In epoca preromana, nella penisola italica si insediarono molteplici popolazioni, il cui inquadramento generale diventa più preciso a partire dal VI secolo a.C.
Gli Etruschi, insediatisi nella regione compresa tra l’Arno e il Tevere, furono i primi ad elaborare una originale civiltà indigena, diffusasi rapidamente presso i popoli vicini e influenzando anche i popoli con cui ebbero contatti, nell’Europa centrale e sulle coste dell’Africa e della Spagna.
Ma le primissime tracce di medicina italica sono avvolte nella leggenda, se si fa eccezione per i popoli di cultura greca.
Si narra delle tre figlie del re Eeta: Circe, Medea e Angizia, in fuga dalla Colchide e rifugiate nella regione dei Marsi (l’attuale Abruzzo) dove diffusero l’arte del guarire.
Una arte basata su quella “medicina popolare” derivata dalla fusione di arti magiche e i rimedi della terra.
Circe si dedicò alla farmacologia e all’erboristeria: la leggenda le attribuisce l’utilizzo nella medicina empirica della flora mediterranea, molto rigogliosa sul monte Circeo.
Medea, invece, tentò di ringiovanire Esone, come si legge in Ovidio, mentre Angizia insegnò al popolo che viveva sulle sponde del lago Fucino l’arte della tossicologia.
Un mito che dunque ammette l’esistenza di una rudimentale forma di medicina, dove con molta probabilità la tradizione sacerdotale aveva conferito all’arte del guarire un carattere religioso e magico.
E come in tutte le civiltà primitive, anche per le popolazioni che vissero nella penisola italica si riconoscono le due componenti fondamentali, quella empirico-popolare e quella magico-religiosa.