La rinoplastica? una invenzione indiana!

“Colui che conosce solo un ramo del sapere medico è come un uccello che ha un’ala sola” sosteneva Susruta, il più famoso medico indiano, che scriveva nel suo trattato: “L’arte della chirurgia è la prima e la più grandi tra le arti del guarire”. A differenza di altre civiltà, che relegavano il chirurgo a ruolo di servitore del medico, gli indiani ne avevano la massima considerazione. E nonostante la ricchezza degli strumentari chirurgici a disposizione (se ne contano ben 121 nel trattato di Susruta), egli stesso sottolinea come “lo strumento migliore è sempre la mano del chirurgo”.

Susruta fu un medico indiano, considerato comunemente il padre della chirurgia indiana, e da molti il primo a sistematizzare la medicina; da lui vengono descritti settori della pratica come la neurochirurgia, la chirurgia plastica, l’ortopedia, la tossicologia, la psichiatria e la deontologia del medico. Pur avendosi poche notizie della sua vita, gli storici sono generalmente concordi nel situarlo tra il 1200 a.C. e il 600 a.C.

Numerosi sono gli interventi descritti nel trattato, nonostante la scarsa conoscenza dell’anatomia, tra cui l’estrazione del calcoli per via perineale, la laparotomia per occlusione intestinale, l’asportazione dei tumori del collo e la tonsillectomia attraverso l’utilizzo di una pinza “a ganasce” che costituisce il primo passo verso la modernità.
Ma la chirurgia indiana è famosa e conosciuta per la rinoplastica, non a scopo estetico, ma per la ricostruzione dei nasi amputati. Questa mutilazione, infatti, era praticata a scopo punitivo verso gli adulteri.
Susruta ideò questo metodo, che consisteva nel ritagliare in una foglia di d’albero un modello corrispondente alla grandezza del pezzo di un naso amputato, di applicarlo sulla fronte del paziente, di ritagliare un pezzo di pelle conforme lasciandovi però attaccato un peduncolo, di scarnificare il moncone del naso e quindi di applicargli sopra il pezzo di pelle ritagliato, dopo averlo ripiegato nel suo peduncolo, suturandolo ai margini del moncone e introdurre due tubicini per calibrare le narici e consentire la respirazione al paziente.

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