Galeno e la chirurgia

A Galeno sono attribuiti oltre quattrocento trattati: non tutti sicuramente autentici ma, anche dall’analisi di quelli che sono conosciuti come opere originali, emerge un quadro che pone Galeno come autorità per l’insegnamento medico, la ricerca anatomica, la sperimentazione fisiologica in medicina fino al pieno Evo moderno.

Studioso dalla enorme curiosità intellettuale, anatomista che seppe rivoluzionare l’approccio al corpo integrando con l’osservazione dei corpi animali il sapere umorale e qualitativo ippocratico, fisiologo e sperimentatore infaticabile, clinico in grado di affrontare tipologie molto variegate di pazienti (dai gladiatori ai membri della cerchia imperiale romana), ma anche studioso della natura, delle erbe e delle sostanze da impiegare in farmacologia.

Nonostante la sua eccezionale bravura, non si distinse particolarmente nella chirurgia: di certo se ne occupò in modo attivo, seppur limitatamente alla traumatologia, nel periodo che lo vide medico alla scuola dei gladiatori di Pergamo. Una volta a Roma, adattandosi all’indirizzo dei medici romani, trascurò l’attività chirurgica per dedicarsi completamente a quella medica.

Sulla materia scrisse comunque due opere, “De articulis” e “De fractis”, in cui illustrò ferite, fratture, lussazioni, ulcere fistole, tumori, ernie, precisandone anche la sintomatologia, prognosi e trattamento chirurgico.

Per primo, mise in evidenza l’arresto delle pulsazioni dopo le legature arteriose, praticate a monte del punto esaminato: su questa nozione si basò l’emostasi in chirurgia.
Non aggiunse nulla rispetto alle conoscenze del tempo sulle ferite della testa e sulle fratture. Ma descrisse con minuzia la fasciatura alla testa, utilizzata fino all’inizio del secolo, così come l’arte delle fasciature, raccolte nel trattato “De fasciis”.
Sempre in chirurgia, descrisse il nervo laringeo ricorrente, il cui taglio accidentale nel corso di intervento per gozzo, poteva provocare la perdita della voce; furono da lui eseguiti vari interventi nuovi e di buon esito, tra cui il trattamento per il labbro leporino, o l’estirpazione dei polipi nasali.
Lasciò il suo nome legato alla lussazione acromio-calvicolare, lesione che egli stesso si produsse in palestra.

La chirurgia nell’Italia antica e a Roma

La chirurgia era considerata in subordine rispetto alla medicina: nell’Italia antica e nel periodo etrusco non vi sono notizie da segnalare, se non la particolare perizia degli Etruschi in campo odontoiatrico.
Nell’antica Roma, dal 753 a.C. al 476 d.C., la chirurgia iniziò ad essere praticata, anche grazie all’influenza dei greci. Arcagato, nel 220 a.C., diffuse alcune pratiche, sebbene egli fosse piuttosto un medico empirico molto abile a medicare le ferite: nei primi tempi passati della sua attività, le sue guarigioni furono così spettacolari che il Senato gli concesse il titoli di cittadino romano ed permise l’apertura a spese dello stato di una bottega, chiamata “Medicatrina”. Con il tempo, perse tale favore e – secondo Plinio il Vecchio – venne cacciato da Roma, con il nome di “carnefice”.
All’inizio del I secolo a.C., giunse a Roma Asclepiade, ottimo medico ma chirurgo di scarsa audacia, giudicato da Galeno con grande severità. Di lui si ricorda il salasso, sebbene sapesse praticare anche la laringotomia nei casi di soffocamento.

Ad Asclepiade è attribuita la formula di operare con sicurezza, rapidamente e senza arrecare troppa sofferenza al malato: tuto, cito, iucunde.

