La scuola eclettica

Si tratta di una scuola a cui appartengono le figure più illustri della medicina pregalenica romana e lo stesso Galeno, da alcuni storici, viene annoverato tra gli eclettici.
Fondatore della scuola fu Agostino di Sparta, allievo di Ateneo: riunì nella scuola eclettica quelli che ritenne essere i migliori principi della scuola metodica e pneumatica.
Pose alla base dei fenomeni vitali il concetto umorale, mentre come metodico attribuì molta fiducia alla terapia fisica e alle cure idropiniche.  Si occupò di tossicologia e allo studio del polso. E allo studio del polso si dedicò anche anche Archigene di Apamea, in Siria, che visse a Roma sotto l’impero di Traiano. Alcuni lo considerano il fondatore della scuola, nonché uno dei maggiori rappresentanti della medicina romana. Descrisse molto bene alcune malattie, tra cui la difterite, la lebbra e l’ascesso del fegato.
Areteo di Cappadocia, vissuto tra la fine del II e l’inizio del II secolo d.C., fu un’altra figura di primo piano, tanto da essere reputato un secondo Ippocrate: concepì le malattie come dovute ad una rottura dell’equilibrio dei solidi, dei liquidi e del pneuma presente nell’organismo.

Areteo ha notevolmente contribuito al progresso delle conoscenze mediche: descrisse magistralmente alcune malattie come la pleurite, la sincope, le paralisi cerebrali, descrivendo per primo le paralisi “crociate” secondarie a lesione cerebrale, e l’ “ulcera siriaca” (difterite), e facendo acute osservazioni sul tetano (“nel quale il medico non può offrire assistenza ma solo pietà”), sul diabete mellito, sull’elefantiasi (non infrequente a Roma), sul morbo celiaco. In terapia diede particolare importanza alla dietetica, alla climatologia, alla fisioterapia.

Molto analitiche le sue descrizioni anatomo-patologiche, che fanno pensare che avesse ripetutamente esaminato cadaveri. I suoi scritti andarono perduti, e furono riscoperti solo nel XVI secolo.

Un altro eminente medico di questo periodo è Rufo di Efeso (circa 100 d.C.), grande anatomista cui si deve uno dei primi libri di terminologia medica (Dei nomi). Rufo è il primo a descrivere l’incrocio dei nervi ottici, e in modo dettagliato molti particolari strutturali dell’occhio (specie il cristallino), la laringe, il nervo vago, il mesentere, il pancreas, gli intestini, i dotti seminali, la prostata e le tube uterine. E’ anche il primo a descrivere la peste bubbonica e la lebbra.

La Ca’ Granda: l’Ospedale Maggiore di Milano

L’attività di assistenza è strettamente collegata al proprio territorio: questo blog nasce per valorizzare come le comunità hanno costruito intorno agli ospedali una identità molto forte. Un esempio è testimoniato dall’Ospedale Maggiore di Milano: ci racconta la sua storia il dottor Paolo Galimberti, responsabile della Struttura Beni Culturali Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Dottor Galimberti, quando nasce questa istituzione?
L’Ospedale Maggiore viene fondato nel 1456 da Francesco Sforza e da Bianca Maria Visconti, signori di Milano, portando a compimento la riorganizzazione degli antichi hospitalia voluta dall’arcivescovo Rampini nel 1448. Anche a Milano infatti, come in tutto il centro-nord Italia, alla metà del Quattrocento si assiste a un processo di riforma, volta a concentrare in una sola amministrazione civica tutte le istituzioni ospedaliere sorte nei secoli precedenti, creando degli ospedali “maggiori”, con autorità amministrativa e bacino d’utenza esteso ai confini della Diocesi. Analogamente ad altre città, per la nuova struttura viene costruito anche un nuovo edificio, appositamente concepito per garantire le ottimali condizioni igieniche e funzionali che facilitassero la cura, il cui progetto si attribuisce ad Antonio Averlino “il Filarete”. La costruzione dell’edificio si prolunga fino al 1805, concludendosi con un fabbricato di 300 metri di lunghezza per 100 di larghezza: la “magna domus hospitalis”, popolarmente detta la “Ca’ Granda”.
A questo si aggiungeranno nel tempo il Lazzaretto, reso celebre dai “Promessi sposi” di Manzoni, la chiesa di San Michele ai nuovi sepolcri (da tutti conosciuta come “la rotonda” di via Besana), la Pia casa degli esposti e delle partorienti di Santa Caterina alla Ruota, il manicomio della Senavra. Dalla fine dell’Ottocento sorgono poi i padiglioni del Policlinico, mentre le funzioni sugli esposti e sui malati mentali vengono cedute alla Provincia; nel Novecento si contribuisce alla nascita degli Istituti Clinici di Perfezionamento, e vengono costruiti gli ospedali di Niguarda, di Sesto San Giovanni, e San Carlo Borromeo.

