Nel 1800 l’attenzione degli studiosi si rivolse anche agli alimenti.
Magendie li suddivise in due grandi categorie: quelli contenenti le sostanze azotate e quelli privi di tali sostanze. Von Liebig stabilì che le sostanze azotate, contenute negli alimenti, servono “alla ricostruzione dei tessuti (funzione della reintegrazione materiale), mentre gli zuccheri e i grassi, bruciando, servono alla produzione di calore (funzione dinamogena)”.
Questi studi prepararono il terreno al concetto di energia chimica che si trasforma in calore, concetto che venne poi sviluppato da Marcelin Berthelot (1827-1907) con le sue ricerche sulla termochimica.
Questa attenzione poneva le proprie basi nel secolo dei lumi, quando l’analisi sperimentale consentì ad A. Lavoisier di determinare i parametri regolatori degli scambi gassosi e del metabolismo energetico nelle diverse condizioni fisiologiche.
L’importanza di queste prime originali osservazioni ed elaborazioni teoriche va sottolineata, ma fu soltanto nel 19° secolo che il progresso scientifico permise la dimostrazione dei fondamenti delle scienze dell’alimentazione.
I grandi progressi ottenuti furono indubbiamente conseguenza dello sviluppo dell’analisi chimica dei materiali da studiare. L’identificazione dei principali costituenti degli alimenti introdusse, secondo l’indicazione fornita da Magendie già nel 1816, la procedura di alimentare gli animali da esperimento con sostanze semplici come appunto proteine, grassi e carboidrati, al fine di rendere i risultati più facilmente analizzabili.
Con Magendie si stabiliscono due grandi categorie di alimenti: le sostanze azotate, albuminoidi, o quaternarie, sufficienti, le sostanze non azotate o ternarie, insufficienti da sole a mantenere la vita; i fisici continuano gli studi di Lavoisier sulle combustioni vitali, i chimici indagano la composizione degli alimenti.
Sostanzialmente la conoscenza della composizione chimica, integrata dalla sperimentazione biologica, consentì di mettere in luce il valore e la equipollenza (legge della isodinamica di M. Rubner) di proteine, grassi e carboidrati, nonché la valenza plastica delle prime.
Anche se la scoperta delle vitamine avvenne ufficialmente nel 1900, verso la fine del 1800 vennero, però, effettuate alcune osservazioni interessanti: sulla traccia di ricerche fatte nei secoli precedenti per studiare la correlazione fra insufficienze dietetiche e particolari malattie, Christian Ejkmann (1858-1930) nel 1897 riuscì a guarire e a prevenire il «beri-beri», sperimentalmente provocato nei polli, alimentati esclusivamente con riso brillato, somministrando loro riso privato di pericarpio. Questi risultati lo indussero a pensare che nel riso esistesse una sostanza tossica che avesse nel pericarpio il suo antidoto. Tutte le ricerche furono allora rivolte ad isolare questa sostanza, che Ejkmann aveva chiamato antiberiberica, fino a che nel 1911 C. Funk coniò il vocabolo «vitamina», che applicò per la prima volta a quella antiberiberica, da lui identificata nello stesso anno.