Celso ricorda che tra i migliori chirurghi ai tempi di Augusto, va ricordato Megete, di formazione alessandrina: praticò per primo la riduzione della lussazione del ginocchio, fu esperto nel trattamento delle fistole anali e inventò il litotomo.
A cavallo del I secolo d.C. Celso scrisse il De re Medica, che raccoglie tutte le conoscenze mediche dell’epoca pregalenica, con specifici libri sulla chirurgia generale (il settimo libro) e sulla chirurgia delle ossa (l’ottavo libro).
Celso, non medico e nemmeno chirurgo, ma grande genio enciclopedico, descrisse uno strumentario chirurgico di oltre duecento pezzi, corrispondenti anche a quelli rinvenuti negli scavi di Pompei. Fabbricati in bronzo, con lama in ferro, erano riccamente decorati e possono essere suddivisi in taglienti (coltelli, forbici, seghe) pinze (forcipes, pinze a dente di topo, pinze da denti), specilli (a punta olivare, a spatola, a bottone), sonde (per drenaggi, toracentesi), aghi sa sutura, trapani di vario tipo.
Il materiale da medicazione era costituito da bende di lino, dalla lana e dalla stoppa, usata per le sue proprietà assorbenti.

La dovizia di tale armamentario chirurgico fa pensare che il campo di intervento si fosse ampliato, come dimostrano i numerosi interventi descritti da Celso: egli descrive il trattamento delle ferite profonde dell’addome, le differenti tipologie di cura per le ferite superficiali, l’amputazione degli arti, per la quale veniva praticata la legatura preventiva dei vasi e la preparazione dei lembi per ricoprire il moncone.

Descrive il trattamento delle varici, trattate con legature e cauterizzazione; gli interventi di emorroidi e fistole anali. Celso inoltre si sofferma nella descrizione delle ernie delle pareti addominali e un posto importante è occupato dalla descrizione del procedimento di autoplastica cutanea del naso e della guancia: principio da lui descritto per primo, poi dimenticato e reinventato dai chirurghi francesi.
Interessante, nel capitolo dedicato alla chirurgia delle ossa, la sezione sulla trapanazione del cranio: intervento praticato mediante perforazioni multiple, con il trapano conico ed escissione dei punti ossei intercalari. Viene esplicitamente messa in luce l’indicazione fornita dalla rottura di un vaso della dura madre con effusione sanguigna intracranica.
Nel I secolo d.C. non vi sono personaggi da segnalare, mentre nel II secolo, sotto l’impero di Traiano, comparvero insigni chirurghi come Sorano d’Efeso, Archigene, Rufo d’Efeso ed Eliodoro.
Sorano d’Efeso viene considerato il padre dell’ostetricia.
Archigene, chirurgo audace, operò il cancro della mammella, si occupò di quello dell’utero, creò una tecnica per l’amputazione degli arti.
Rufo d’Efeso fu autore di un trattato di cui sono pervenuti solo alcuni frammenti e il chirurgo che godette di maggior stima fu Eliodoro. Pare sia stato il primo a praticare la legatura e la torsione a scopo emostatico; descrisse la trapanazione nei traumi cranici; eseguì l’amputazione di mani e piedi per gangrena, ponendo al di sopra della zona da sezionare un laccio emostatico, precedendo di secoli la scoperta di Esmark per la compressione temporanea dei vasi dell’arto da amputare.

 

Epoca post galenica: l’organizzazione sanitaria in epoca romana

Con Galeno si chiuse il periodo classico della medicina greco-romana ed ebbe inizio quello definito della decadenza, anche se il Medioevo era lontano ancora tre secoli.
In questi periodo, i medici si attennero scrupolosamente agli insegnamenti classici, con semplici compilazioni o raccolte di ricette, pur non mancando persone di talento.

Ma da segnalare è soprattutto la legislazione e l’organizzazione sanitaria romana: in questo campi, infatti, Roma è stata maestra, stabilendo norme che valgono ancora oggi.

