Nel Rinascimento, la chirurgia riesce ad elaborare risposte ad alcuni problemi tecnici che la pongono all’avanguardia rispetto alla medicina pratica. La scoperta di Ambrogio Paré di non cauterizzare le ferite di arma da fuoco con olio bollente e le tecniche di “rigenerazione cutanea” elaborate e consegnate alle stampe da Gaspare Tagliacozzo che promette con qualche esagerazione di ricostruire i nasi mozzati hanno all’epoca un impatto estremamente importante.
La ricostruzione del naso nel Rinascimento era un intervento praticato abbastanza frequentemente a causa della larga diffusione della sifilide che produceva ulcere deturpanti, ma anche a causa dei numerosi traumi.
Già da tempo chirurghi “ambulanti” delle famiglie Branca in Sicilia e Vianeo in Calabria eseguivano la rinoplastica con tecniche da loro messi a punto (anche se la rinoplastica è una invenzione indiana!).
Gaspare Tagliacozzo (1546-1599), lettore di anatomia e chirurgia dell’Università di Bologna, ebbe il merito di portare la rinoplastica nella campo della chirurgia, merito che nessuno gli contesta. Mentre nell’ambiente universitario molti nutrirono dubbi sulla sua asserzione di priorità del metodo adottato, chiamato poi “italiano”, che si realizza attraverso l’impiego di un lembo di pelle prelevato dal braccio e poi fissato e tenuto a contatto fino alla cicatrizzazione.
Gaspare Tagliacozzo diede una veste scientifica alla chirurgia plastica specialmente quella facciale finora allora esercitata da mestieranti.
Criticato da chirurghi del valore di Falloppio, l’intervento fu anche condannato dalle autorità ecclesiastiche come “riprovevole intromissione nell’opera del Creatore” e la persecuzione fu tale che i resti di Tagliacozzo furono riesumati e sepolti in terra non consacrata.
Si dovette arrivare al XIX secolo perché la chirurgia plastica venisse riabilitata.