L’avvio degli studi sulla circolazione del sangue: Girolamo Fabrizi

Tra coloro che si occuparono della circolazione sanguigna, studio che caratterizzò le ricerche anatomo-fisiologiche rinascimentali, occupa un posto importante anche Girolamo Fabrizi di Acquapendente (1533 – 1619), per le sue celebri osservazioni sulle valvole venose.

Fabrizi fu nominato nel 1565 lettore di anatomia e chirurgia dell’Università di Padova, incarico che mantenne a lungo. Soggiornò quasi sempre a Padova, dove fece costruire a proprie spese l’anfiteatro anatomico dell’università di Padova, che esiste tuttora in ottime condizioni di conservazione.

Il Fabrizi è considerato una delle maggiori figure della storia della medicina, avendo apportato notevoli contributi a numerose branche mediche.

Contribuì infatti alla conoscenza anatomica dell’occhio e dell’orecchio e del meccanismo della formazione e della respirazione, argomenti sui quali scrisse numerosi libri.

I suoi libri sul feto lo pongono tra i più illustri fondatori dell’embriologia. In anatomia e fisiologia comparata fece importanti ricerche sulla meccanica animale, scrivendo anche alcuni libri sull’argomento, il più importante dei quali è il “De motu locali animalium secundum totum”, in cui, ricorrendo di quasi settant’anni il classico libro di Borrelli, tratta del camminare nel volare nel nuotare e della strusciare degli animali.
Ma la scoperta più prestigiosa, che lo rese famoso nella storia dello studio della circolazione del sangue, fu quello delle valvole venose, perché consentì al suo allievo William Harvey, di formulare in maniera definitiva la sua teoria sulla circolazione.
Nonostante fossero sorte, in quell’epoca alcune contestazioni sulla priorità della scoperta, è stato dimostrato in maniera sicura che Fabrizi vide per primo nel 1574 le valvole venose ma ne pubblicò la notizia solo nel 1603. Egli però non ne comprese il giusto significato funzionale come invece fece dopo Harvey. Fabrizi non è ancora al corrente della scoperta di Cesalpino e riteneva che queste valvole servissero a frenare il corso centrifugo del sangue venoso come allora si continuava credere, per farlo ristagnare più lungo possibile nei tessuti onde favorirne il nutrimento.

Cesalpino: il botanico che ha scoperto la circolazione

Andrea Cesalpino (Arezzo 1523/24 – Roma 1603) nella storia della medicina ha il grande merito di essere il primo ad essersi interessato del problema della circolazione del sangue.

Fu anche grazie alle sue scoperte che Harvey riuscì ad elaborare la sua tesi sulla circolazione del sangue: anticipò alcune intuizioni dell’inglese e sebbene introdusse per primo il termine «circolazione sanguigna», la utilizzò in modo non corretto, per indicare solo la piccola circolazione e non la circolazione sanguigna in generale.

La scoperta della circolazione del sangue deve molto alle ricerche di Cesalpino, ma ebbe certamente il contributo di altri importanti ricercatori, che rinnovarono, insieme all’aretino, i fondamenti dell’indagine anatomica e che consentirono ad Harvey di elaborare nel 1628 una sintesi organica nella sua opera «Exercitatio de motu cordis et sanguinis».

In un primo momento si dedicò agli studi in botanica: addottoratosi a Pisa nel 1551, vi divenne prefetto dell’Orto botanico (1555) e professore dei semplici (botanica): qui, infatti, ebbe modo di sviluppare gli studi sulla natura, grazie al suo maestro Luca Ghini, poiché vicino all’arsenale navale mediceo di Pisa, in riva all’Arno, nel 1544, venne fondato il primo “orto dei semplici” italiano e primo europeo annesso a un’università (1).

Lì rimase fino a che non gli fu assegnata la cattedra di medicina a Pisa: il passaggio alla cattedra medica si spiega sia con la miglior retribuzione sia con la scarsa considerazione in cui erano tenuti i “semplicisti” e in generale coloro che si dedicavano alle ricerche scientifiche rispetto ai filosofi.

Trasferitosi a Roma, a seguito di alcune contese con altri docenti dell’Università a Pisa, venne nominato da Clemente VIII archiatra pontificio e chiamato alla cattedra di medicina della Sapienza (1592).

L’opera di Cesalpino fu vasta e si estese a molti campi dalla medicina, alla botanica, alla mineralogia e dalla filosofia; ma dove si impose in particolare è nella storia della circolazione sanguigna.

