Chirurgia nel Settecento: la situazione in Germania

In Germania nel Settecento la chirurgia fece registrare un progresso inferiore a quello verificatesi in Francia e i Inghilterra, tuttavia anche in questa nazione emersero eccellenti chirurghi.
Tra questi si ricorda Albinus (nome latinizzato di Bernard Siegfried Weiss (1697-1770) che passò alla storia soprattutto come miologo anche se i suoi studi interessarono, oltre ai muscoli, i visceri, i vasi e nervi e gli organi di senso.

Lorenzo Heister (1685-1758) allievo di Boerhaave, professore di anatomia e chirurgia nelle università di Altdorf e Helmstad. Scrisse un libro intitolato “Institutiones chirurgicae” considerato come uno dei trattati più completi di chirurgia: studioso dei vasi sanguigni che metteva in evidenza riempiendoli di mercurio e che lasciò il nome alla valvola situata tra la cistifellea e il dotto cistico. Nel 1718, coniò la parola “tracheotomia”. È stato il primo medico a eseguire una sezione post-mortem di appendicite.

G. Richter

August Gottlieb Richter (1742-1812) professore di chirurgia all’Università di Gottinga, compilò numerose opere di chirurgia che lo resero famoso, quali “Elementi di Chirurgia” e le “Osservazioni chirurgiche mediche”. Come chirurgo si distinse nell’operazione delle ernie.

J. Goerke (1750-1822) fu un chirurgo militare che si rese celebre per aver creato nell’esercito prussiano un corpo di infermiere volontarie e un corpo speciale di portaferiti dotati di vetture per il trasporto dei malati: amico di Larrey, importò in Germania i principi organizzativi del servizio delle ambulanze volanti francesi.
Albrecht Haller che lasciò il nome al tripode arterioso celiaco dopo essersi interessato del miocardio e del miometrio, dei vasi coronarici e delle ghiandole salivari, il berlinese Kaspar Friedrich Wolff (1735-1794) che descrisse per primo i tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma ed entoderma) e la derivazione entodermica del tubo gastroenterico e degli apparati genitali maschile e femminile.

Capostipite di tre generazioni di anatomici tedeschi fu Johann Friedrich Meckel (1724-1774) che studiò a fondo il nervo trigemino, il ganglio sfenopalatino e dette il proprio nome alla loggia della dura madre che accoglie il ganglio di Gasser dal quale si dipartono le tre branche terminali del trigemino, e lasciò pure il proprio nome al diverticolo dell’intestino tenue, raro residuo embrionario a mo’ di appendice fatto a cul di sacco, formazione passibile di infiammazioni e di perforazione con conseguente peritonite.

Jonh Hunter e i chirurghi inglesi nel Settecento

Negli anni di decadenza dell’Accademia Reale di Chirurgia in Francia, si andava costituendo in Inghilterra la scuola di Jonh Hunter, che si occupava prevalentemente di chirurgia sperimentale.

Le principali ricerche condotte in questa scuola furono indirizzate all’esame del meccanismo mediante il quale avviene il saldamento dei tendini interrotti, sul processo di consolidamento delle ossa fratturate, sulla patogenesi dell’ulcera e sulla fisiologia della legatura delle arterie.

John Hunter

John Hunter (1728-1793) fu un eccellente chirurgo: è una delle figure più grandi nella storia della medicina inglese.

 

