Un nuovo modello di assistenza: la medicina monastica medievale

Con la caduta dell’Impero Romano di Occidente nel 476 si ebbe una certa tranquillità negli animi, dopo il tumulto delle invasioni barbariche che aveva anche impedito l’evolversi degli studi.

Una certa fioritura culturale si ebbe invece durante il regno di Teodorico, grazie alla presenza del suo assistente Cassiodoro. Un periodo che permise di riportare anche l’insegnamento della medicina, oltre che alla regolamentazione della professione medica. Nel corso del primo millennio, in Occidente grazie a figure come la sua, rimase in vita una modesta tradizione di insegnamento e di circolazione dei testi, rimasti in vita come abbiamo avuto modo di scrivere, grazie ai medici arabi e ai compilatori bizantini.

Le attività di assistenza ai malati, in una certa misura di trasmissione dei testi medici, ma anche un impegno nel campo della farmacologia è strettamente legata alla vicende del monachesimo e alla creazione degli ordini regolari, in quella che viene definita “medicina monastica”. Proprio grazie ai monasteri che si concentra l’attività di trasmissione dei testi medici e farmacologici, oltre alla pratica ad essa collegata.

Per tutto il periodo dell’alto Medioevo quello che rimane della cultura classica e delle pratiche di vita comunitaria è custodito nelle abazie: Benedettini, Cistercensi e Cluniacensi abbracciano l’ideale della caritas e dell’assistenza, che comprendeva tutti i fragili e i deboli.

In particolare, in Occidente questa attività viene inquadrata in modo organico nel monachesimo benedettino: San Benedetto viene considerato fondatore del monachesimo occidentale, di cui fu anche primo vero legislatore.

Nato a Norcia nel 480, dedicò ai Santi Cosma e Damiano il primo dei monasteri che fece costruire a Montecassino. Mise nella sua “Regola” quale primo dovere del monaco, quello della cura ai malati: prendersi cura dell’infirmus significava non solo dare da mangiare e bere, ma anche saper lenire i dolori, curare le ferite, medicare le piaghe, curare le malattie interne.
Per questo tipo di attività, era necessario avere una certa preparazione: nacque il monacus infirmarius a cui era affidata l’assistenza sanitaria del monastero. Ma egli inoltre si dedicava alla coltivazione delle piante medicinali contenute nell’ “Orto dei semplici”, utilizzate per la preparazione dei farmaci.

I testi di medici tra il VII e il X secolo sono per la maggior parte, compilazioni di carattere pratico, come ricettari o collezioni di prescrizioni terapeutiche, prive di un quadro generale e di un metodo.
A partire dall’XI secolo, nelle abazie emerge inoltre la distinzione tra curanti che si occupano di diverse funzioni: flobotomo, infermiere, medico.
La medicina monastica, nata in un primo momento per i bisogni del monastero, si diffuse anche fuori dalle mura monastiche diventano medicina laica.

La Medicina Araba

Con il consolidamento del potere nei Califfati d’Oriente, capitali Damasco (660) e poi Bagdad (762), e d’Occidente, con capitale Cordoba in Spagna, i Califfi iniziarono a coltivare le arti, le lettere e le scienze, a seguito di un primo periodo di espansione, avviato da Maometto, caratterizzato da stragi e distruzioni per fanatismo religioso.

Un risveglio culturale avvenuto verso la metà del IX secolo, anche perché gli Arabi in Oriente avevano trovato nelle nuove terre due centri di grande importanza scientifica: Alessandria e Gondishapur, dai quali provennero le radici della medicina araba. Ad Alessandria gli Arabi vennero in contatto con la medicina greco-romana, mentre nella seconda città operarono i cosiddetti “Medici nestoriani”, che si dedicarono alla traduzione in arabo dei testi della medicina greco-romana. Opera altamente meritoria, che servì a conservare un patrimonio altrimenti perduto, sebbene alcune opere subirono modificazioni per difficoltà nell’interpretazione.
Va precisato che con la dizione “medicina araba” va intesa nel senso di medicina di lingua araba, data la varietà etnica dei medici che la crearono.

La medicina araba la si può suddividere in tre grandi periodi: il primo periodo, compreso tra il 750 e il 900, può definirsi di preparazione, ossia quello in cui la medicina tradizionale araba si amalgama gradualmente con quella greco-latina. Nel secondo periodo, compreso tra il 900 e il 1100, molti studiosi si distaccano dai loro Maestri per assumere una personalità sempre più spiccata e indipendente, tutta protesa verso nuove ricerche ed acquisizioni. E’ il periodo di massimo splendore; vi emergono figure come Razi, Avicenna, Albucasis. Infine, il terzo periodo, compreso tra il XII e il XVII secolo, può essere definito della decadenza, contemporanea a quella del Califfato. In esso emersero tuttavia ugualmente figure di primissimo piano, del calibro di Avenzoar, Averroè e Maimonide.

Il primo periodo vide l’ellenizzazione dell’Islam, con la fondazione di Bagdad ed ebbe il suo culmine nel XI secolo. A questo periodo risale la realizzazione della Casa della Sapienza, proprio a Bagdad, accademia per scienziati e filosofi dove viene “inventato” dai nestoriani l’arabo scientifico, sia sul piano lessicale che su quello della sintassi. Il galenismo sistematico rappresenta, pertanto, una invenzione araba, sebbene ad esso sia associata la creazione di manuali e compendi, capaci di trasmettere al mondo occidentale indicazioni utili per la pratica.