Aveva seguito attentamente le dissezioni di cadaveri mostrate dal grande scienziato belga Andrea Vesalio, che nel 1544 era a Pisa su invito di Cosimo I. Cesalpino si era appassionato agli studi sul sangue, tanto da pubblicare, nel 1571, i «Questionum peripatecarum libri V», in cui affermava che il sangue passa di continuo dalle arterie alle vene attraverso minuscole aperture, raggiungendo poi il cuore, unico centro del «calore vitale». A lui, quindi, vai il merito fondamentale di avere per primo scoperto che il cuore è il centro di tutto il movimento sanguigno e che da esso e non dal fegato, come sostenevano Galeno ai suoi seguaci, si dipartono le vene e le arterie che si diramano in capillari negli organi.

Inoltre ebbe la grande intuizione di individuare il corretto movimento del sangue: fino ad allora era stato interpretato in senso centrifugo, in quanto si pensava che sangue, sia arterioso che venoso, partito dal sistema fegato-cuore, si diffondesse alla periferia dove si diffondeva negli organi che lo consumavano per il loro nutrimento.

Cesalpino sostenne che “il sangue nutritivo è condotto il cuore attraverso le vene e da lì, dopo essere stato perfezionato dal calore nato, viene distribuito attraverso le arterie per tutto il corpo”.

L’osservazione più interessante compiuta da Cesalpino nell’ambito del movimento del sangue riguarda il comportamento delle vene allorché si stringe il braccio con il laccio per eseguire il salasso. Dopo questa manovra egli osserva che le vene si inturgidiscono “sotto al laccio” mentre si svuotano “sopra al laccio”. Da ciò dedusse che la circolazione venosa è centripeta.

Cesalpino negò inoltre che il sangue si raffreddasse nel polmone attraverso un contatto diretto con l’aria fredda contenuta nei bronchi, come allora si pensava, mentre sostenne che il sangue contenuto nei capillari polmonari si raffreddava per lo stretto rapporto che questi capillari hanno con i bronchi.

La descrizione della circolazione sanguigna fatta da Cesalpino non è contenuta in un unico libro, ma è diffusa nelle singole parti di tre sue opere («Peripatecarum quaestionum libri V», «De plantis» e «Questionum medicarum libri») e riassunte in una quarta, «Praxis universae artis medicae» pubblicata postuma nel 1006 in cui sono contenuti gli argomenti ripresi degli altri tre libri.

 

NOTE

(1). Fino ad allora, infatti, per tradizione, delle piante medicinali si prendevano cura solo i religiosi nel chiuso dei loro conventi; in epoca di rinascimento scientifico quella prerogativa passò alle università. All’orto di Pisa fecero poi seguito quelli di Padova, Firenze, Pavia e Bologna. Chiamati anche horti medici erano meglio conosciuti come horti simplicium. I “semplici” erano infatti le erbe usate per la cura delle malattie (la parola deriva dal latino medievale medicamentum simplex).

Il governo della salute nel Rinascimento

Ma quanto costava curarsi nel Rinascimento come si accedeva alle cure? Quale scelta era praticata fra i vari professionisti della salute? Quale era il grado di istruzione medica della popolazione? E quale spazio aveva la pratica dell’automedicazione?

Nel Rinascimento in tutta Europa, seppur con differenze diverse nelle varie aree geografiche religiose, va considerato il contesto.

Il Rinascimento che aveva portato una rivoluzione nell’anatomia e della fisiologia portò anche un rivolgimento nella patologia e nella clinica medica anche se fu più apparente che reale: servì, infatti, a gettare le basi per un ulteriore progresso della medicina, mentre nella pratica si continuava a seguire la dottrina medica di Galeno. Fra le idee più interessanti formulate in questo senso meritano particolare attenzione quelle di Paracelso, perché nei secoli successivi offrirono vasti campi alla ricerca.

E poi, va sottolineato come cura non sia sinonimo di terapia. Un sinonimo, una sovrapposizione storicamente giustificata ma impropria.

I terapeuti erano quelli usciti da monasteri, che si prendevano cura di sé e della comunità di appartenenza mediante l’osservanza di regole ferree, quali la continenza assoluta, la dieta poverissima e lavoro incessante.
Va ricordato, invece, che nell’antica Roma repubblicana curatore era il familiare che si faceva carico di una persona inabile; in età medievale e rinascimentale curatore era l’uomo dei campi che si prendeva cura delle piante da frutto, dando loro acqua e nutrimento, proteggendole dal freddo, sistemando le parti guaste, valutando le parti da recidere.

