La chirurgia ebraica

L’unica operazione chirurgica a cui fa riferimento la Bibbia è la circoncisione, a proposito della quale sottolinea come essa fosse compito del sacerdote per tener fede al patto con Dio. Pare che fosse una pratica in sostituzione del sacrificio della vita umana: l’uomo, così, offriva una parte di sé, senza arrecare danno al corpo. Pare anche, secondo alcuni storici, che tale intervento fosse praticato a scopo igienico per prevenire l’insorgenza di balaniti, allora molto frequenti.
Il Talmud contiene alcune nozioni e indicazioni di medicina, pur essendo un libro di leggi e precetti: l’anatomia viene descritta in modo particolareggiato e vi sono descritte pratiche chirurgiche elementari.

Dallo studio successivo della Bibbia e del Talmud, risulta che gli ebrei raggiunsero un ragguardevole livello tecnico: pare, infatti, fossero eseguite con buoni esiti numerosi operazioni tra cui la fistola anale, l’ano iperperforato nei neonati e curavano fratture e lussazioni con sistemi razionali.

La rinoplastica? una invenzione indiana!

“Colui che conosce solo un ramo del sapere medico è come un uccello che ha un’ala sola” sosteneva Susruta, il più famoso medico indiano, che scriveva nel suo trattato: “L’arte della chirurgia è la prima e la più grandi tra le arti del guarire”. A differenza di altre civiltà, che relegavano il chirurgo a ruolo di servitore del medico, gli indiani ne avevano la massima considerazione. E nonostante la ricchezza degli strumentari chirurgici a disposizione (se ne contano ben 121 nel trattato di Susruta), egli stesso sottolinea come “lo strumento migliore è sempre la mano del chirurgo”.

Susruta fu un medico indiano, considerato comunemente il padre della chirurgia indiana, e da molti il primo a sistematizzare la medicina; da lui vengono descritti settori della pratica come la neurochirurgia, la chirurgia plastica, l’ortopedia, la tossicologia, la psichiatria e la deontologia del medico. Pur avendosi poche notizie della sua vita, gli storici sono generalmente concordi nel situarlo tra il 1200 a.C. e il 600 a.C.

Numerosi sono gli interventi descritti nel trattato, nonostante la scarsa conoscenza dell’anatomia, tra cui l’estrazione del calcoli per via perineale, la laparotomia per occlusione intestinale, l’asportazione dei tumori del collo e la tonsillectomia attraverso l’utilizzo di una pinza “a ganasce” che costituisce il primo passo verso la modernità.
Ma la chirurgia indiana è famosa e conosciuta per la rinoplastica, non a scopo estetico, ma per la ricostruzione dei nasi amputati. Questa mutilazione, infatti, era praticata a scopo punitivo verso gli adulteri.
Susruta ideò questo metodo, che consisteva nel ritagliare in una foglia di d’albero un modello corrispondente alla grandezza del pezzo di un naso amputato, di applicarlo sulla fronte del paziente, di ritagliare un pezzo di pelle conforme lasciandovi però attaccato un peduncolo, di scarnificare il moncone del naso e quindi di applicargli sopra il pezzo di pelle ritagliato, dopo averlo ripiegato nel suo peduncolo, suturandolo ai margini del moncone e introdurre due tubicini per calibrare le narici e consentire la respirazione al paziente.

La chirurgia egizia

Olio e miele hanno poteri antisettici che utilizzati sotto forma di pomate erano usate dagli Egizi come antisettici nella medicazione di ferite e ustioni. Le essenze aromatiche come mirto e incenso venivano invece usate come disinfettanti, con bende di lino e cotone che – sempre utilizzate in modo pulito – servivapapyrus-63004_1280no per assorbire le secrezioni. Nelle ferite, per tenere uniti i lembi, gli Egizi erano molto innovativi con l’uso di bende adesive, oppure ricorrevano ai punti di sutura.
Sono il papiro di Ebers e il papiro di Smith la principale fonte di informazione relativa alla chirurgia egizia: il secondo, in particolare, contiene 48 casi di patologia chirurgica, descritti in modo moderno con titolo, esame, diagnosi, prognosi e trattamento. Circa il trattamento, vengono indicate le prescrizioni da attuare, in alcuni casi sono presenti anche commenti. Pur avendo un carattere prevalentemente traumatologico, il papiro di Smith riporta anche altre patologie chirurgiche “da capo a piedi” anche se si interrompe a livello del torace.
Le fratture erano trattate attraverso riduzione o immobilizzazione, come testimoniano anche alcune mummie ed esiti ben ridotti dimostra il buon livello tecnico dei chirurghi egiziani. Anche le amputazioni venivano eseguite, ne è prova una mummia privata di una mano, corretta da una mano artificiale completa di dita.
Tumori del collo, del seno e di altre parti superficiali del corpo venivano trattate con coltello o ferro rovente e i chirurghi si preoccupavano anche dell’emostasi, per evitare troppe perdite di sangue.
L’ostetricia e la ginecologia erano conosciute e praticate, come emerge dai papiri: era conosciuto l’utero, ma non le ovaie.
Ma la specialità in cui eccellevano gli egizi era l’oculistica: è del 2.600 a.C. l’invenzione del collirio da parte di Khuy, oculista ed esperto di magia. Nel papiro di Ebers sono molto numerose le descrizioni delle afflizioni oculari, così come le formule del collirio, che erano liquidi, pastosi o sotto forma di pomate. Per la loro produzione erano usate le materie prime più disparate: la rosa, la mirra, il mirto, lo zafferano, il sicomoro, il grasso di maiale o d’oca, il miele, il latte.
I papiri forniscono nozioni di anatomia e fisiologia dell’occhio, con i curiosi nomi delle diverse parti dell’occhio: l’occhio era chiamato “sclerotica”, la pupilla “la bambina che sta nell’occhio”, le palpebre “la schiena dell’occhio”.
Gli Egizi poi ebbero l’intuizione di mettere in relazione alcune affezioni dell’occhio con alcune patologie dell’apparato genitale. Le conoscenze degli egizi non ebbero grandi modificazioni nel periodo antico e nel medioevo, fino all’epoca moderna.