Il secondo periodo annovera medici celebri, fra cui spicca in assoluto la figura di Avicenna, uno dei maggiori ingegni del mondo scientifico arabo. Dotato di una intelligenza originale e precocissima, studiò oltre alla medicina, numerose altre scienze come la filosofia, la matematica, le lettere, l’astrologia. Quando iniziò a dedicarsi alla medicina, assurse subito a grande fama, tanto da essere nominato a diciotto anni medico di corte, carica che gli conferì onore ma soprattutto la possibilità di accedere alla preziosa biblioteca reale.
Viaggiò a lungo, per motivi di studio e durante uno dei sui viaggi a Hamadan, morì precocemente a cinquantasei anni.
La sua opera principale, Il canone di medicina, sintetizza e coordina la medicina di Ippocrate e Galeno con la filosofia di Aristotele, aggiungendo anche nozioni personali. Il Canone era fondato su una vasta cultura più che su cognizioni derivanti da esperienze personali ed è rimasto sia in Oriente che in Occidente un’opera indiscutibile e che contribuì a rafforzare, fino al sedicesimo secolo, il dogmatismo imperante.

Il terzo periodo della medicina araba si svolse prevalentemente in Spagna, con la presenza di alcuni esponenti come Avezoar (critico di Avicenna a cui viene attribuita la scoperta dell’acaro della scabbia) e Averroè, filosofo e autore del “Colliget” una enciclopedia medica che contiene diverse considerazione di ordine generale sulla medicina.

Va segnalato che dove gli arabi diedero il maggior contributo allo sviluppo della medicina fu la farmacologia.
Quando essi si trovarono a vivere in paesi fertili e in climi adatti allo sviluppo della vegetazione, scoprirono nuove piante medicinali; nella scuola di Alessandria, in contatto con l’alchimia, ne approfondirono la conoscenza, dando origine alla chimica, che consentì loro di ottenere nuove sostanze ad uso medicinale, come gli ossidi metallici, il latte di zolfo, l’acido solforico. Si deve inoltre ai medici arabi la scoperta di nuove preparazioni farmaceutiche come le tinture, gli elisir, i distillati, gli sciroppi, nonché la messa a punto delle tecniche di sublimazione, distillazione, cristallizzazione che permisero di purificare i farmaci e isolare da essi alcuni principi attivi.
Tra i farmaci semplici più utilizzati si trova lo zucchero, prodotto rivoluzionario proveniente dalla cultura orientale, che consente di prolungare attraverso specifiche preparazioni la durata di rimedi semplici.

 

La caduta dell’Impero: un nuovo concetto di malattia con il Cristianesimo

Gli storici convenzionalmente datano l’inizio del Medioevo con il 476 d.C., un lunghissimo periodo durato fino all’inizio del Rinascimento nel 1400.
Siamo abituati a considerarlo un periodo buio, mentre fu davvero una epoca di mezzo. Ma la crisi dell’Impero aveva iniziato a dare i suoi segni fin dai secoli precedenti: infatti, già nel corso del 240 d.C. Cipriano, Vescovo di Cartagine, scriveva, analizzando la realtà economica e sociale di allora, che mancavano gli uomini nei campi e si assisteva ad un grande calo demografico. Insomma, la rottura storica rappresentata dalla crisi dell’Impero era già iniziata e non era nemmeno percepita dall’uomo del Medioevo, come ebbe a scrivere Arnaldo Momigliano (storico italiano), che anzi ne sarebbe rimasto sorpreso, in quanto per lui non era mai finito.
Così accadde anche per la medicina: le figure di riferimento come Ippocrate e Galeno non hanno mai perso importanza. Cambia invece in modo radicale è il concetto stesso di malattia, non più assimilabile a quello ippocratico: il corpo è qualcosa di secondario, ciò che importa è l’anima.
Per il medico antico, la malattia era uno stato che doveva essere combattuto dal medico e riportato in ordine grazie alle proprie forze, insieme al malato.
Nel cristianesimo, la malattia assume un significato più profondo e viene riportata alla fragilità dovuta al peccato originale: ecco perché si tratta di una “prova” per il singolo, quasi assimilabile al martirio.
Negli scritti del periodo viene pertanto ribadita la maggiore importanza della salute dell’anima rispetto alla salute del corpo.
Va detto però che nell’area orientale, si assiste un atteggiamento molto positivo nell’attività di assistenza e caritas, intesa come assistenza da prestare ai componenti più fragili della comunità.

La medicina bizantina

Col trasferimento del potere a Bisanzio nel 330, con l’imperatore Costantino, venne trasferita anche la cultura: si fondarono scuole e accademie, si trasferì anche la cultura medica insieme ai principi dell’igiene, comprese le terme.

La medicina ebbe un periodo di auge, che durò fino all’ottavo secolo circa, definito della “medicina bizantina”. Una denominazione utile non solo per indicare i medici lì nati e vissuti, ma più in generale coloro che la rappresentarono: Oribasio, Aezio, Alessandro e Paolo di Egina.

Essi ripresero quanto detto da Galeno e seguaci, sebbene vada segnalata la fondazione di molti ospedali ed il sorgere della medicina sociale.

Questi medici ebbero il grande merito di aver raccolto e trascritto molte opere dei loro predecessori, che altrimenti sarebbero andate perse: vennero definiti i “compilatori bizantini” per aver raccolto e riordinato i lavori degli autori del mondo classico. 

Avvenne a Bisanzio una disputa tra il vescovo Cirillo e il vescovo Nestorio. Quest’ultimo perse e fu cacciato da Costantinopoli; si rifugiò quindi in Medio oriente, nelle zone dell’lraq ed in Egitto. Nestorio portò con sè tutto il bagaglio culturale classico, compreso quello medico, ponendo quindi le basi allo sviluppo di una concezione medica simile a quella presente nell’antica Roma.