Erano numerose le figure curanti diverse da quella del medico fisicus, lo specialista di medicina interna, addottorato all’Università, maschio in grado di leggere con disinvoltura testi classici.

Si possono elencare tra coloro che praticavano a titolo ufficiale la professione di cura e che non erano in senso stretto medici e chirurghi di diverso livello tipo: gli speziali (i farmacisti), le levatrici, una serie di altre figure tra cui spiccano i ciarlatani (venditori ambulanti di farmaci dotati di licenza in grado di praticare anche operazioni di piccola chirurgia come le estrazioni di denti). Ma curavano in senso lato anche figure non riconosciute, e spesso anzi apertamente avversate non solo e non tanto dalla medicina ufficiale quanto dalle autorità preposte al controllo delle attività di cura: chimici distillatori, gestori dei bagni pubblici di terme, madri di famiglia esperte in rimedi domestici.

Quest’ultima categoria prevalente nelle aree rurali ma anche nelle reti urbane di vicinato composta da donne spesso anziane, ha dato luogo a uno dei più tenaci stereotipi della lettura letteratura medica, quello della vetula: la vecchietta che pretende, a torto, di avere capacità terapeutiche, una figura, come si capisce, molto vicina, a quella assai più inquietante della strega.

La magia naturale nelle sue diverse dimensioni è stato un fenomeno importante nella cultura rinascimentale soprattutto italiana e ha dato luogo ad un interesse per i fenomeni naturali. Una fiducia nella dimensione del soprannaturale nell’arco della storia che va dalla credenza dell’azione dei talismani a quella nell’intervento divino diretto non è mai cessato di esistere per tutta l’età moderna e oltre.

Andrea Vesalio: la rivoluzione dell’anatomia

Andrea Vesalio è considerato il primo vero instauratore della nuova anatomia.

Vesalio è conosciuto per la sua opera “De Humani corporis fabrica”, dato alle stampe a Basilea nel 1543: si tratta di uno dei testi anatomici più noti anche un pubblico non specialistico e uno di quelli che hanno incontrato maggiore fortuna nella storia della medicina. Infatti è apprezzato per la qualità delle sue immagini prodotte in ambiente veneziano nella stretta cerchia di Tiziano, che rappresentano una vera rivoluzione dal punto di vista teorico sia per quanto riguarda l’uso didattico per cui essi erano state pensate.

Nulla è scritto una volta per tutte, ma il libro di anatomia viene composto solo dopo l’esecuzione diretta di una dissezione dopo aver visto e controllato direttamente la verità della natura.

Per Vesalio l‘immagine del corpo deve essere soprattutto strumento di comprensione anatomica, per consentire agli studenti di medicina di vedere organi anche quando il cadavere, per ragioni di spazio o per la stagione dell’anno non è consultabile come fonte.
La novità del suo lavoro è evidente in quanto il professore non è in cattedra ma lavora in prima persona all’apertura del cadavere, gli studenti non sono lontani e bloccati sugli scranni di un’aula universitaria, ma vicinissimi al corpo di cui possono controllare la dissezione. Non c’è libro già scritto a cui fare riferimento ma, analogamente a quanto accade proprio nella pubblicazione, sul tavolo anatomico fanno bella mostra di sé un rotolo di carta bianca e uno stilo. Il messaggio di Vesalio è chiaro e semplice: nulla è scritto una volta per tutte, ma il libro di anatomia viene composto solo dopo l’esecuzione diretta di una dissezione dopo aver visto e controllato direttamente la verità della natura.

Nato a Bruxelles nel 1514, dopo aver compiuto i primi studi all’università di Lovanio, passò in quella di Parigi per studiare medicina e quindi ritornò a Lovanio dove si dedicò agli studi anatomici.
Nell’ambiente parigino Vesalio mette a punto le sue principali qualità. Da un lato egli perfeziona gli strumenti di approccio al testo antico appresi a Lovanio ed entra in contatto con alcuni dei più raffinati editori di medicina greco romana del tempo, tra i quali Silvyus suo maestro, compagno e amico, che diventerà poi uno dei suoi fieri oppositori dopo la stampa del suo lavoro anatomico. La conoscenza approfondita del greco e quindi la possibilità di accedere in modo diretto ai libri di Galeno, cui la scuola parigina dedicava in quegli anni grande attenzione, gli consente di avere a disposizione una enorme quantità di materiali di lavoro con cui confrontare gli esiti dell’altra sua grande capacità, quella dissettoria.
Una perizia anatomica particolare che i suoi contemporanei registrano e lodano e la grande destrezza con il bisturi consentono al giovane medico di crescere nell’osservazione diretta del corpo umano e di guadagnare notevole fama che presto si espande in tutta Europa. Da Lovanio si trasferì a Padova, dove nel 1573 conseguì il dottorato in medicina e il giorno seguente, a soli 23 anni, venne nominato lettore in anatomia e chirurgia.

