti patogeni nelle goccioline respiratorie esalate da altri individui infetti. Per questo nel 1897 descrisse una maschera chirurgica composta da uno strato di garza. Ma il primo ad utilizzare la maschera in sala operatoria è stato Paul Berger che utilizzava “un impacco rettangolare di sei strati di garza, cucito sul bordo inferiore al suo grembiule di lino sterilizzato ed il bordo superiore tenuto contro la radice del naso da corde legate dietro al collo” per proteggere i pazienti durante gli interventi.
Nel nostro secolo, come ricordato da Lizzie Enfield, la mascherina è stata diventata oggetto comune anche durante l’epidemia di spagnola, che ha colpito il mondo nel 1918.
https://wellcomecollection.org/articles/XwMmcBQAAGwR9GY8? https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Fl%C3%BCgge https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2479244/