L’introduzione delle armi da fuoco durante il Rinascimento ha generato importanti modificazioni nella traumatologia bellica, sia per quanto riguarda il trattamento delle ferite sia per quanto riguarda l’imputazione degli arti.
Il diverso tipo di lesioni prodotte rese necessaria una più attenta revisione delle pratiche fino allora utilizzate, nonché della terapia.
Inizialmente le ferite da arma da fuoco erano considerate avvelenate, un giudizio che rimase diffuso tra molti chirurghi anche nei secoli successivi. Si credeva che la polvere pirica, sostanza velenosa, comunicasse al proiettile la sua velenosità.
Si credeva che la polvere pirica, sostanza velenosa, comunicasse al proiettile la sua velenosità.
Tale erronea teoria fu particolarmente dannosa per le conseguenze che portò. Infatti per neutralizzare l’effetto del tossico, che si pensava si inoculasse nel corpo attraverso la ferita, si procedeva la sua causticazione mediante il ferro rovente e l’olio bollente, versato sopra la ferita stessa, che poi veniva fatta suppurare, allo scopo di fare uscire dal corpo, insieme agli umori peccanti, anche il veleno. Va ricordato che il ferro rovente e l’olio bollente avevano una funzione emostatica.
A questo trattamento furono contrari non pochi chirurghi, fra i quali il celebre chirurgo francese Ambroise Parè, considerato come il primo e il più grande innovatore della medicazione delle ferite da arma da fuoco e uno dei più celebri della storia.