Durante il Rinascimento, per un complesso di fattori economici e sociali migliorano la reputazione e la posizione del medico. Essi, infatti, ricevono una educazione accademica dall’università dove, a partire dalla seconda metà del cinquecento si incomincia ad abbandonare l’insegnamento classico basato prevalentemente sui testi di Galeno e Avicenna per introdurre, sia pur lentamente, le nuove idee. Negli ospedali si tengono le prime lezioni cliniche al letto degli ammalati. Nei «teatri anatomici» universitari si compiono con frequenza sempre maggiore le dissezioni introdotte da Vesalio. Negli «orti botanici» avviene la dimostrazione dei «semplici».
Tutto questo serve a preparare il nuovo medico, a staccarlo dalla fantasticherie metafisiche ancora dominanti, a svincolarlo dall’astrologia e dall’uroscopia ancora praticata ai fini diagnostici generalizzati e dall’abuso di salasso a scopo terapeutico.
Anche durante il Rinascimento è considerato medico nel vero senso della parola solo il cosiddetto «internista» mentre il chirurgo viene sempre considerato una figura di secondo piano, anche se quella con la comparsa della anatomia, il chirurgo migliora la sua posizione sociale.
E proprio in questo stesso periodo, sebbene la situazione politica italiana non ne registri l’unità a livello politico, si stabilisce in modo piuttosto uniforme un articolato sistema di corpi di magistrature, con la finalità di regolamentare e governare da una parte la salute pubblica e dall’altra i rapporti tra i curanti e i pazienti.
I Collegi medici controllavano l’attività sanitaria, non solo dei medici, ma anche degli empirici, ai quali potevano concedere patenti di esercizio dopo aver sottoposto i richiedenti ad un esame. In alcune città (come Firenze) l’iscrizione ai Collegi era libera a chiunque, mentre in altre città come Parma, Padova o Milano, era limitata ai medici nati nella città o nello stato. Si tratta di una invenzione italiana, esportata poi nel resto d’Europa, con il preciso obiettivo di differenziare la figura del physicus dagli altri curanti, dunque espressione di elite.
Ai Collegi si affiancarono i Protomedicati, equivalenti a quello che oggi potrebbe essere definito il Ministero della Sanità (il primo fu istituito in Sicilia nel 1397 da re Martino IV). Erano strutture che avevano l’obiettivo di emanare leggi e regolamentare la vita professionale, per tutelare la salute pubblica.
Ma l’attività professionale, regolata in modo chiaro sulla carta, non era certo ottima sul piano pratico: il conflitto tra medici e le altre figure era piuttosto aspro.
Il ricorso alla figura del physicus dotto, dalla cultura universitaria era molto meno diffuso di quanto si potesse pensare: senza dubbio i regnanti e i nobili avevano un medico di riferimento.
Si seguiva un principio per cui il medico era il solo a poter curare le malattie interne, le cui preparazioni erano affidate agli speziali. Ai chirurghi, invece, erano affidati gli interventi per la superficie del corpo, mentre alle ostetriche era riservato il delicato compito del parto. Il ricorso alle diverse figure di curanti era era diffusissimo e superava i confini imposti dalle regole. Il medico aveva pertanto una fortissima concorrenza tra i suoi subordinati, anche a causa della rigida etichetta che regolava i rapporti tra medico e paziente. Un rituale che non permetteva quasi il contatto fisico, anzi, si basava sulla presa d’atto da parte del medico dei sintomi lamentati dal paziente.