Andrea Cesalpino (Arezzo 1523/24 – Roma 1603) nella storia della medicina ha il grande merito di essere il primo ad essersi interessato del problema della circolazione del sangue.
Fu anche grazie alle sue scoperte che Harvey riuscì ad elaborare la sua tesi sulla circolazione del sangue: anticipò alcune intuizioni dell’inglese e sebbene introdusse per primo il termine «circolazione sanguigna», la utilizzò in modo non corretto, per indicare solo la piccola circolazione e non la circolazione sanguigna in generale.
La scoperta della circolazione del sangue deve molto alle ricerche di Cesalpino, ma ebbe certamente il contributo di altri importanti ricercatori, che rinnovarono, insieme all’aretino, i fondamenti dell’indagine anatomica e che consentirono ad Harvey di elaborare nel 1628 una sintesi organica nella sua opera «Exercitatio de motu cordis et sanguinis».
In un primo momento si dedicò agli studi in botanica: addottoratosi a Pisa nel 1551, vi divenne prefetto dell’Orto botanico (1555) e professore dei semplici (botanica): qui, infatti, ebbe modo di sviluppare gli studi sulla natura, grazie al suo maestro Luca Ghini, poiché vicino all’arsenale navale mediceo di Pisa, in riva all’Arno, nel 1544, venne fondato il primo “orto dei semplici” italiano e primo europeo annesso a un’università (1).
Lì rimase fino a che non gli fu assegnata la cattedra di medicina a Pisa: il passaggio alla cattedra medica si spiega sia con la miglior retribuzione sia con la scarsa considerazione in cui erano tenuti i “semplicisti” e in generale coloro che si dedicavano alle ricerche scientifiche rispetto ai filosofi.
Trasferitosi a Roma, a seguito di alcune contese con altri docenti dell’Università a Pisa, venne nominato da Clemente VIII archiatra pontificio e chiamato alla cattedra di medicina della Sapienza (1592).
L’opera di Cesalpino fu vasta e si estese a molti campi dalla medicina, alla botanica, alla mineralogia e dalla filosofia; ma dove si impose in particolare è nella storia della circolazione sanguigna.
Aveva seguito attentamente le dissezioni di cadaveri mostrate dal grande scienziato belga Andrea Vesalio, che nel 1544 era a Pisa su invito di Cosimo I. Cesalpino si era appassionato agli studi sul sangue, tanto da pubblicare, nel 1571, i «Questionum peripatecarum libri V», in cui affermava che il sangue passa di continuo dalle arterie alle vene attraverso minuscole aperture, raggiungendo poi il cuore, unico centro del «calore vitale». A lui, quindi, vai il merito fondamentale di avere per primo scoperto che il cuore è il centro di tutto il movimento sanguigno e che da esso e non dal fegato, come sostenevano Galeno ai suoi seguaci, si dipartono le vene e le arterie che si diramano in capillari negli organi.
Inoltre ebbe la grande intuizione di individuare il corretto movimento del sangue: fino ad allora era stato interpretato in senso centrifugo, in quanto si pensava che sangue, sia arterioso che venoso, partito dal sistema fegato-cuore, si diffondesse alla periferia dove si diffondeva negli organi che lo consumavano per il loro nutrimento.
Cesalpino sostenne che “il sangue nutritivo è condotto il cuore attraverso le vene e da lì, dopo essere stato perfezionato dal calore nato, viene distribuito attraverso le arterie per tutto il corpo”.
L’osservazione più interessante compiuta da Cesalpino nell’ambito del movimento del sangue riguarda il comportamento delle vene allorché si stringe il braccio con il laccio per eseguire il salasso. Dopo questa manovra egli osserva che le vene si inturgidiscono “sotto al laccio” mentre si svuotano “sopra al laccio”. Da ciò dedusse che la circolazione venosa è centripeta.
Cesalpino negò inoltre che il sangue si raffreddasse nel polmone attraverso un contatto diretto con l’aria fredda contenuta nei bronchi, come allora si pensava, mentre sostenne che il sangue contenuto nei capillari polmonari si raffreddava per lo stretto rapporto che questi capillari hanno con i bronchi.
La descrizione della circolazione sanguigna fatta da Cesalpino non è contenuta in un unico libro, ma è diffusa nelle singole parti di tre sue opere («Peripatecarum quaestionum libri V», «De plantis» e «Questionum medicarum libri») e riassunte in una quarta, «Praxis universae artis medicae» pubblicata postuma nel 1006 in cui sono contenuti gli argomenti ripresi degli altri tre libri.
NOTE
(1). Fino ad allora, infatti, per tradizione, delle piante medicinali si prendevano cura solo i religiosi nel chiuso dei loro conventi; in epoca di rinascimento scientifico quella prerogativa passò alle università. All’orto di Pisa fecero poi seguito quelli di Padova, Firenze, Pavia e Bologna. Chiamati anche horti medici erano meglio conosciuti come horti simplicium. I “semplici” erano infatti le erbe usate per la cura delle malattie (la parola deriva dal latino medievale medicamentum simplex).