Wöhler e la sintesi dell’urea

Nell’Ottocento si compì la rivoluzione della medicina legata ai fermenti intellettuali, culturali, politici e militari ma anche alle conquiste scientifiche che stavano trasformando la società. Come abbiamo già visto, erano numerosi gli strumenti a disposizioni di coloro che erano considerati a tutti gli effetti “scienziati” e la visione idealistica legata alla forza vitale andava sempre più affievolendosi per lasciare spazio alla ricerca fisiologica.

Di pari passo, tramontava l’idea della figura del medico onnisciente, capace di riassumere in una unica persona tutte le categorie del sapere, anche grazie a figure come Lavoisisier e a Friedrich Wöhler, che sintetizzando l’urea nel 1828 dava il primo esempio di una sostanza organica ottenuta in laboratorio ottenuta da sostanze inorganiche. Sfatando il mito della “forza vitale” in auge ai tempi.

Friedrich Wöhler (Eschersheim, 31 luglio 1800 – Gottinga, 23 settembre 1882) dopo aver compiuto studi di medicina, si dedicò alla chimica, sotto la guida di Jöns Jacob Berzelius. La sua gloria nella medicina è legata alla sintesi dell’urea, composto organico che egli ottenne partendo dal cianuro di ammonio, che è una sostanza inorganica. Questa fu la prova che non era necessaria alcuna forza vitale e che la produzione di tali sostanze non era appannaggio degli organismi viventi. Fu la rottura di un paradigma: sulla via aperta da Wöhler furono numerosi i composti organici composti per sintesi, anche più complessi dell’urea.

Il tentativo di superare la teoria umorale

Nel Cinque e Seicento, in seguito ai notevoli progressi compiuti dall’anatomia e dalle scienze naturali (chimica, fisica e botanica) maturarono le premesse per una nuova patologia.

Solo, però, attorno alla metà dell’Ottocento si registrò, in maniera incontrovertibile, la sconfitta definitiva della patologia umorale. Diverse ragioni sono state chiamate in causa per giustificare la lentezza di questo processo, ma la principale è rappresentata dal fatto che l’impostazione filosofica di buona parte dei medici trovava nella patologia umorale un sistema capace di spiegare, almeno in sede speculativa, una vasta gamma di fenomeni. Anche la patologia del Morgagni, che fissava negli organi la sede delle malattie e quella del Bichat, che la fissava nei tessuti, stentavano ad affermarsi per il persistere dell’umoralismo galenico.

Verso la metà del 1800 Karl von Rokitansky (1804-187 8), nel tentativo di conciliare la teoria umorale con quella anatomo-patologica di Morgagni e di Bichat, ideò la «dottrina delle crasi», che attribuiva al sangue, l’unico tessuto presente in tutto il corpo, un ruolo essenziale nell’eziopatogenesi generale.

Karl von Rokitansky fu uno dei primi a riconoscere l’importanza dell’anatomia patologica allora tenuta in poca considerazione, in quanto poteva dare nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche. Fu definito da R. Virchow “Linneo dell’anatomia patologica” per l’accuratezza dell’attività descrittiva e classificatoria. Studioso di larghe vedute teoriche, acquisite attraverso lo studio di Kant e Schopenauer, giunse a impostare una biosociologia di tono pessimistico nella memoria Die Solidarität alles Thierlebens (1869).

Anche questa teoria, però, ebbe vita breve, perché fu stroncata in modo deciso dal Virchow, che la sostituì con una propria.