In questa città in cominciarono gli anni più fervidi e produttivi della sua carriera. Essendosi reso conto che l’insegnamento basato sui testi di Galeno era pieno di errori, decise di pubblicare, ad uso dei suoi studenti, sei grandi tavole anatomiche, in cui evidenziò le discrepanze esistenti fra le descrizioni anatomiche galeniche e la realtà rinvenibile nel cadavere.

A queste tavole fece seguito la pubblicazione, avvenuta nel 1543, della sua grande opera “De Humani corporis fabrica”, più semplicemente nota come “Fabrica”, nel significato di «funzionamento» o «meccanismo».

La “Fabrica” si compone di sette libri, così suddivisi:

  • il primo preceduto da una vasta introduzione è dedicato allo scheletro
  • il secondo ai muscoli e ai legamenti,
  • il terzo all’angiologia,
  • il quarto ai nervi e al midollo spinale,
  • il quinto agli organi della nutrizione della generazione e dell’ordinazione,
  • il sesto al cuore
  • il settimo al cervello e agli altri organi di senso.

Segue l’esposizione di norme per la dissezione e la vivisezione.

Le descrizioni anatomiche di Vesalio in quest’opera segnano un grande progresso rispetto qualsiasi opera precedente: egli, infatti, illustrò l’esatto decorso delle vene, in cui riscontrò anche l’esistenza delle valvole, pur senza intuirne la funzione. Nell’anatomia del cuore mise in dubbio la permeabilità del setto, che però, non si sentì in grado di negare decisamente. In osteologia dimostrò che la mandibola consta di un solo osso e che lo sterno è diviso in tre parti e non in otto, come sosteneva Galeno.

 

Con la “Fabrica” però finì la splendida parabola di Vesalio. Avendo egli infatti osato rivoluzionare l’anatomia denunciando gli errori di Galeno, non potè sfuggire alle violente critiche dei conservatori a cominciare dal suo maestro parigino Silvyus che disapprovò aspramente le sue scoperte. Fino a Colombo che fu su allievo a Padova, a Falloppio che fu suo successore nella cattedra di anatomia e numerosissimi altri sparsi ovunque.

Queste polemiche così infiammate costrinsero Vesalio a lasciare Padova nel 1544 per ricoprire il posto di archiatra alla corte imperiale di Carlo V e poi di suo figlio Filippo II. Pur essendo altamente apprezzato da entrambi gli imperatori, non si dedicò mai più allo studio dell’anatomia con l’impegno precedentemente dimostrato.

Poco si sa della sua vita a corte, sembra però che egli si sia dedicato soprattutto alla pratica di chirurgo, limitandosi come anatomico a rispondere alle critiche che gli venivano mosse dai suoi numerosi nemici. Nel 1564 spinto da ragioni oscure partì da Madrid alla volta della Terra Santa: su questo episodio che doveva essere l’ultimo della sua vita, si congetturò da parte degli storici di ogni tempo, ma l’ipotesi che ha sempre predominato è che si trattasse di una espiazione per essere stato accusato presso il tribunale dell’Inquisizione di aver continuato a sezionare il corpo di un cortigiano che a qualcuno era parso ancora vivo. Condannato a morte dal tribunale, la pena sarebbe stata commutata per intercessione dell’imperatore Filippo II nella penitenza del viaggio in terra Santa. Recatosi a Gerusalemme, durante il ritorno la nave dove lui viaggiava andò a incagliarsi sulle sulle coste dell’isola di Zante, dove morì.

Andrea Vesalio è tradizionalmente presentato dalla maggior parte della storiografia come un innovatore e un rivoluzionario dell’anatomia in grado di sovvertire il paradigma galenico e di correggere gran parte degli errori di un’anatomia antica condotta soprattutto non su cadaveri ma su corpi di animali. In realtà, la posizione di Andrea Vesalio è più sfumata: egli, infatti, rappresenta il perfetto esempio dell’uomo di scienza di primissimo piano del suo tempo: in equilibrio tra l’eredità della medicina antica ancora sentita come fattore fortemente condizionante e una pratica molto innovativa che apre la strada a un secolo di fecondissimi studi, soprattutto anatomici che hanno favorito l’inserimento, nel secolo successivo, delle idee della rivoluzione scientifica.