Ci può raccontare  la sua storia?

Ripercorrere le vicende dell’Ospedale significa ricostruire la storia di Milano e della Lombardia degli ultimi 1000 anni.

Non solo per la medicina, l’assistenza, l’igiene, ma potendo disporre di un osservatorio privilegiato per la storia dell’architettura, dell’urbanistica, dell’arte, dell’economia, dell’agricoltura, dell’ingegneria idraulica, della moda e del costume, solo per fare alcuni esempi.

Dottor Galimberti, come possiamo esprimere il legame tra la città e i suoi benefattori?
Di fatto la storia dell’ospedale è la storia della società che lo ha prodotto e sostenuto nei secoli: gli amministratori scelti tra le élites cittadine, i tecnici che hanno lavorato per esso, che siano medici infermieri o architetti, i fittabili del patrimonio fondiario, i fornitori, e infine gli assistiti, gli infermi, i bambini affidati all’istituzione della quale divenivano figli.
L’ospedale, fin dall’età medievale, ha erogato assistenza gratuita ai bisognosi e le risorse per far fronte a infiniti bisogni sono sempre state fornite dalla generosità cittadina. Il contributo dei benefattori era ben chiaro allo Sforza che, nell’epigrafe apposta alla facciata del nosocomio, riconosce che la fondazione si deve, oltre che a lui, alla moglie Bianca Maria “una cum Mediolanensi populo”, insieme al popolo milanese. Effettivamente gli atti di generosità, attestati in archivio fin dall’età medievale, si manifestano in donazioni, testamenti e legati, e vanno da modeste elargizioni al trasferimento di grandi capitali e proprietà.
Per ricordare i più illustri e generosi sostenitori, per gratificarli e per incentivarne l’emulazione, l’ospedale ne commissiona a proprie spese il ritratto pittorico. La tradizione, cominciata nel 1602 e proseguita fino ad oggi, ha permesso di accumulare oltre 900 dipinti, che insieme descrivono non solo quattrocento anni di arte lombarda, ma la storia della società, del costume, delle modalità di auto-rappresentazione dei ceti elevati. Visto il successo in termini di raccolta fondi, l’usanza è stata rapidamente imitata da tutti gli enti assistenziali e sanitari lombardi, ma certamente quella dell’ospedale Maggiore di Milano resta ineguagliata per ampiezza, importanza degli artisti, rilevanza dei benefattori, continuità di esecuzione.
Un altro aspetto rilevante, e che ben rappresenta il legame anche affettivo della città col suo ospedale, è l’attività di volontariato. Già nel Seicento sono attestate confraternite o associazioni che svolgono un libero servizio a favore degli ammalati; nell’Ottocento sorgono la Pia Unione di Beneficenza e Carità (le “dame del biscottino”) e la Commissione Visitatori e Visitatrici, tuttora operante. Oggi le associazioni di volontariato o le fondazioni di sostegno alla ricerca e all’attività sanitaria operanti in ospedale sono più di settanta.

La scuola pneumatica

La scuola pneumatica sorse in Roma verso la metà del I secolo d.C.: un nome dovuto al fatto di aver posto lo “pneuma” alla base dei fenomeni vitali dell’organismo.
Una scuola che sosteneva che lo stato di salute fosse collegato all’equilibrio degli umori regolato dal pneuma: qualcosa di innato nell’uomo e costantemente rinnovato grazie al respiro, che compenetrando nel sangue, costituisce il mezzo operante sugli umori. Ecco perché le alterazioni del pneuma generano lo stato di malattia.

Ateneo di Attaleia fu il fondatore di questa scuola, che giunse a Roma sotto l’impero di Claudio, tra il 41 e il 54 d.C.
Scrisse numerose opere, di cui non vi sono praticamente più tracce; riconobbe nella dieta uno dei più importanti mezzi per correggere gli squilibri ormonali.

