Nel 1642 due bolle papali vietano l’uso di tabacco al clero, pena la scomunica. Verranno revocate solo nel 1725. In Germania, a Lunenberg, per i fumatori c’è la pena di morte. Nella Russia dello zar Michele Romanov il tabacco è attaccato come “pianta del diavolo” e per chi fuma c’è sia l’esilio che la tortura. Nel 1674 si passa alla pena di morte. Inutile descrivere i risultati pratici: nel 1676 le pene sono revocate. Anche il Sultano turco fa il salto di qualità: pena di morte per i fumatori. Ma poi cambia idea e la proibizione viene revocata. In Cina, per i fumatori di tabacco, c’è la decapitazione.
Il tabacco è stato in competizione con il cotone come coltura non alimentare più importante del mondo: oggi sappiamo che può uccidere, ma in passato è stato considerato un rimedio miracoloso.
La moda dello starnuto fu introdotta alla fine del 1500, grazie a Jean Nicot, ambasciatore francese che si interessò in modo particolare del “giusquiamo del Perù” e usandola come impacco, scoprì che si trattava di una cura efficace contro le ulcere.
La pianta si rivelò un prodotto di successo sul bando dei farmacisti ma non solo: presto infatti nacque la moda di inalare un pizzico di polvere di foglia di tabacco macinata, molto in voga negli ambienti aristocratici francesi. Moda sostenuta da Nicolas Monardes, medico spagnolo che viveva a Siviglia, che scoprì circa una ventina di disturbi comuni tra cui emicrania, gotta, mal di denti. E come spesso accadeva con le nuove piante americane, vi era confusione, sui nomi e sul loro utilizzo: circa vent’anni dopo, Jonh Gerard provò a chiarire i propri pensieri sul “tabaco” nell’opera Herbal del 1597, in cui descrisse con dovizia di particolare come andasse consumato, oltre che le numerose proprietà curative.
E già all’inizio del Seicento si affermò come una delle principali merci da esportazioni del nuovo mondo.