Uno sguardo alla medicina ebraica

La Bibbia, seppur carente di nozioni tecniche medico chirurgiche, è una ricca fonte di informazioni su norme igieniche personali e comunitarie e può essere considerata uno dei più antichi trattati di igiene.
Tra gli Ebrei, infatti, l’impurità fisica e morale era considerata una grave offesa nei confronti di Dio: il testo, quindi, esplicita le istruzioni igieniche, alimentari e quelle da osservare in caso di epidemia, come il bagno o alcune limitazioni dietetiche (come il divieto di nutrirsi di carne di maiale o grasso animale).
Oltre al culto della pulizia, la medicina ebraica ha il merito di aver inserito il concetto di riposo settimanale.
Secondo gli Ebrei, Dio era l’unico principio della malattia e della guarigione e il ruolo preminente era affidato al sacerdote, che intercedeva presso Dio per ottenere la guarigione dell’infermo, con preghiere e riti.
Alcune nozioni di anatomia si trovano nel Talmud, compilato in epoca successiva alla Bibbia: in particolare viene riportato di un osso, chiamato “luz”, situato nella colonna vertebrale e considerato il nucleo vitale dell’organismo. Questa credenza fu sfatata da Vesalio, che dimostrò l’infondatezza di questo e altri miti anatomici.
La medicina ebraica era collegata a quella egiziana, come dimostrano la pratica del salasso, l’applicazione di ferule e altre tipologie di medicazioni citate nel Talmud.

La medicina al tempo dei Sumeri

Tra il 4000 e il 400 a.C. con lo sviluppo della scrittura e del calendario, l’uomo ha modo di iniziare a registrare gli eventi: si svilupparono le civiltà in Mesopotamia, Egitto, India, Israele e Cina, per citarne alcune. La cura delle malattie è anche per queste società un problema che viene affrontato e i primi ad occuparsene di cui gli storici hanno individuato notizie scritte sono i Sumeri: una tappa importante nella storia della medicina in quanto proprio a questo popolo si può attribuire l’esistenza di una classe medica, storicamente accertata da numerosi reperti archeologici. Numerose sono le tavolette d’argilla cuneiformi con precise indicazioni mediche, piccoli coltelli in rame, forse usati come strumenti chirurgici.
Con la conquista da parte degli Assiro-Babilonesi intorno al 2000 a.C., il regno dei Sumeri fu sottoposto ad una rigida amministrazione; fu dato maggiore impulso allo studio dell’astronomia già studiata dai Sumeri. Con i loro studi, gli Assiro-Babilonesi hanno fissato il calendario usato ancora oggi, che conta 365 giorni.
Anche se maggiore debolezza va segnalata sul piano della medicina: essi credevano infatti che la divinità intervenisse nell’insorgenza della malattia. La medicina assiro-babilonese rappresenta uno degli esempi più significativi di medicina religiosa: il sacerdote interrogava il malato per riconoscere l’identità del demone che l’aveva determinata attraverso i sintomi della malattia. E sembra che i medici-sacerdoti non visitassero direttamente il malato, ma attraverso il rito di analizzare il fegato di animali sacrificati, tentassero di trarre auspici a scopo prognostico. La scelta del fegato era legata al fatto che fosse considerato il centro della vita. La patologia interessava tutti gli organi e gli apparati noti, ma la sua illustrazione era scarsa rispetto, ad esempio a quella egizia; le malattie non avevano un nome ed erano descritte in modo sommario.
Maggior precisione va segnalata invece per la farmacologia: erano conosciuti circa 250 medicamenti (di orgine vegetale, animale e minerale). La raccolta delle piante medicinali doveva essere effettuata solo in base alla posizione degli astri, così come la somministrazione.