La civiltà egizia si sviluppò contemporaneamente a quella mesopotamica, ebbe inizio intorno al 3.000 a.C. per terminare intorno al 300 a.C. con la vittoria di Alessandro Magno, che portò tutta l’area sotto l’influenza greca.
Sarebbe facile pensare che grazie alle cure poste dopo la morte, gli Egizi ben conoscessero l’anatomia. In realtà ai medici, che erano considerati sacerdoti anche tra gli Egizi e quindi una casta molto stimata, era affidato il ruolo di ministro della “casa della vita”. Le procedure di imbalsamazione erano invece proprie di un’altra casta, gli uomini della “casa della morte”, completamente estranei alla cura dei malati. Questa distinizione non ha permesso al popolo egizio di avere conoscenze anatomiche molto più evolute rispetto ai Sumeri e agli Assiri.
Gli egizi avevano un medico per ogni specialità: medici per gli occhi, per la testa, per le malattie occulte. L’insegnamento della medicina era impartito presso delle scuole mediche, in cui erano custoditi i libri Ermetici di Thoth, i cui papiri ci consentono oggi di conoscere quale era l’approccio del popolo egizio alla medicina.
Ma la caratteristica di maggiore modernità della medicina egizia era che alle scuole era consentito l’accesso anche alle donne: anch’esse infatti, potevano esercitare la medicina.
Pare che il primo e più conosciuto medico egizio sia stato Imhotep: visse intorno al 2900 a.C. e fu un alto funzionario statale, a cui si deve la costruzione della piramide di Sakkarah. Dopo la sua morte fu venerato come dio della medicina e in suo onore sorsero numerosi altri templi.
Gli egiziani ritenevano che il motore della vita fosse la respirazione, a differenza degli assiro-babilonesi, che lo attribuivano al fegato. Anche il cuore passava in secondo piano, in quanto “cessata la respirazione, il cuore taceva”.
I medici egizi avevano individuato un sistema di “vasi” in cui avevano inserito in modo improprio vene, arterie, nervi e tendini; erano distinti in due tipi, efferenti (quelli che partivano dal cuore e portavano aria agli organi) e afferenti, che portavano invece agli orifizi saliva, muco, urina e feci. Il sangue non era considerato.
Erano inoltre conosciute le ossa, tra cui la rotula, la clavicola, lo sterno; buona la conoscenza degli organi genitali e del cervello.
Nella patologia gli Egizi, pur continuando ad esistere alcuni concetti magico-religiosi, introdussero nuove idee che consentirono di introdurre una causa non innaturale alle malattie.
Le principali malattie descritte nei papiri sono quelle dello stomaco, dell’intestino e alcune patologie infettive a decorso febbrile. I medici egiziani visitavano gli ammalati e la loro era, per il tempo, una tecnica piuttosto progredita: tenevano conto del quadro generale, dell’odore del corpo, della temperatura e del polso.
Per ogni malattia i papiri indicavano un rimedio, basato su sostanze di origine vegetale, animale o minerale, così come per la medicina assiro-babilonese: a cambiare erano i tipi di scongiuri.