Guarisce tutti i mali: Panacea e gli altri dei guaritori nella medicina preippocatrica

I poemi omerici illustrano la civiltà micenea, nel periodo che va dal 3000 al 600 a.C. e anche la medicina preippocratica, basata su fondamenti religiosi-empirici.
Numerosi sono i riferimenti alla medicina dell’epoca, con rudimentali nozioni di anatomia che utilizzano però una terminologia analoga a quella ancora oggi utilizzata. Si distinguono i muscoli, i tendini, le ossa e le articolazioni, il midollo osseo, i vasi sanguigni e finezze come il torace separato dall’addome per mezzo del diaframma.
Le misure igieniche con lavaggi, bagni e unzioni sono correnti: lo stesso Ulisse utilizza fuoco e zolfo per sterilizzare la sua casa dopo la strage dei Proci. Inoltre, grande attenzione veniva data all’attività fisica.
Per quanto riguarda la traumatologia, è piuttosto progredita.

La medicina è in mano ai sacerdoti, attraverso i quali è possibile entrare in contatto con le divinità: nell’Olimpo il posto di maggiore riguardo era occupato da Apollo, dio della medicina, che poteva curare o inviare pestilenze e morte se veniva trascurato.

Altra divinità medica era Asclepio (in latino poi divenne Esculapio), figlio di Apollo e della ninfa Coronide: affidato al centauro Chirone, dopo essere stato strappato dal grembo materno a causa del suo tradimento, da lui apprese la pratica della medicina, oltre che dal padre Apollo. Venne però fulminato da Giove per aver cercato di curare malattie ritenute inguaribili senza l’intervento degli dei.
Nonostante l’episodio, a lui vennero attribuiti onori divini e nella sua figura vennero unificati tutti i culti delle divinità protettrici della medicina.
Gli Asclepiadi erano i suoi sacerdoti, tra i quali raggiunsero grande fama proprio i suoi figli: Podalirio, Macaone, Panacea, Igea, Telesforo.
I sacerdoti esercitavano la medicina nei templi, che erano luoghi di cura, abitualmente collocati in zone salubri e presso fonti dove si diceva le acque fossero dotate di virtù benefiche. I pazienti venivano sottoposti a riti purificatori, che prevedevano bagni, digiuni e l’assunzione di bevande soporifere. I sacerdoti si aggiravano tra i giacigli dei “pazienti”, che al loro risveglio narravano quanto vissuto in sogno. Dopo l’interpretazione del sogno, i sacerdoti prescrivevano le terapie più adatte, che consistevano nella somministrazione di medicamenti. E se la malattia proseguiva senza arrivare ad una guarigione, la responsabilità era del paziente, accusato di scarsa aderenza alla prescrizione o poca fiducia nell’ausilio divino. I pazienti guariti, invece, lasciavano una tavoletta votiva, con il proprio nome, la patologia e la terapia adottate. In questo modo è rimasta traccia solo dei successi delle terapie – nel tempio di Esclepio a Epidauro ne sono state rinvenute ben 44 – ma non gli esiti negativi.
La medicina, inoltre, era praticata in modo empirico, con tradizioni tramandate da padre in figlio, di cui è possibile rinvenire tracce anche nei poemi omerici, dove si trova anche la figura del “medico militare”, che si occupava della salute delle truppe.

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