La caduta dell’Impero: un nuovo concetto di malattia con il Cristianesimo

Gli storici convenzionalmente datano l’inizio del Medioevo con il 476 d.C., un lunghissimo periodo durato fino all’inizio del Rinascimento nel 1400.
Siamo abituati a considerarlo un periodo buio, mentre fu davvero una epoca di mezzo. Ma la crisi dell’Impero aveva iniziato a dare i suoi segni fin dai secoli precedenti: infatti, già nel corso del 240 d.C. Cipriano, Vescovo di Cartagine, scriveva, analizzando la realtà economica e sociale di allora, che mancavano gli uomini nei campi e si assisteva ad un grande calo demografico. Insomma, la rottura storica rappresentata dalla crisi dell’Impero era già iniziata e non era nemmeno percepita dall’uomo del Medioevo, come ebbe a scrivere Arnaldo Momigliano (storico italiano), che anzi ne sarebbe rimasto sorpreso, in quanto per lui non era mai finito.
Così accadde anche per la medicina: le figure di riferimento come Ippocrate e Galeno non hanno mai perso importanza. Cambia invece in modo radicale è il concetto stesso di malattia, non più assimilabile a quello ippocratico: il corpo è qualcosa di secondario, ciò che importa è l’anima.
Per il medico antico, la malattia era uno stato che doveva essere combattuto dal medico e riportato in ordine grazie alle proprie forze, insieme al malato.
Nel cristianesimo, la malattia assume un significato più profondo e viene riportata alla fragilità dovuta al peccato originale: ecco perché si tratta di una “prova” per il singolo, quasi assimilabile al martirio.
Negli scritti del periodo viene pertanto ribadita la maggiore importanza della salute dell’anima rispetto alla salute del corpo.
Va detto però che nell’area orientale, si assiste un atteggiamento molto positivo nell’attività di assistenza e caritas, intesa come assistenza da prestare ai componenti più fragili della comunità.

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