Presso il popolo romano l’igiene e la sanità pubblica vennero sempre tenute in grande considerazione, regolate da una rigida legislazione.
Territorio. Avvalendosi degli insegnamenti etruschi, i romani compirono opere di bonifica sia in città, sia nelle zone limitrofe, provvedendo alla realizzazione della “cloaca massima”, con lo scarico nel Tevere delle acque luride urbane.
Acqua. La scarsità delle fonti locali e l’incremento della popolazione indussero i romani a rifornirsi di acqua da fonti più ricche, convogliandole attraverso gli acquedotti le cui rovine possono ancora essere visibili oggi.
Igiene. Altre vestigia dell’igiene romana sono le terme, di cui Roma fu ricchissima, tanto che all’epoca di Diocleziano (284-305 d.C.) se ne contavano circa 800. Le terme rimasero per lungo tempo non solo un luogo di pratica igienica, ma anche di idroterapia, quando con la scuola metodica, i bagni caldi e freddi erano prescritti come cura di molti stati morbosi.
Esercizio fisico. Rappresentava uno dei capisaldi dell’organizzazione romana. Veniva effettuato al ginnasio, una palestra spesso annessa alle terme, cui accedevano sia atleti per allenamento sia persone per correggere imperfezioni.
Alimentazione. Gli edili controllavano l’igiene alimentare: verificando gli ammassi di grano, sorvegliando i mercati, avevano il potere di impedire le vendite di prodotti guasti.
Ospedalità. Roma non ebbe una vera e propria ospedalità intesa in senso moderno, ma erano presenti valetudinari che svolgevano attività ospedaliera sia pure limitata a determinate persone. Si trattava di infermerie più o meno ampie, dove venivano curati gli schiavi e i famigliari ammalati. Erano inoltre presenti valetudinari militari, adibiti al ricovero dei combattenti.

Il medico a Roma era considerato fino al primo secolo a.C. un modesto artigiano: con le disposizioni di Cesare, nel 46 a.C. di concedere la cittadinanza romana a tutti i medici stranieri che esercitavano in Italia fu utile per il riconoscimento pubblico del ruolo ed elevare la sua posizione. Nel 29 a.C. Augusto trasformò i medici in funzionari statali, autorizzandone il raggruppamento in corporazioni.
Fu in questo periodo che sorsero le prime scuole private di medicina, che garantivano la capacità professionale di coloro che ne uscivano.

 

Galeno – la terza puntata!

L’attività scientifica di Galeno fu così vasta e profonda che egli viene considerato dopo Ippocrate, il più grande medico dell’antichità classica. Dotato di uno spiccato spirito di osservazione e di una grande capacità di sperimentazione, seppe fondere la fisiologia con l’anatomia, attraverso l’esperimento condotto con metodi moderni.

Nonostante questo grande merito, cadde non raramente nell’errore di trattare la medicina con un metodo filosofico basato sul sillogismo, forse perché costretto dalle leggi di allora, che gli impedirono una più vasta applicazione di sperimentare.

La terapia medica in uso a Roma, era basata sui farmaci semplici, di origine vegetale, animale o minerale e sui farmaci composti, costituiti da più farmaci semplici. Tra i farmaci composti, posto d’onore spettava alla “teriaca” o “triaca” di cui esistevano numerosi tipi: la più famosa era però quella di Andromaco, medico di Nerone, composta da 54 ingredienti, il più importante dei quali era la carne di vipera. Nella terapia dell’epoca erano in uso ciarlatanerie e pratiche terapeutiche basate sulla magia.

Galeno si occupò anche di terapia, nel “Methodus medendi” e nel “De simplicium medicamentorum”, che contiene la descrizione di 437 specie di semplici vegetali, oltre ad un gran numero di semplici minerali e animali.

Alcune sostanze vengono considerate specifiche, come il pepe che viene prescritto nella malaria terzana e nella quartana, la scammonea nell’itterizia, il prezzemolo e il sedano nelle malattie dei reni. Ma non mancano i medicamenti composti, tra i quali la triaca contenente ben 73 ingredienti. Tra gli altri medicamenti figurano la picra (purgante amaro a base di aloe), e la hiera o “purgante sacro” a base di coloquintide.
Nella terapia galenica trovano però posto anche il salasso, l’igiene del corpo, la ginnastica, gli esercizi respiratori e la dieta.

Credente convinto nell’esistenza di un essere supremo e persuaso dell’infallibilità di questo essere, Galeno in tutta la sua attività, si sforzò di dimostrare che lo scopo ultimo di qualsiasi creazione è provare l’omniscienza del creatore: una interpretazione teologica del creato che gli valse il riconoscimento ufficiale della sua medicina, sia da parte della religione cattolica, sia di quella musulmana, al punto da rimanere per oltre quindici secoli una autorità medica inconfutabile.