Si occupò anche di semeiotica, dedicandosi principalmente allo studio del polso, che considerava un indicatore di controllo del pneuma nelle arterie.

Medicina romana: il terzo periodo – La scuola metodica

Il terzo periodo della storia della medicina romana viene distinto in tre epoche dagli storici: pregalenica, caratterizzata dalla presenza di numerose scuole mediche. Galenica, che vide nella figura di Galeno l’unificazione delle precedenti tradizioni mediche. Postgalenica, con un progressivo decadimento che terminò nell’oscurantismo medievale.

La scuola metodica, pneumatica, eclettica ed enciclopedica: sono le quattro scuole mediche romane.
Asclepiade fu ispiratore della scuola metodica, anche se il fondatore è considerato Temisone.
Giunto a Roma nell’epoca del proconsolato di Pompeo (77 a.C.), dopo studi ad Atene e Alessandria, si distinse anche come abile oratore. Secondo Plinio, abbandonò l’ars oratoria per dedicarsi alla, più redditizia, attività medica.

Asclepiade rappresenta a Roma il primo esempio di una nuova concezione della medicina , intesa come disciplina scientifica. Applicò infatti i principi dell’atomismo, ponendoli accanto all’umoralismo ippocratico.

Una teoria che ipotizzava la materia costituita da atomi e pori di varia grandezza, che si muovono in modo più o meno regolare. Quando le proporzioni fra atomi e pori sono perfette, si ha lo stato di salute, diversamente si ha la malattia.
Lo stato di salute e malattia è quindi determinato dalla strettezza o larghezza dei pori: la terapia aveva quindi lo scopo di riportare alla normalità tale ampiezza. Per la terapia, Asclepiade ricorse ai mezzi fisici, principalmente: esercizi fisici, massaggi, dondolamenti su amache erano le cure da lui preferite rispetti ai medicinali, che prescriveva raramente.
Egli basava la terapia essenzialmente sulla dieta, sui massaggi, sui bagni, sul vino, sui rimedi gradevoli, rifiutando recisamente i modi violenti, i purganti drastici e i salassi troppo frequenti.

Inventò la tecnica di tracheotomia in caso di difterite, suddivise le malattie in acute e croniche, si interessò di geriatria, e auspicò un trattamento più umano per gli le persone con problemi mentali.

Alla morte del maestro, Temisone si propose di dare corpo alle sue idee, ma nell’opera di semplificazione le adattò ai ragionamenti degli empirici, abbassando il livello dottrinale.

Enrico Bottini: un maestro nella storia dell’antisepsi

“Per guarire le ferite si deve favorire l’insorgenza in esse della suppurazione” sosteneva Ippocrate, avendo intuito che la suppurazione fosse un fenomeno naturale e utile per la guarigione delle ferite.

Il termine sepsi – che deriva dal greco e significa “putrefazione” – venne inizialmente usato per indicare le infezioni delle ferite in generale.

Fino alla metà del XIX secolo, la chirurgia era gravata da una elevata mortalità, tanto che il chirurgo scozzese James Young Simpson (1811-1870) scriveva che “il paziente steso sul tavolo operatorio di uno dei nostri ospedali chirurgici, corre maggior pericolo di morte che il soldato inglese sul campo di battaglia di Waterloo”.

Le cause erano principalmente tre:

  • emorragia per scarsa validità dei mezzi con cui si praticava l’emostati
  • shock neurogeno da dolore per mancanza di anestesie efficaci
  • infezioni chirurgiche per l’assenza di qualsiasi principio antisettico

Fra coloro che si misero il luce nella lotta contro le infezioni chirurgiche, va ricordato Enrico Bettini, a cui è dedicata questa pubblicazione Bottini. Un maestro della scuola chirurgica pavese nella storia dell’antisepsi insigne maestro della scuola pavese, da molti annoverato tra i pionieri dell’antisepsi.

Il primo studioso ad utilizzare l’acido fenico come antisettico fu Lister, che nel 1865 trattò per la prima volta una ferita con il suo metodo, che descrisse su Lancet nel 1867. Ma tale metodo venne utilizzato anche dal Bottini, che trattò nella sua pubblicazione “Dell’acido fenico nella chirurgia pratica e nella tassidermica” apparsa nel 1866 sugli annali di Universali di Medicina.