Visse fino al ventesimo anno nel villaggio nativo, recandosi a Londra dove suo fratello William aveva già acquistato fama di eccellente anatomico. Si dedicò subito alle preparazioni anatomiche, poi alla chirurgia e nel 1755 cominciò a sostituire suo fratello nell’insegnamento. Nel 1760 entrò in servizio della marina inglese e vi rimase in qualità di chirurgo per quattro anni; tornato poi a Londra, ebbe presto una vastissima clientela, divenne ispettore generale degli ospedali e primo chirurgo dell’esercito ed ebbe il posto di chirurgo direttore dell’ospedale di S. Giorgio. Fu il fondatore dell’anatomia patologica in Inghilterra, creò un grande museo anatomo-patologico, prezioso per le ricchissime collezioni e per l’eccellente ordinamento che dopo la sua morte passò in proprietà del College of Surgeons di Londra. Eccellente chirurgo, continuò a studiare assiduamente e a occuparsi di ricerche sperimentali sugli animali fino alla morte. Indicò per il primo un metodo di legatura degli aneurismi che porta il suo nome.
Le sue opere più importanti sono: Natural History of the human teeth, ecc. (Londra 1771-1778); On the venereal disease (Londra 1786); On the nature ofblood (Londra 1794).

Fra i chirurghi di questo periodo in Inghilterra, oltre a Hunter, si ricordano:

William Cheselden

William Cheselden chirurgo caposcuola dell’ospedale londinese St.Thomas che si tramanda fosse capace di amputare un arto inferiore in dieci secondi e di estrarre un calcolo dalla vescica in meno di un minuto. Alexander Monro passato alla storia per l’importante tentativo di prevenzione dell’osteomielite dei monconi delle fratture esposte che cercava di ridurre e sottrarre subito all’aria.

Percival Pott

Percival Pott (1713-1788) che lasciò il suo nome alla carie vertebrale da tubercolosi dei giovani e ad una varietà di frattura malleolare.
A questi chirurghi inglesi vanno aggiunti i nomi di Benjamin Bell (1749-1806) resosi famoso per la cura d’urgenza di fratture e lussazioni e per l’asportazione di neoplasie e di John Abernethy (1764-1831) chirurgo dell’ospedale londinese St Batholomew che divenne celebre per avere legato per primo l’arteria iliaca esterna a monte di un aneurisma della arteria femorale.

I chirurghi del Settecento

I maggiori esponenti della chirurgia francese nel Settecento furono: Gianluigi Petit, Giovanni David, Pier Giuseppe Desault, Francesco Chopart e Xavier Bichat.
Giorgio Mareschal fu chirurgo di Corte e famoso specialista in litotomie. Francesco Gigot de la Peyronie fu primo chirurgo del re e capo della chirurgia del regno; si rese celebre specialmente come esperto di chirurgia nel trattamento delle ferite addominali e delle ernie.
Giovanni Pichout de la Martiniére, presidente per 36 anni dell’Accademia reale, fu un abile chirurgo generale.
Gian Luigi Petit (1674-1750) è considerato uno dei migliori chirurghi del suo tempo, soprattutto in campo traumatologico. In anatomia lasciò il suo nome legato ad alcune formazioni quali il triangolo lombare e il canale della zona ciliare in vicinanza del cristallino. In terapia è nota una sua doccia per l’immobilizzazione della gamba. Ideò inoltre uno speciale torculare a vite per attuare l’emostasi; indicò l’incisione circolare in due tempi per l’amputazione degli arti; descrisse per primo il famoso «intervallo libero», sintomo caratteristico dei versamenti di sangue extradotali successivi a traumi cranici. Nel 1705 pubblicò il trattato sull’arte di guarire le malattie dell’osso, e dopo la sua morte uscì il «Trattato delle malattie chirurgiche» (1774).
Giovanni Pietro David (1737-184) studiò contemporaneamente al Pott la carie vertebrale, però la storia ricorda solo il nome di Pott, che venne legato alla malattia, perché aveva descritto il classico tripode sintomatico: paraplegia, gibbosità, ascesso freddo, mentre il nome di David rimane quasi sconosciuto, pur avendo egli capito che la sua guarigione è «opera della natura, del tempo e del riposo».
A Pier Giuseppe Desault (1744-1795) spetta il merito di aver fondato in Francia l’insegnamento della clinica chirurgica. Nel 1785, mentre andava declinando l’attività e il prestigio dell’Accademia Reale di chirurgia, egli fu chiamato a prestare servizio all’Ospedale Hotel-Dieu di Parigi. Qui rimase per sette anni, svolgendo un’intensa attività basata sulle visite ai malati, le sedute operatorie, le autopsie e le lezioni magistrali. Per questi gravosi impegni non poté scrivere molto e lasciò il suo nome legato solo al bendaggio per la frattura della clavicola. Le sue idee e le sue opere ci vennero trasmesse dai suoi allievi, Chopart e Bichat.
Francesco Chopart (1743-1795) si rese celebre per aver ideato una tecnica di amputazione del piede che porta il suo nome.

