La storia della medicina romana viene generalmente suddivisa in tre periodi, il primo dei quali viene compreso tra la fondazione della città e la prima guerra punica.
Caratterizzato da pratiche mediche empiriche e magico-religiose, fu senza dubbio influenzato dai popoli autoctoni più vicini, ma in particolare dagli Etruschi.
La legislazione del tempo non menziona la figura del medico e lo stesso Plinio sostenne che i Romani fecero a meno dei medici per i primi secoli della loro storia.
Il ruolo del medico in questo periodo, venne svolto dal “pater familias” che limitava le sue funzioni all’ambito famigliare, sebbene sia da ricordare che il concetto di famiglia nella società romana sia molto differente dal nucleo essenziale della società come viene inteso oggi.
Egli infatti era un capo assoluto e arbitro con potere di vita e morte su coloro che dipendevano dalla sua responsabilità, gli schiavi e gli animali.
Le pratiche adottate erano semplici e di natura empirica. Venivano utilizzate erbe officinali, sotto forma di infusi o decotti.
La medicina romana, pertanto, prima dell’arrivo dei medici greci, si basava su scelte individuali, in una sorta di automedicazione.
Scelte terapeutiche empiriche che però erano supportate da una tradizione secolare, intessuta da superstizioni e credenze magiche, ma altrettanto spesso confortata, se non da dati scientifici come li intendiamo oggi, almeno da un’attenta osservazione empirica della cause e degli effetti.
Catone il Censore, che manifestò una vocazione naturalistica molto importante, attraverso la sua opera “De re rustica” ci permette di avere una visione completa dei primi cinquecento anni di storia medica romana. Pur opponendosi fortemente ai medici, ritenendoli capaci di avvelenare il popolo romano, Catone elaborò egli stesso una vera e propria teoria medica, basata sull’equilibrio degli umori: la bile, la pituita (il catarro) e l’aratrabile (la bile nera).
La farmacopea di Catone era invece basata sull’uso del cavolo: ritenuto da Catone “superiore a tutti gli ortaggi” (De agricoltura 156, 1) e considerato una panacea valida per tutti i mali. E in effetti si é scoperto di recente che questa famiglia di ortaggi é realmente valida nella prevenzione di numerose e anche gravi patologie. Dunque i Romani conoscevano molti rimedi basati sulla preparazione di medicamenti preparati a partire da sostanze naturali, prevalentemente erbe (scientia herbarum). Questo sapere si tramandava oralmente di padre in figlio ed é probabile che la fonte di queste conoscenze fosse la medicina etrusca.
Nelle sciatalgie era invece impiegata una infusione di vino al ginepro; come purgante era poco utilizzato l’elleboro, mentre si dava preferenza ad una infusione di vino al mirto. Alcune ricette rinvenute nel “De re rustica” descrivono apparecchi ortopedici costruiti con canne di bambù e rami di salice per contenere fratture e lussazioni.
Un interessante aspetto della medicina romana di questo periodo riguarda la legislazione igienico-sanitaria: formulata a tutela dei cittadini. Vennero infatti realizzate opere di bonifica dei territori paludosi dell’agro romano, furono raccolte nella cloaca massima le acque malsane e i liquami, si procedette con la depurazione delle acque potabili.