Xavier Bichat

Xavier Bichat (1771-1802), dopo la morte di Desault, insegnò anatomia, fisiologia e chirurgia a Parigi. Compì, come si è già detto, ricerche ed espose concetti originali sul concetto di «tessuto» e «organo» e sul rapporto fra organo e funzione. Le sue opere più importanti sono: il «Trattato delle membrane» (1800) e il «Trattato d’anatomia descrittiva», mentre non lasciò scritti degni di rilievo sulla chirurgia.

La chirurgia del Settecento

La medicina antica e quella di età moderna avevano tenuto separate la professione del chirurgo, operatore manuale, anche se colto o di alto livello sociale, e quella del medico, “filosofo naturale” in grado di curare le patologie interne del corpo.
Con il Settecento questa situazione cambia: pur non compiendo grandi progressi per quanto riguarda l’ideazione di nuovi interventi, la chirurgia acquisisce in questo periodo un maggior credito, che le permette di raggiungere una dignità quasi pari alla medicina.
La nazione che per prima fece registrare questo processo fu la Francia, dove ebbe luogo la fondazione dell’Accademia Reale di Chirurgia, che assicurò alla chirurgia pari dignità delle altre discipline universitarie. Nel 1743 la dichiarazione reale sollevò la posizione morale e sociale dei chirurghi portandoli allo stesso rango dei medici. Dalla Francia tale processo si trasferì alle altre nazioni europee.
Molteplici furono le ragioni di questo traguardo: in primis, l’eliminazione dei cosiddetti “chirurghi empirici” attuata attraverso decisioni dei governi nazionali di rendere obbligatorio il titolo professionale, rilasciato dalle università, per poter accedere alla professione; la comparsa di grandi maestri, fondatori di scuole fiorentissime, che permisero di mettere alla luce nuove malattie, oppure l’approfondimento di malattie già conosciute; l’arricchimento delle letteratura chirurgica; l’istituzione di accademie come quella, già citata di Francia, oppure quella fondata a Vienna da Alessandro Brambilla; ma anche lo sviluppo della chirurgia militare, soprattutto nella pare chirurgica e ancora, l’incremento delle specialità chirurgiche come l’oculistica, l’ostetricia e altre.
L’Accademia reale di chirurgia in Francia viene fondata nel 1731 per opera di Giorgio Maréchal e di Francesco Gigot de La Peyronie. Questo avvenimento segna quindi in Francia la fine della guerra fra medicina e chirurgia, anche se meno sentita in Italia.
L’Accademia affidò l’insegnamento al Collegio di Chirurgia che provvide a riformarlo: i chirurghi del Collegio, a differenza di quelli dell’Università, non leggevano stando in cattedra, ma tenevano vere e proprie lezioni scientifiche e pratiche tratte dal loro sapere personale. L’insegnamento era praticato con lezioni teoriche e con esercitazioni pratiche fatte negli ospedali seguendo un preciso piano che rimase alla base della didattica universitaria a lungo.
Tra i maggiori esponenti della chirurgia francese si ricorda Jean-Louis Petit, che scrisse un assai limpido trattato sulle malattie delle ossa e un trattato delle malattie chirurgiche, dove la patologia e la terapia si compenetrano. Molte sue note importanti si leggono nelle Memorie dell’Accademia di chirurgia, accanto a quelle di numerosi altri chirurghi dell’epoca quali La Peyronie, Verdier, Morand, La Martinière, Boucher, Garengeot, La Faye, Ravaton, Louis.